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2021-05-08
Passa in fascia gialla quasi tutta Italia. Ma restiamo ostaggi delle follie dell’Rt
Il consueto bollettino della cabina di regia ieri ci informava che è salito l'indice di contagiosità del coronavirus, passato in Italia dallo 0,85 della scorsa settimana a 0,89. Da lunedì, tutte le Regioni resteranno in fascia gialla, colorazione che tingerà di nuovo Puglia, Basilicata e Calabria mentre la Valle d'Aosta raggiungerà Sicilia e Sardegna in zona arancione. Nessuna retrocessione in «rosso». Cala la pressione su ospedali e terapie intensive, così pure diminuisce l'incidenza settimanale (da 146 è a 127 ogni 100.000 abitanti), ma dipendiamo ancora da quel benedetto Rt per sapere se finiamo in una colorazione diversa, con nuove limitazioni alle libertà personali e pesanti battute d'arresto per l'economia del Paese.
Stiamo parlando di uno dei parametri in base ai quali viene calcolata la capacità di espandersi dell'epidemia, dopo l'applicazione delle misure che dovrebbero contenere il diffondersi del Covid, quindi in una misura contingente. Se l'Rt è superiore a 1, un positivo starebbe contagiando più di una persona: il numero dei casi sarebbe in crescita. Al contrario, un valore inferiore a 1 significherebbe che l'epidemia sta rallentando. Il condizionale è d'obbligo perché l'indice è una stima, perciò relativa, imprecisa, non dà indicazioni sul reale numero delle persone contagiate. Purtroppo anche un singolo caso positivo in più può far balzare l'Rt a valori maggiori di 1, mentre per essere attendibile il valore andrebbe accompagnato dal numero assoluto di casi cui si riferisce. Eppure, anche ieri il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, ha raccomandato «grande attenzione a Rt, deve stare sotto 1».
Da mesi le Regioni chiedono che si cambi metodo nella misurazione dell'andamento della pandemia, per non finire puntualmente penalizzate dopo il report della cabina di regia. «La prima cosa da superare oggi è l'indice Rt», ha detto Massimiliano Fedriga, che lo ritiene poco affidabile perché «quando ci sono pochi casi rischia di salire molto velocemente». Il governatore del Friuli Venezia Giulia, intervenendo ieri a Sky Tg24, spiegava che «i parametri vanno adeguati alla situazione contingente del Paese. Non possiamo immaginare che questa estate, nel pieno della stagione turistica, una Regione che passa da due a otto contagi si ritrovi in zona rossa proprio perché schizza l'Rt». In alternativa, il presidente della Conferenza delle Regioni suggerisce «l'Rt ospedaliero: fa capire se aumentano o diminuiscono le richieste di ospedalizzazione ed è un indicatore che può dare un segnale importante, non una visione distorta». Invece di guardare alle date di inizio sintomi, spesso non comunicate nella loro totalità e che quando i casi sono pochi rischiano di sovrastimare la diffusione del contagio, si considerano quelle di ingresso in ospedale.
La situazione del Veneto è emblematica. Malgrado ieri il tasso di positività fosse all'1,56%, «la minore incidenza della terza ondata», commentava il governatore Luca Zaia, e nonostante da dieci giorni le dimissioni abbiano superato di gran lunga il numero degli ingressi, fino all'ultimo a Venezia si è temuto il passaggio in zona arancione perché l'Rt è 0,95. Anche Zaia insiste per una revisione dei parametri, altrimenti «c'è il rischio che per un calcolo questa estate i turisti si trovino a essere chiusi senza muoversi».
Già rischiamo di riuscire ad attrarre ben pochi vacanzieri, con l'estate alle porte e ancora troppe limitazioni che non incoraggiano un soggiorno nel nostro Paese. Ieri il Financial Times ha dedicato un servizio agli sforzi profusi da alcuni Stati del Sud Europa, utilizzando il Recovery fund per rilanciare il turismo. Ampio spazio veniva dato a quanto stanno facendo Spagna e Grecia, perfino alla Francia (meno legata a pacchetti vacanza «sole e mare») erano riservate più righe che all'Italia, cui si faceva cenno solo per dire che il settore turismo «si prepara a riaprire, utilizzando soldi dell'Ue per questo sforzo» e che ad aprile il governo Draghi «ha vietato l'approdo delle grandi navi da crociera a Venezia».
Sarebbe questa la cartolina del Belpaese che sappiamo offrire? Mentre i tour operator della Croazia da gennaio stanno proponendosi a tedeschi e austriaci come l'alternativa per «salvare le ferie» in sicurezza? Non dimentichiamo che ad aprile la Sardegna era stata pesantemente penalizzata, passando dopo tre settimane da unica Regione bianca alla fascia rossa, perché l'indice Rt era schizzato a 1,54. Non importava che gli altri parametri fossero buoni, con numeri bassi di ricovero nei reparti ordinari e nelle terapie, la retrocessione fu determinata dall'Rt, indice che «viene stimato male e il suo uso è improprio per definire i livelli di rischio», dichiarò alla Nuova Sardegna Antonello Maruotti, professore ordinario di statistica all'università Lumsa di Roma e cofondatore di Stat group 19, gruppo di studi statistici sul Covid 19. Aggiunse: «Se ci fosse stato un caso il primo giorno, 2 il secondo e 3 il terzo, potremmo dedurre che c'è una capacità di contagio altissima. Ma valutare la capacità di contagio partendo da numeri bassi è sbagliato».
Pensiamo alla condizione anche dell'Alto Adige, che ieri ha rischiato di finire tra due giorni in zona arancione perché l'indice è a 1,07. Eppure nella Provincia di Bolzano i positivi sono solo 1.179, nei reparti Covid risultano ricoverate 34 persone, 6 nelle terapie intensive. In territorio altoatesino il coronavirus è praticamente scomparso ma si guarda ancora all'Rt, lanciando messaggi preoccupanti ai turisti che vogliono prenotare vacanze in Italia.
Dubbi sul Tso al liceale «no mask»
Ai compagni di classe aveva appena distribuito un opuscolo che gli avrebbe fornito un uomo misterioso che lui chiama «il costituzionalista» e che ora a Fano bollano tutti come un «no mask». Poi si era incatenato al banco, perché nei giorni scorsi era stato allontanato dall'aula su decisione degli insegnanti. La sua colpa? Protestava contro l'uso della mascherina in classe. E, così, giovedì scorso, dopo due ore durante le quali i docenti avrebbero cercato di farlo desistere, dall'Istituto Olivetti di Fano, nelle Marche, è stato trasferito prima al pronto soccorso, con tanto di pattuglia della polizia, e poi, con un Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, è finito in psichiatria. A 18 anni. Per una protesta. Anche i genitori, subito avvertiti e arrivati sul posto, non hanno potuto fare nulla per evitare il Tso.
Marco Ugo Filisetti, direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale delle Marche, minimizza: «Non è stata la scuola a decidere per il Tso, ma le autorità sanitarie che, evidentemente, lo hanno ritenuto necessario. Certo l'intervento meno è invasivo e meglio è». A chiamare i sanitari è stata la dirigente scolastica. La situazione, però, si sarebbe complicata non a scuola, ma con i sanitari. Per il Tso si sarebbe quindi optato dopo. «Non abbiamo ancora sentito la dirigente scolastica», precisa Filisetti, che esclude elementi tali da poter giustificare l'invio degli ispettori. Ieri mattina, però, davanti all'istituto scolastico, i compagni del diciottenne si sono riuniti per protestare. È stata la dirigente scolastica a spiegare che il «costituzionalista», che le autorità scolastiche conoscono, è una persona che starebbe plagiando il ragazzo.
«Sarei scesa per dargli un pugno in faccia, perché lo ha plagiato e questa storia mi addolora profondamente, soprattutto come mamma», ha detto la preside al Resto del Carlino, aggiungendo che il diciottenne con il cellulare in viva voce parlava con questa persona che gli avrebbe anche suggerito che se la polizia lo avesse portato via con la forza sarebbe stata una aggravante per gli agenti. «Se mi dovessero chiamare dirò tutto», ha detto la preside. Ma dalla scuola non sono partite denunce.
Il giovane ha una buona condotta e un buon rendimento scolastico, ma stando alle ricostruzioni della dirigente scolastica e dei prof sarebbe stato suggestionato da un cinquantenne, suo amico, che lo avrebbe convinto alle azioni di protesta contro la mascherina. Il ragazzo a telefono ha spiegato di stare bene e di aver saputo che rimarrà per una settimana in ospedale. Una dottoressa lo avrebbe privato di oggetti ritenuti pericolosi e gli sarebbero stati somministrati dei calmanti. E prima che gli venisse tolto anche il cellulare, ha detto: «I miei genitori non sono con me». «Si porti subito questo ragazzo in seno alla sua famiglia e si assista lui e i suoi cari con quella prossimità necessaria e di civiltà», ha commentato Vito Inserra dell'associazione Libera-mente. Il senatore della Lega Armando Siri, invece, ha fatto sapere che sta raccogliendo dettagli sulla vicenda: «Ha dell'incredibile», ha commentato, «andrò a fondo».
Massimo Seri, il sindaco di Fano che ha firmato il ricovero, ha spiegato: «È un atto dovuto, perché il ricovero forzato deve essere proposto da un medico e controfirmato da un altro collega. La firma del sindaco è solo una formalità». Il ricovero, poi, dovrà essere validato anche da un giudice del tribunale. La polemica è tutta concentrata sul misterioso «costituzionalista». Ma è il ragazzo a pagarne le conseguenze.
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L'Iss insiste: «Deve rimanere sotto l'1». L'indice però è discusso e può penalizzare il turismo. Regioni alla carica: «Va cambiato».Il diciottenne di Fano ha una buona condotta e buoni voti. Tuttavia, secondo i prof, sarebbe stato plagiato da un amico cinquantenne, che lui chiama «il costituzionalista».Lo speciale contiene due articoli.Il consueto bollettino della cabina di regia ieri ci informava che è salito l'indice di contagiosità del coronavirus, passato in Italia dallo 0,85 della scorsa settimana a 0,89. Da lunedì, tutte le Regioni resteranno in fascia gialla, colorazione che tingerà di nuovo Puglia, Basilicata e Calabria mentre la Valle d'Aosta raggiungerà Sicilia e Sardegna in zona arancione. Nessuna retrocessione in «rosso». Cala la pressione su ospedali e terapie intensive, così pure diminuisce l'incidenza settimanale (da 146 è a 127 ogni 100.000 abitanti), ma dipendiamo ancora da quel benedetto Rt per sapere se finiamo in una colorazione diversa, con nuove limitazioni alle libertà personali e pesanti battute d'arresto per l'economia del Paese. Stiamo parlando di uno dei parametri in base ai quali viene calcolata la capacità di espandersi dell'epidemia, dopo l'applicazione delle misure che dovrebbero contenere il diffondersi del Covid, quindi in una misura contingente. Se l'Rt è superiore a 1, un positivo starebbe contagiando più di una persona: il numero dei casi sarebbe in crescita. Al contrario, un valore inferiore a 1 significherebbe che l'epidemia sta rallentando. Il condizionale è d'obbligo perché l'indice è una stima, perciò relativa, imprecisa, non dà indicazioni sul reale numero delle persone contagiate. Purtroppo anche un singolo caso positivo in più può far balzare l'Rt a valori maggiori di 1, mentre per essere attendibile il valore andrebbe accompagnato dal numero assoluto di casi cui si riferisce. Eppure, anche ieri il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, ha raccomandato «grande attenzione a Rt, deve stare sotto 1».Da mesi le Regioni chiedono che si cambi metodo nella misurazione dell'andamento della pandemia, per non finire puntualmente penalizzate dopo il report della cabina di regia. «La prima cosa da superare oggi è l'indice Rt», ha detto Massimiliano Fedriga, che lo ritiene poco affidabile perché «quando ci sono pochi casi rischia di salire molto velocemente». Il governatore del Friuli Venezia Giulia, intervenendo ieri a Sky Tg24, spiegava che «i parametri vanno adeguati alla situazione contingente del Paese. Non possiamo immaginare che questa estate, nel pieno della stagione turistica, una Regione che passa da due a otto contagi si ritrovi in zona rossa proprio perché schizza l'Rt». In alternativa, il presidente della Conferenza delle Regioni suggerisce «l'Rt ospedaliero: fa capire se aumentano o diminuiscono le richieste di ospedalizzazione ed è un indicatore che può dare un segnale importante, non una visione distorta». Invece di guardare alle date di inizio sintomi, spesso non comunicate nella loro totalità e che quando i casi sono pochi rischiano di sovrastimare la diffusione del contagio, si considerano quelle di ingresso in ospedale. La situazione del Veneto è emblematica. Malgrado ieri il tasso di positività fosse all'1,56%, «la minore incidenza della terza ondata», commentava il governatore Luca Zaia, e nonostante da dieci giorni le dimissioni abbiano superato di gran lunga il numero degli ingressi, fino all'ultimo a Venezia si è temuto il passaggio in zona arancione perché l'Rt è 0,95. Anche Zaia insiste per una revisione dei parametri, altrimenti «c'è il rischio che per un calcolo questa estate i turisti si trovino a essere chiusi senza muoversi». Già rischiamo di riuscire ad attrarre ben pochi vacanzieri, con l'estate alle porte e ancora troppe limitazioni che non incoraggiano un soggiorno nel nostro Paese. Ieri il Financial Times ha dedicato un servizio agli sforzi profusi da alcuni Stati del Sud Europa, utilizzando il Recovery fund per rilanciare il turismo. Ampio spazio veniva dato a quanto stanno facendo Spagna e Grecia, perfino alla Francia (meno legata a pacchetti vacanza «sole e mare») erano riservate più righe che all'Italia, cui si faceva cenno solo per dire che il settore turismo «si prepara a riaprire, utilizzando soldi dell'Ue per questo sforzo» e che ad aprile il governo Draghi «ha vietato l'approdo delle grandi navi da crociera a Venezia». Sarebbe questa la cartolina del Belpaese che sappiamo offrire? Mentre i tour operator della Croazia da gennaio stanno proponendosi a tedeschi e austriaci come l'alternativa per «salvare le ferie» in sicurezza? Non dimentichiamo che ad aprile la Sardegna era stata pesantemente penalizzata, passando dopo tre settimane da unica Regione bianca alla fascia rossa, perché l'indice Rt era schizzato a 1,54. Non importava che gli altri parametri fossero buoni, con numeri bassi di ricovero nei reparti ordinari e nelle terapie, la retrocessione fu determinata dall'Rt, indice che «viene stimato male e il suo uso è improprio per definire i livelli di rischio», dichiarò alla Nuova Sardegna Antonello Maruotti, professore ordinario di statistica all'università Lumsa di Roma e cofondatore di Stat group 19, gruppo di studi statistici sul Covid 19. Aggiunse: «Se ci fosse stato un caso il primo giorno, 2 il secondo e 3 il terzo, potremmo dedurre che c'è una capacità di contagio altissima. Ma valutare la capacità di contagio partendo da numeri bassi è sbagliato». Pensiamo alla condizione anche dell'Alto Adige, che ieri ha rischiato di finire tra due giorni in zona arancione perché l'indice è a 1,07. Eppure nella Provincia di Bolzano i positivi sono solo 1.179, nei reparti Covid risultano ricoverate 34 persone, 6 nelle terapie intensive. In territorio altoatesino il coronavirus è praticamente scomparso ma si guarda ancora all'Rt, lanciando messaggi preoccupanti ai turisti che vogliono prenotare vacanze in Italia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/passa-in-fascia-gialla-quasi-tutta-italia-ma-restiamo-ostaggi-delle-follie-dellrt-2652917787.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dubbi-sul-tso-al-liceale-no-mask" data-post-id="2652917787" data-published-at="1620417900" data-use-pagination="False"> Dubbi sul Tso al liceale «no mask» Ai compagni di classe aveva appena distribuito un opuscolo che gli avrebbe fornito un uomo misterioso che lui chiama «il costituzionalista» e che ora a Fano bollano tutti come un «no mask». Poi si era incatenato al banco, perché nei giorni scorsi era stato allontanato dall'aula su decisione degli insegnanti. La sua colpa? Protestava contro l'uso della mascherina in classe. E, così, giovedì scorso, dopo due ore durante le quali i docenti avrebbero cercato di farlo desistere, dall'Istituto Olivetti di Fano, nelle Marche, è stato trasferito prima al pronto soccorso, con tanto di pattuglia della polizia, e poi, con un Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, è finito in psichiatria. A 18 anni. Per una protesta. Anche i genitori, subito avvertiti e arrivati sul posto, non hanno potuto fare nulla per evitare il Tso. Marco Ugo Filisetti, direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale delle Marche, minimizza: «Non è stata la scuola a decidere per il Tso, ma le autorità sanitarie che, evidentemente, lo hanno ritenuto necessario. Certo l'intervento meno è invasivo e meglio è». A chiamare i sanitari è stata la dirigente scolastica. La situazione, però, si sarebbe complicata non a scuola, ma con i sanitari. Per il Tso si sarebbe quindi optato dopo. «Non abbiamo ancora sentito la dirigente scolastica», precisa Filisetti, che esclude elementi tali da poter giustificare l'invio degli ispettori. Ieri mattina, però, davanti all'istituto scolastico, i compagni del diciottenne si sono riuniti per protestare. È stata la dirigente scolastica a spiegare che il «costituzionalista», che le autorità scolastiche conoscono, è una persona che starebbe plagiando il ragazzo. «Sarei scesa per dargli un pugno in faccia, perché lo ha plagiato e questa storia mi addolora profondamente, soprattutto come mamma», ha detto la preside al Resto del Carlino, aggiungendo che il diciottenne con il cellulare in viva voce parlava con questa persona che gli avrebbe anche suggerito che se la polizia lo avesse portato via con la forza sarebbe stata una aggravante per gli agenti. «Se mi dovessero chiamare dirò tutto», ha detto la preside. Ma dalla scuola non sono partite denunce. Il giovane ha una buona condotta e un buon rendimento scolastico, ma stando alle ricostruzioni della dirigente scolastica e dei prof sarebbe stato suggestionato da un cinquantenne, suo amico, che lo avrebbe convinto alle azioni di protesta contro la mascherina. Il ragazzo a telefono ha spiegato di stare bene e di aver saputo che rimarrà per una settimana in ospedale. Una dottoressa lo avrebbe privato di oggetti ritenuti pericolosi e gli sarebbero stati somministrati dei calmanti. E prima che gli venisse tolto anche il cellulare, ha detto: «I miei genitori non sono con me». «Si porti subito questo ragazzo in seno alla sua famiglia e si assista lui e i suoi cari con quella prossimità necessaria e di civiltà», ha commentato Vito Inserra dell'associazione Libera-mente. Il senatore della Lega Armando Siri, invece, ha fatto sapere che sta raccogliendo dettagli sulla vicenda: «Ha dell'incredibile», ha commentato, «andrò a fondo». Massimo Seri, il sindaco di Fano che ha firmato il ricovero, ha spiegato: «È un atto dovuto, perché il ricovero forzato deve essere proposto da un medico e controfirmato da un altro collega. La firma del sindaco è solo una formalità». Il ricovero, poi, dovrà essere validato anche da un giudice del tribunale. La polemica è tutta concentrata sul misterioso «costituzionalista». Ma è il ragazzo a pagarne le conseguenze.
(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia durante un'intervista a margine dell’evento «Con coraggio e libertà», dedicato alla figura del giornalista e reporter di guerra Almerigo Grilz.