2024-02-09
Lotta a oltranza sul Patto di stabilità: Consiglio immobile sul calo del debito
Valdis Dombrovskis (Ansa)
Trattative serrate ma con pochi margini sulla riforma. Spiragli sul nodo investimenti.Pomeriggio di fuoco ieri a Bruxelles per le trattative sulla riforma del Patto di Stabilità tra Commissione, Europarlamento e Consiglio dei ministri, il cosiddetto «trilogo», sotto la presidenza di turno del ministro dell’economia belga.Si è arrivati a ieri dopo i primi cinque triloghi senza avere in vista alcuna accettabile «zona di atterraggio» condivisa sul testo finale delle norme in discussione (due regolamenti e una direttiva).Prima dell’incontro, il Consiglio ha reso nota la propria valutazione circa lo stato di avanzamento delle trattative e ha ribadito la posizione negoziale. Ancora una volta, l’impressione che ne abbiamo tratto è che i margini di manovra siano risicatissimi, praticamente inesistenti. La posizione del Consiglio è poco più di un «prendere o lasciare» e il documento messo sul tavolo è la plastica rappresentazione dello scarso peso che oggi ha, nell’architettura istituzionale europea, l’unico organo eletto dal popolo.La Commissione, assente Paolo Gentiloni, ha schierato Valdis Dombrovskis, ormai dato in uscita perché prossimo a candidarsi in Lettonia all’Europarlamento. La presidenza di turno belga, consapevole della posta in gioco, questa volta ha mandato il ministro delle Finanze, Vincent Van Peteghem, anziché l’ambasciatore presso la Ue.Il Consiglio ha fatto sapere che sugli elementi marginali (priorità comuni, ruolo dell’Europarlamento, accesso alle informazioni), c’è disponibilità a convergere verso la proposta negoziale dei parlamentari, ma manca la convergenza su tre aspetti fondamentali, con riferimento ai quali l’Europarlamento aveva avanzato significative richieste di modifica rispetto a quanto uscito dal tribolato Consiglio Ecofin del 21 dicembre: parametri numerici che assicurano il percorso di rientro di debito e deficit (la cosiddetta «ancora di salvaguardia» voluta dai tedeschi); l’attenzione alla dimensione sociale; un ulteriore spazio di manovra a favore degli investimenti. E se non si chiude su questi aspetti, non può uscire dal trilogo alcun testo che poi il Consiglio, nella veste di co-legislatore, potrà adottare.Sul primo punto il Consiglio ha subito messo in chiaro che l’accordo di dicembre non può essere modificato di una virgola. Per intenderci, l’ancora di salvaguardia prevede che, dopo il periodo transitorio 2025-2027, il deficit/Pil debba convergere fino al 1,5% in modo da consentire un sufficiente cuscinetto di crescita in caso di recessione, prima di sfondare il tetto del 3%.Sul secondo punto, il Consiglio ha manifestato un minimo livello di apertura, ma il tutto deve avere una sostenibilità legale. In parole povere, non ha senso scrivere il libro dei sogni in un regolamento che poi qualcuno dovrà applicare e altri dovranno giudicare. Probabilmente finirà con qualche frase altisonante ma vuota di contenuto, inserita nelle premesse, senza tracce nell’articolato, come d’uso nella tecnica legislativa europea.La mediazione finale dovrebbe giocarsi sulla definizione degli investimenti da escludere dalle clausole di rientro e soprattutto dal parametro della spesa pubblica netta, il rispetto del quale sarà l’unica misura che gli Stati membri dovranno rispettare. Su questo aspetto il Consiglio potrebbe benevolmente accogliere le richieste dei parlamentari. Per ammissione dello stesso Consiglio si tratta di un elemento cruciale per definire il testo finale.Se questi sono i paletti posti dal Consiglio, il resoconto della giornata descrive un’atmosfera molto tesa tra la presidente della Commissione parlamentare per gli affari economici e monetari, l’italiana Irene Tinagli e i rappresentanti del Consiglio. La discussione si è concentrata sulle condizioni di accesso per ottenere che il piano di rientro del deficit e del debito sia allungato a 7 anni, senza i quali, Paesi come l’Italia sarebbero costretti ad un’austerità insostenibile. Parlare di sostegno agli investimenti e contemporaneamente avere obiettivi numericamente stringenti per la riduzione del rapporto debito/PIL è una contraddizione in termini che la Ue si trascina da anni. Ora sta esplodendo perché il fabbisogno di investimenti per la transizione energetica ha fatto venire i nodi al pettine. Il tutto si incrocia con il NextGenerationUe, perché una delle condizioni per poter diluire il piano su sette anni è proprio il mantenere un adeguato livello di investimenti. Quest’ultimo però è gonfiato dal NextGenUE e sarà praticamente impossibile per molti Stati, Italia in testa, mantenere tale livello anche dopo il 2027. Insomma, un gatto che si morde la coda e finisce per divorare se stesso.Si è trattato ad oltranza anche su un altro aspetto non secondario, costituito dalla richiesta dei parlamentari di scorporare dal tetto di spesa il cofinanziamento nazionale degli investimenti, con il Consiglio che si è attestato allo 0,1% del Pil e i parlamentari hanno chiesto lo 0,25%. Non sono affatto banali tecnicismi della burocrazia europea, perché dietro quei decimali ballano miliardi di investimenti nazionali. Al momento della chiusura del giornale, i lavori sono ancora in corso e non è possibile formulare alcuna previsione sull’esito.