2025-06-07
Se passa il quorum, rimborsi alle toghe rosse
Silvia Albano di Magistratura democratica (Ansa)
Silvia Albano di Md, oltre a Landini della Cgil, fa parte del Comitato referendario che potrebbe spartirsi 2,5 milioni di euro. Per i dem i quesiti sono una prova decisiva sul governo, ma i dati economici dicono che l’Italia sta meglio di Francia e Germania.«La premier Meloni ha preso alle elezioni 12 milioni e 300.000 voti, se al referendum andassero a votare 12 milioni e 400.000 persone, sarebbe un avviso di sfratto alla presidente del Consiglio». Le parole del capogruppo del Pd al Senato, Francesco Boccia, non rappresentano di certo la linea di tutto il Partito Democratico (anche perché il Pd una linea univoca non ce l’ha su nessun tema), ma sono di certo concordate con il segretario dem Elly Schlein. E probabilmente è anche per questo che si fa fatica a dargli un senso. Sfugge infatti la logica sottostante, cioè non si capisce per quale motivo, a prescindere dal voto, negativo o positivo, ai quesiti, chi si presenta al seggio debba volere che la Meloni vada a casa. Vero è che il presidente del Consiglio ha detto che si recherà alle urne ma non ritirerà la scheda, vero che diversi membri dell’esecutivo hanno invitato all’astensione, ma è altrettanto evidente che il centrodestra chiede in modo compatto che le norme in vigore non vengano abrogate, poi sulle modalità potranno essere anche i singoli cittadini a decidere a secondo della loro volontà. Chiarito quello che dovrebbe essere lapalissiano, Francesco Boccia ed Elly Schlein dovrebbero spiegarci perché chi va alle urne e vota no ai cinque quesiti starebbe mandando un avviso di sfratto al premier. E ancora più oscura è la logica politica. Sembra davvero bizzarra infatti l’idea in base alla quale se gli italiani dovessero decidere di abrogare delle legge (quelle sul Jobs Act di Renzi) volute dalla sinistra debba essere il governo di centrodestra a fare le valigie. Riepiloghiamo: quattro delle cinque domande referendarie fanno riferimento alla riforma del lavoro varata dal governo Renzi. Riforma che ha segnato l’avventura a Palazzo Chigi del fu Rottamatore. E basta vedere la gara ai distinguo sulle virgole e gli aggettivi (una specialità della ditta) tutta interna all’opposizione per capire che il voto di domenica e lunedì sarà poco più di una conta delle posizioni di forza all’interno della sinistra. Da subito, insomma, le parole del capogruppo del Pd al Senato sono apparse strampalate. Ma nelle ultime ore sono cadute nel ridicolo. È sufficiente dare una breve scorsa alle notizie macro-economiche di ieri mattina per rendersene conto. Le agenzie infatti ci dicevano (ma quella di ieri non è che una conferma degli ultimi giudizi delle società di rating e dello spread Btp-Bund crollato sotto quota 100) che economie storicamente trainanti del Vecchio continente, Francia e Germania, non riescono a uscire dallo stato comatoso nel quale si sono cacciate. Mentre l’Italia dà continui segnali di buona salute. Anche ad aprile infatti la produzione industriale della Francia è caduta dell’1,4%. Berlino idem. Con l’aggravante della Bundesbank, la Banca centrale tedesca che ha rivisto al ribasso le previsioni per il 2025, parlando di stagnazione anche in virtù dell’impatto dei dazi Usa. Tutto questo mentre in Italia, sempre dati delle ultime ore, l’occupazione continua a tirare e per la prima volta dal 2004, gli interessi che il Paese paga per i titoli pubblici a due anni sono inferiori a quelli che versa Parigi per i suoi Oat. Se a questi numeri aggiungiamo la beffa, in un settore in gravissima crisi come quello dell’automotive, per la prima volta l’Italia supera la Francia per immatricolazioni (da inizio anno nel mercato italiano sono state immatricolate oltre 722.000 vetture, contro le poco meno di 673.000 in Francia), non si capisce cosa altro debba succedere per far capire all’ex sfidante di Nichi Vendola alle primarie in Puglia del 2010 che va bene la propaganda, ma questa volta l’ha sparata davvero grossa. Anche perché gli basterebbe ascoltare un altro compagno convertito sulla strada della finanza, l’ex responsabile economico del Pd (dal 2013 al 2017) Filippo Taddei, per farsene una ragione. Taddei oggi è managing director di Goldman Sachs e non fa fatica a promuovere l’Italia rispetto agli altri competitor e a spiegare ai mercati che se lo spread scende e i titoli di Stato italiani vanno a ruba il merito è della stabilità del governo Meloni, per il quale non vede rischi a breve. Altro che referendum. Chi gongola è Maurizio Landini. Che già in tv e sui giornali ci andava spesso e volentieri, ma adesso che ha acquisito il dono dell’ubiquità lo si sente discettare su più reti e quotidiani contemporaneamente. Oltre a scalare la sinistra, e il fatto che lui ci tenga a negarlo lo conferma, il segretario della Cgil punta a raggiungere il quorum anche per un tornaconto economico. Secondo la legge 157 del 1999 in caso di superamento del quorum è previsto il rimborso di 1 euro per ogni firma raccolta su ogni singolo quesito. Il tetto massimo è di 500.000 firme. Calcolatrice alla mano, al comitato promotore, composto tra gli altri anche da Maurizio Landini, e Silvia Albano di Magistratura Democratica, spetterebbero 2,5 milioni di euro.
Brunello Cucinelli (Ansa)
Emmanuel Macron e Friedrich Merz (Ansa)