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2021-05-08
Passa in fascia gialla quasi tutta Italia. Ma restiamo ostaggi delle follie dell’Rt
Il consueto bollettino della cabina di regia ieri ci informava che è salito l'indice di contagiosità del coronavirus, passato in Italia dallo 0,85 della scorsa settimana a 0,89. Da lunedì, tutte le Regioni resteranno in fascia gialla, colorazione che tingerà di nuovo Puglia, Basilicata e Calabria mentre la Valle d'Aosta raggiungerà Sicilia e Sardegna in zona arancione. Nessuna retrocessione in «rosso». Cala la pressione su ospedali e terapie intensive, così pure diminuisce l'incidenza settimanale (da 146 è a 127 ogni 100.000 abitanti), ma dipendiamo ancora da quel benedetto Rt per sapere se finiamo in una colorazione diversa, con nuove limitazioni alle libertà personali e pesanti battute d'arresto per l'economia del Paese.
Stiamo parlando di uno dei parametri in base ai quali viene calcolata la capacità di espandersi dell'epidemia, dopo l'applicazione delle misure che dovrebbero contenere il diffondersi del Covid, quindi in una misura contingente. Se l'Rt è superiore a 1, un positivo starebbe contagiando più di una persona: il numero dei casi sarebbe in crescita. Al contrario, un valore inferiore a 1 significherebbe che l'epidemia sta rallentando. Il condizionale è d'obbligo perché l'indice è una stima, perciò relativa, imprecisa, non dà indicazioni sul reale numero delle persone contagiate. Purtroppo anche un singolo caso positivo in più può far balzare l'Rt a valori maggiori di 1, mentre per essere attendibile il valore andrebbe accompagnato dal numero assoluto di casi cui si riferisce. Eppure, anche ieri il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, ha raccomandato «grande attenzione a Rt, deve stare sotto 1».
Da mesi le Regioni chiedono che si cambi metodo nella misurazione dell'andamento della pandemia, per non finire puntualmente penalizzate dopo il report della cabina di regia. «La prima cosa da superare oggi è l'indice Rt», ha detto Massimiliano Fedriga, che lo ritiene poco affidabile perché «quando ci sono pochi casi rischia di salire molto velocemente». Il governatore del Friuli Venezia Giulia, intervenendo ieri a Sky Tg24, spiegava che «i parametri vanno adeguati alla situazione contingente del Paese. Non possiamo immaginare che questa estate, nel pieno della stagione turistica, una Regione che passa da due a otto contagi si ritrovi in zona rossa proprio perché schizza l'Rt». In alternativa, il presidente della Conferenza delle Regioni suggerisce «l'Rt ospedaliero: fa capire se aumentano o diminuiscono le richieste di ospedalizzazione ed è un indicatore che può dare un segnale importante, non una visione distorta». Invece di guardare alle date di inizio sintomi, spesso non comunicate nella loro totalità e che quando i casi sono pochi rischiano di sovrastimare la diffusione del contagio, si considerano quelle di ingresso in ospedale.
La situazione del Veneto è emblematica. Malgrado ieri il tasso di positività fosse all'1,56%, «la minore incidenza della terza ondata», commentava il governatore Luca Zaia, e nonostante da dieci giorni le dimissioni abbiano superato di gran lunga il numero degli ingressi, fino all'ultimo a Venezia si è temuto il passaggio in zona arancione perché l'Rt è 0,95. Anche Zaia insiste per una revisione dei parametri, altrimenti «c'è il rischio che per un calcolo questa estate i turisti si trovino a essere chiusi senza muoversi».
Già rischiamo di riuscire ad attrarre ben pochi vacanzieri, con l'estate alle porte e ancora troppe limitazioni che non incoraggiano un soggiorno nel nostro Paese. Ieri il Financial Times ha dedicato un servizio agli sforzi profusi da alcuni Stati del Sud Europa, utilizzando il Recovery fund per rilanciare il turismo. Ampio spazio veniva dato a quanto stanno facendo Spagna e Grecia, perfino alla Francia (meno legata a pacchetti vacanza «sole e mare») erano riservate più righe che all'Italia, cui si faceva cenno solo per dire che il settore turismo «si prepara a riaprire, utilizzando soldi dell'Ue per questo sforzo» e che ad aprile il governo Draghi «ha vietato l'approdo delle grandi navi da crociera a Venezia».
Sarebbe questa la cartolina del Belpaese che sappiamo offrire? Mentre i tour operator della Croazia da gennaio stanno proponendosi a tedeschi e austriaci come l'alternativa per «salvare le ferie» in sicurezza? Non dimentichiamo che ad aprile la Sardegna era stata pesantemente penalizzata, passando dopo tre settimane da unica Regione bianca alla fascia rossa, perché l'indice Rt era schizzato a 1,54. Non importava che gli altri parametri fossero buoni, con numeri bassi di ricovero nei reparti ordinari e nelle terapie, la retrocessione fu determinata dall'Rt, indice che «viene stimato male e il suo uso è improprio per definire i livelli di rischio», dichiarò alla Nuova Sardegna Antonello Maruotti, professore ordinario di statistica all'università Lumsa di Roma e cofondatore di Stat group 19, gruppo di studi statistici sul Covid 19. Aggiunse: «Se ci fosse stato un caso il primo giorno, 2 il secondo e 3 il terzo, potremmo dedurre che c'è una capacità di contagio altissima. Ma valutare la capacità di contagio partendo da numeri bassi è sbagliato».
Pensiamo alla condizione anche dell'Alto Adige, che ieri ha rischiato di finire tra due giorni in zona arancione perché l'indice è a 1,07. Eppure nella Provincia di Bolzano i positivi sono solo 1.179, nei reparti Covid risultano ricoverate 34 persone, 6 nelle terapie intensive. In territorio altoatesino il coronavirus è praticamente scomparso ma si guarda ancora all'Rt, lanciando messaggi preoccupanti ai turisti che vogliono prenotare vacanze in Italia.
Dubbi sul Tso al liceale «no mask»
Ai compagni di classe aveva appena distribuito un opuscolo che gli avrebbe fornito un uomo misterioso che lui chiama «il costituzionalista» e che ora a Fano bollano tutti come un «no mask». Poi si era incatenato al banco, perché nei giorni scorsi era stato allontanato dall'aula su decisione degli insegnanti. La sua colpa? Protestava contro l'uso della mascherina in classe. E, così, giovedì scorso, dopo due ore durante le quali i docenti avrebbero cercato di farlo desistere, dall'Istituto Olivetti di Fano, nelle Marche, è stato trasferito prima al pronto soccorso, con tanto di pattuglia della polizia, e poi, con un Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, è finito in psichiatria. A 18 anni. Per una protesta. Anche i genitori, subito avvertiti e arrivati sul posto, non hanno potuto fare nulla per evitare il Tso.
Marco Ugo Filisetti, direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale delle Marche, minimizza: «Non è stata la scuola a decidere per il Tso, ma le autorità sanitarie che, evidentemente, lo hanno ritenuto necessario. Certo l'intervento meno è invasivo e meglio è». A chiamare i sanitari è stata la dirigente scolastica. La situazione, però, si sarebbe complicata non a scuola, ma con i sanitari. Per il Tso si sarebbe quindi optato dopo. «Non abbiamo ancora sentito la dirigente scolastica», precisa Filisetti, che esclude elementi tali da poter giustificare l'invio degli ispettori. Ieri mattina, però, davanti all'istituto scolastico, i compagni del diciottenne si sono riuniti per protestare. È stata la dirigente scolastica a spiegare che il «costituzionalista», che le autorità scolastiche conoscono, è una persona che starebbe plagiando il ragazzo.
«Sarei scesa per dargli un pugno in faccia, perché lo ha plagiato e questa storia mi addolora profondamente, soprattutto come mamma», ha detto la preside al Resto del Carlino, aggiungendo che il diciottenne con il cellulare in viva voce parlava con questa persona che gli avrebbe anche suggerito che se la polizia lo avesse portato via con la forza sarebbe stata una aggravante per gli agenti. «Se mi dovessero chiamare dirò tutto», ha detto la preside. Ma dalla scuola non sono partite denunce.
Il giovane ha una buona condotta e un buon rendimento scolastico, ma stando alle ricostruzioni della dirigente scolastica e dei prof sarebbe stato suggestionato da un cinquantenne, suo amico, che lo avrebbe convinto alle azioni di protesta contro la mascherina. Il ragazzo a telefono ha spiegato di stare bene e di aver saputo che rimarrà per una settimana in ospedale. Una dottoressa lo avrebbe privato di oggetti ritenuti pericolosi e gli sarebbero stati somministrati dei calmanti. E prima che gli venisse tolto anche il cellulare, ha detto: «I miei genitori non sono con me». «Si porti subito questo ragazzo in seno alla sua famiglia e si assista lui e i suoi cari con quella prossimità necessaria e di civiltà», ha commentato Vito Inserra dell'associazione Libera-mente. Il senatore della Lega Armando Siri, invece, ha fatto sapere che sta raccogliendo dettagli sulla vicenda: «Ha dell'incredibile», ha commentato, «andrò a fondo».
Massimo Seri, il sindaco di Fano che ha firmato il ricovero, ha spiegato: «È un atto dovuto, perché il ricovero forzato deve essere proposto da un medico e controfirmato da un altro collega. La firma del sindaco è solo una formalità». Il ricovero, poi, dovrà essere validato anche da un giudice del tribunale. La polemica è tutta concentrata sul misterioso «costituzionalista». Ma è il ragazzo a pagarne le conseguenze.
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L'Iss insiste: «Deve rimanere sotto l'1». L'indice però è discusso e può penalizzare il turismo. Regioni alla carica: «Va cambiato».Il diciottenne di Fano ha una buona condotta e buoni voti. Tuttavia, secondo i prof, sarebbe stato plagiato da un amico cinquantenne, che lui chiama «il costituzionalista».Lo speciale contiene due articoli.Il consueto bollettino della cabina di regia ieri ci informava che è salito l'indice di contagiosità del coronavirus, passato in Italia dallo 0,85 della scorsa settimana a 0,89. Da lunedì, tutte le Regioni resteranno in fascia gialla, colorazione che tingerà di nuovo Puglia, Basilicata e Calabria mentre la Valle d'Aosta raggiungerà Sicilia e Sardegna in zona arancione. Nessuna retrocessione in «rosso». Cala la pressione su ospedali e terapie intensive, così pure diminuisce l'incidenza settimanale (da 146 è a 127 ogni 100.000 abitanti), ma dipendiamo ancora da quel benedetto Rt per sapere se finiamo in una colorazione diversa, con nuove limitazioni alle libertà personali e pesanti battute d'arresto per l'economia del Paese. Stiamo parlando di uno dei parametri in base ai quali viene calcolata la capacità di espandersi dell'epidemia, dopo l'applicazione delle misure che dovrebbero contenere il diffondersi del Covid, quindi in una misura contingente. Se l'Rt è superiore a 1, un positivo starebbe contagiando più di una persona: il numero dei casi sarebbe in crescita. Al contrario, un valore inferiore a 1 significherebbe che l'epidemia sta rallentando. Il condizionale è d'obbligo perché l'indice è una stima, perciò relativa, imprecisa, non dà indicazioni sul reale numero delle persone contagiate. Purtroppo anche un singolo caso positivo in più può far balzare l'Rt a valori maggiori di 1, mentre per essere attendibile il valore andrebbe accompagnato dal numero assoluto di casi cui si riferisce. Eppure, anche ieri il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, ha raccomandato «grande attenzione a Rt, deve stare sotto 1».Da mesi le Regioni chiedono che si cambi metodo nella misurazione dell'andamento della pandemia, per non finire puntualmente penalizzate dopo il report della cabina di regia. «La prima cosa da superare oggi è l'indice Rt», ha detto Massimiliano Fedriga, che lo ritiene poco affidabile perché «quando ci sono pochi casi rischia di salire molto velocemente». Il governatore del Friuli Venezia Giulia, intervenendo ieri a Sky Tg24, spiegava che «i parametri vanno adeguati alla situazione contingente del Paese. Non possiamo immaginare che questa estate, nel pieno della stagione turistica, una Regione che passa da due a otto contagi si ritrovi in zona rossa proprio perché schizza l'Rt». In alternativa, il presidente della Conferenza delle Regioni suggerisce «l'Rt ospedaliero: fa capire se aumentano o diminuiscono le richieste di ospedalizzazione ed è un indicatore che può dare un segnale importante, non una visione distorta». Invece di guardare alle date di inizio sintomi, spesso non comunicate nella loro totalità e che quando i casi sono pochi rischiano di sovrastimare la diffusione del contagio, si considerano quelle di ingresso in ospedale. La situazione del Veneto è emblematica. Malgrado ieri il tasso di positività fosse all'1,56%, «la minore incidenza della terza ondata», commentava il governatore Luca Zaia, e nonostante da dieci giorni le dimissioni abbiano superato di gran lunga il numero degli ingressi, fino all'ultimo a Venezia si è temuto il passaggio in zona arancione perché l'Rt è 0,95. Anche Zaia insiste per una revisione dei parametri, altrimenti «c'è il rischio che per un calcolo questa estate i turisti si trovino a essere chiusi senza muoversi». Già rischiamo di riuscire ad attrarre ben pochi vacanzieri, con l'estate alle porte e ancora troppe limitazioni che non incoraggiano un soggiorno nel nostro Paese. Ieri il Financial Times ha dedicato un servizio agli sforzi profusi da alcuni Stati del Sud Europa, utilizzando il Recovery fund per rilanciare il turismo. Ampio spazio veniva dato a quanto stanno facendo Spagna e Grecia, perfino alla Francia (meno legata a pacchetti vacanza «sole e mare») erano riservate più righe che all'Italia, cui si faceva cenno solo per dire che il settore turismo «si prepara a riaprire, utilizzando soldi dell'Ue per questo sforzo» e che ad aprile il governo Draghi «ha vietato l'approdo delle grandi navi da crociera a Venezia». Sarebbe questa la cartolina del Belpaese che sappiamo offrire? Mentre i tour operator della Croazia da gennaio stanno proponendosi a tedeschi e austriaci come l'alternativa per «salvare le ferie» in sicurezza? Non dimentichiamo che ad aprile la Sardegna era stata pesantemente penalizzata, passando dopo tre settimane da unica Regione bianca alla fascia rossa, perché l'indice Rt era schizzato a 1,54. Non importava che gli altri parametri fossero buoni, con numeri bassi di ricovero nei reparti ordinari e nelle terapie, la retrocessione fu determinata dall'Rt, indice che «viene stimato male e il suo uso è improprio per definire i livelli di rischio», dichiarò alla Nuova Sardegna Antonello Maruotti, professore ordinario di statistica all'università Lumsa di Roma e cofondatore di Stat group 19, gruppo di studi statistici sul Covid 19. Aggiunse: «Se ci fosse stato un caso il primo giorno, 2 il secondo e 3 il terzo, potremmo dedurre che c'è una capacità di contagio altissima. Ma valutare la capacità di contagio partendo da numeri bassi è sbagliato». Pensiamo alla condizione anche dell'Alto Adige, che ieri ha rischiato di finire tra due giorni in zona arancione perché l'indice è a 1,07. Eppure nella Provincia di Bolzano i positivi sono solo 1.179, nei reparti Covid risultano ricoverate 34 persone, 6 nelle terapie intensive. In territorio altoatesino il coronavirus è praticamente scomparso ma si guarda ancora all'Rt, lanciando messaggi preoccupanti ai turisti che vogliono prenotare vacanze in Italia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/passa-in-fascia-gialla-quasi-tutta-italia-ma-restiamo-ostaggi-delle-follie-dellrt-2652917787.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dubbi-sul-tso-al-liceale-no-mask" data-post-id="2652917787" data-published-at="1620417900" data-use-pagination="False"> Dubbi sul Tso al liceale «no mask» Ai compagni di classe aveva appena distribuito un opuscolo che gli avrebbe fornito un uomo misterioso che lui chiama «il costituzionalista» e che ora a Fano bollano tutti come un «no mask». Poi si era incatenato al banco, perché nei giorni scorsi era stato allontanato dall'aula su decisione degli insegnanti. La sua colpa? Protestava contro l'uso della mascherina in classe. E, così, giovedì scorso, dopo due ore durante le quali i docenti avrebbero cercato di farlo desistere, dall'Istituto Olivetti di Fano, nelle Marche, è stato trasferito prima al pronto soccorso, con tanto di pattuglia della polizia, e poi, con un Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, è finito in psichiatria. A 18 anni. Per una protesta. Anche i genitori, subito avvertiti e arrivati sul posto, non hanno potuto fare nulla per evitare il Tso. Marco Ugo Filisetti, direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale delle Marche, minimizza: «Non è stata la scuola a decidere per il Tso, ma le autorità sanitarie che, evidentemente, lo hanno ritenuto necessario. Certo l'intervento meno è invasivo e meglio è». A chiamare i sanitari è stata la dirigente scolastica. La situazione, però, si sarebbe complicata non a scuola, ma con i sanitari. Per il Tso si sarebbe quindi optato dopo. «Non abbiamo ancora sentito la dirigente scolastica», precisa Filisetti, che esclude elementi tali da poter giustificare l'invio degli ispettori. Ieri mattina, però, davanti all'istituto scolastico, i compagni del diciottenne si sono riuniti per protestare. È stata la dirigente scolastica a spiegare che il «costituzionalista», che le autorità scolastiche conoscono, è una persona che starebbe plagiando il ragazzo. «Sarei scesa per dargli un pugno in faccia, perché lo ha plagiato e questa storia mi addolora profondamente, soprattutto come mamma», ha detto la preside al Resto del Carlino, aggiungendo che il diciottenne con il cellulare in viva voce parlava con questa persona che gli avrebbe anche suggerito che se la polizia lo avesse portato via con la forza sarebbe stata una aggravante per gli agenti. «Se mi dovessero chiamare dirò tutto», ha detto la preside. Ma dalla scuola non sono partite denunce. Il giovane ha una buona condotta e un buon rendimento scolastico, ma stando alle ricostruzioni della dirigente scolastica e dei prof sarebbe stato suggestionato da un cinquantenne, suo amico, che lo avrebbe convinto alle azioni di protesta contro la mascherina. Il ragazzo a telefono ha spiegato di stare bene e di aver saputo che rimarrà per una settimana in ospedale. Una dottoressa lo avrebbe privato di oggetti ritenuti pericolosi e gli sarebbero stati somministrati dei calmanti. E prima che gli venisse tolto anche il cellulare, ha detto: «I miei genitori non sono con me». «Si porti subito questo ragazzo in seno alla sua famiglia e si assista lui e i suoi cari con quella prossimità necessaria e di civiltà», ha commentato Vito Inserra dell'associazione Libera-mente. Il senatore della Lega Armando Siri, invece, ha fatto sapere che sta raccogliendo dettagli sulla vicenda: «Ha dell'incredibile», ha commentato, «andrò a fondo». Massimo Seri, il sindaco di Fano che ha firmato il ricovero, ha spiegato: «È un atto dovuto, perché il ricovero forzato deve essere proposto da un medico e controfirmato da un altro collega. La firma del sindaco è solo una formalità». Il ricovero, poi, dovrà essere validato anche da un giudice del tribunale. La polemica è tutta concentrata sul misterioso «costituzionalista». Ma è il ragazzo a pagarne le conseguenze.
Ansa
Questo, infatti, «prevede un principio fondamentale del nostro ordinamento, non derogabile neppure da fonti internazionali. Insieme all’articolo 2», ossia quello che sancisce l’inviolabilità dei diritti umani, «può fungere da controlimite anche verso il diritto Ue, che non avrebbe ingresso in Italia».
Prodigi dell’ideologia: all’improvviso, il corpaccione di direttive e regolamenti europei non è più sacro, inviolabile, sistematicamente anteposto alle leggi nazionali; se di mezzo ci sono i rimpatri veloci, oppure l’idea che Egitto, Bangladesh e Tunisia siano Stati nei quali è lecito rispedire i migranti, i giudici riscoprono nella nostra Costituzione un argine. E anziché disapplicare le norme italiane, vietano l’«ingresso» a quelle europee.
Peraltro, Minniti, già candidato al Csm per Area, corrente di centrosinistra, nel 2021, era stato uno dei primi, un paio d’anni fa, a sconfessare la lista governativa dei Paesi sicuri: bocciò la decisione di infilarci dentro proprio la Tunisia. Va però segnalato che, a dispetto dell’omonimia con il ministro piddino, noto per aver messo un freno alle missioni delle Ong nel Mediterraneo, quello della Costituzione «come limite alla regressione e spinta al rafforzamento della protezione dello straniero» - citiamo il titolo di un suo articolo del 2018 - era un vecchio pallino di Minniti. Ne scrisse già sette anni fa, appunto, su Questione Giustizia, la rivista di Magistratura democratica. Tanto per fugare ogni eventuale dubbio sulla sua neutralità politica.
La posizione delle toghe, dunque, è questa: se le leggi italiane sono più severe delle norme europee in materia di immigrazione, allora bisogna snobbare le leggi nazionali, in nome del primato del diritto Ue, autenticamente umanitario; ma se l’Ue, su impulso dell’Eurocamera e del Consiglio, impone un giro di vite, allora il primato del diritto europeo va a farsi benedire, perché gli subentra il controlimite della Costituzione. Oltre alla possibilità, accordata dalla Corte di Lussemburgo ai magistrati e rivendicata da Minniti, di questionare gli elenchi dei Paesi sicuri.
È un meccanismo che si mette in moto ogni volta che Roma o Bruxelles cercano di moderare i flussi migratori e di accelerare le espulsioni. Ed è un peccato che, tra i «principi fondamentali del nostro ordinamento, non derogabili neppure da fonti internazionali», di cui parlava Minniti al Manifesto, insieme alle prerogative degli stranieri, non vengano considerate quelle degli italiani.
Nel novero dei «diritti inviolabili», sancito dall’articolo 2 della Carta, dovrebbero rientrare tutti quelli indicati dalla Dichiarazione Onu del 1948. Compresi il diritto alla vita e alla «sicurezza della propria persona». Che, a quanto risulta dalle statistiche del Viminale, sono messi a repentaglio dall’invasione degli immigrati, i quali vengono arrestati o denunciati per il 60% dei reati predatori, senza contare il 44% delle violenze sessuali, benché gli stranieri siano solo il 9% della popolazione.
E poi, la Costituzione non afferma che la sovranità appartiene al popolo? Nell’esercitarla, i rappresentanti eletti in Parlamento non possono certo perpetrare degli abusi sulle minoranze. Ma in mezzo ai tanti diritti intoccabili di bengalesi, egiziani e subsahariani, possibile non ci sia uno spazietto per il diritto del popolo a regolamentare il fenomeno dell’immigrazione? A rendere più efficace e rapido il sistema dei rimpatri?
Non vogliamo spingerci fino a sostenere un argomento estremo: siccome la Costituzione fu sospesa durante la pandemia a detrimento degli italiani, rinchiusi, multati se circolavano dopo le dieci di sera, esclusi da lavoro e stipendio se non si vaccinavano, allora essa può ben essere sospesa allo scopo di controllare i confini e tutelare l’ordine pubblico. No, il punto è un altro: siamo così sicuri che rimandare a casa sua un adulto sano, che non rischia di essere perseguitato né ucciso in guerra, senza aspettare i consueti «due anni» che secondo Minniti impiegano le Corti per pronunciarsi, significhi fare carne di porco della nostra nobile civiltà giuridica? Va benissimo preoccuparsi della «protezione dello straniero». Ma gli italiani chi li protegge?
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Ansa
L’ordinanza, firmata dal giudice Ludovico Morello, dispone «la cessazione del trattenimento» nel Cpr, smentendo la convalida già emessa dalla stessa Corte e arrivando a smontarla, senza che nel frattempo sia accaduto nulla che non fosse già noto. E infatti gli uffici del ministero dell’Interno starebbero valutando di impugnare la decisione.
Il giudice, nella premessa, ricorda che il ricorso è ammesso «qualora si verifichino circostanze o emergano nuove informazioni che possano mettere in discussione la legittimità del trattenimento». Poi interpreta: «Seppure non possa parlarsi di revoca giurisdizionale della convalida, è da ritenere consentita comunque una domanda di riesame del trattenimento dello straniero e che, mancando una apposita disciplina normativa al riguardo, esso possa farsi valere con lo strumento generico del procedimento camerale […] per ottenere un diverso esame dei presupposti del trattenimento alla luce di circostanze di fatto nuove o non considerate nella sede della convalida». Alla base della decisione ci sarebbe quindi l’assenza «di un’apposita disciplina normativa». Ed ecco trovato il varco. Il primo elemento indicato riguarda i procedimenti penali richiamati nel decreto di convalida: uno, nato su segnalazione della Digos, per le parole pronunciate durante una manifestazione, il 9 ottobre, che sembravano giustificare il pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023, il secondo per un blocco stradale risalente allo scorso maggio al quale l’imam avrebbe partecipato insieme a un gruppo pro Pal. Il giudice scrive che «gli atti relativi a tali procedimenti non risultano essere stati secretati» e che l’assenza di segreto era stata, «contrariamente a quanto si pensava in un primo momento», ignorata nella decisione precedente, che aveva valorizzato proprio quel presupposto «a supporto del giudizio di pericolosità». Il primo procedimento, secondo il giudice, sarebbe stato «immediatamente archiviato (in data 16 ottobre, ndr) da parte della stessa Procura», perché le dichiarazioni del trattenuto sarebbero «espressione di pensiero che non integra estremi di reato». Ma se l’archiviazione è del 16 ottobre e la convalida è del 28 novembre, il fatto non è sopravvenuto. È precedente. Eppure viene trattato come elemento nuovo.
Non solo. La Corte precisa, citando la Costituzione, che le dichiarazioni dell’imam sarebbero «pienamente lecite» e aggiunge che la «condivisibilità o meno e la loro censurabilità etica e morale» è un giudizio che «non compete in alcun modo» alla Corte e «non può incidere di per sé solo sul giudizio di pericolosità in uno Stato di diritto».
«Parliamo di una persona che ha definito l’attacco del 7 ottobre un atto di “resistenza”, negandone la violenza», ha commentato sui social il premier Giorgia Meloni, aggiungendo: «Dalle mie parti significa giustificare, se non istigare, il terrorismo. Qualcuno mi può spiegare come facciamo a difendere la sicurezza degli italiani se ogni iniziativa che va in questo senso viene sistematicamente annullata da alcuni giudici?». La stessa dinamica si ripete sul blocco stradale del 17 maggio 2025. La Corte afferma che «dall’esame degli atti emerge una condotta del trattenuto non connotata da alcuna violenza». Anche qui non viene indicato alcun fatto nuovo. Cambia solo il giudizio. Anche i contatti con soggetti indagati o condannati per terrorismo vengono ridimensionati. Nella precedente decisione a quelle relazioni era stato attribuito un certo peso specifico: «Nel marzo 2012 veniva fermato a Imperia insieme a Giuliano Ibrahim Del Nievo, trasferitosi quello stesso anno in Siria per unirsi alle formazioni jihadiste e morto in combattimento nel 2013». Nel 2018, in un’indagine su Elmahdi Halili (condannato nel 2019, con sentenza divenuta irrevocabile nel 2022, per aver partecipato all’organizzazione terroristica dello Stato islamico), «veniva registrata una conversazione in cui questi consigliava ad altro soggetto di rivolgersi a Shanin presso la moschea di Torino». Rapporti che ora diventano «isolati, decisamente datati» e «ampiamente spiegati e giustificati dal trattenuto nel corso della convalida». Spiegazioni che erano già state rese prima del 28 novembre, ma che allora non avevano impedito la convalida.
Nel decreto di Piantedosi, l’imam veniva indicato come un uomo «radicalizzato», «portatore di ideologia fondamentalista e antisemita». Ma, soprattutto, come vicino alla Fratellanza musulmana, movimento politico-religioso sunnita nato in Egitto nel 1928, che punta a costruire uno Stato ispirato alla legge islamica. Unico passaggio, quello sulla Fratellanza musulmana, al quale il giudice non fa cenno.
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Mohammad Shahin (Ansa)
Naturalmente non stupisce che la Corte d’Appello sia di manica larga con un imam che teorizza che l’assassinio di 1.200 persone e il rapimento di altre 250 non sia violenza. In fondo la sentenza si inserisce in una tendenza che nei tribunali italiani gode di una certa popolarità. Non furono ritenute incompatibili con il trattenimento nel Cpr in Albania anche decine di extracomunitari con la fedina penale lunga una spanna? Nonostante nel casellario giudiziale figurassero precedenti per reati anche gravi come aggressioni e perfino un tentato omicidio, i migranti furono prontamente rimpatriati e ovviamente lasciati liberi di scorrazzare per il Paese e di commettere altri crimini. Sia mai che qualcuno venga trattenuto e successivamente espulso.
Del resto, recentemente un altro magistrato, questa volta di Bologna, ha detto al Manifesto che le recenti disposizioni europee in materia di Paesi sicuri sono da ritenersi incostituzionali. Perché ovviamente per alcune toghe il diritto è à la carte, cioè si sceglie da un menù quello che più gusta. Se bisogna opporre un diniego alla legge varata dal Parlamento ci si appella alla giurisprudenza europea, che va da sé è preminente rispetto a quella nazionale. Ma se poi una direttiva Ue o del Consiglio europeo non piace si fa il contrario e ci si appella al diritto italiano, che in questo caso torna prevalente. Insomma, comunque vada il migrante ha sempre ragione e deve essere ritenuto discriminato e dunque coccolato e tutelato. Se un italiano inneggia al fascismo deve essere messo in galera, se un imam si dichiara d’accordo con una strage, non considerandola violenza ma resistenza invece scatta la libertà di espressione, quella stessa espressione che gli autori del massacro di Charlie Hebdo anni fa negarono ai vignettisti del settimanale francese, colpevoli di aver disegnato immagini sarcastiche sull’islam.
Purtroppo, la tendenza a giustificare tutto e dare addosso a chi denuncia i pericoli legati a un’immigrazione indiscriminata ormai dilaga. Ieri sulla prima pagina di Repubblica campeggiava uno studio in cui la questione che lega gli stranieri al crescente clima di insicurezza era addebitata ai media. Colpa di giornali e tv se si parla di migranti. «I picchi di informazione e audience sul pericolo stranieri avvengono nei periodi elettorali», tiene a precisare il quotidiano che la famiglia Agnelli ha messo in vendita. In realtà i picchi coincidono sempre con fatti di cronaca nera. Stragi, rapine, stupri: quei fatti che né i giudici, né alcuni giornali vogliono vedere.
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