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2021-05-08
Passa in fascia gialla quasi tutta Italia. Ma restiamo ostaggi delle follie dell’Rt
Il consueto bollettino della cabina di regia ieri ci informava che è salito l'indice di contagiosità del coronavirus, passato in Italia dallo 0,85 della scorsa settimana a 0,89. Da lunedì, tutte le Regioni resteranno in fascia gialla, colorazione che tingerà di nuovo Puglia, Basilicata e Calabria mentre la Valle d'Aosta raggiungerà Sicilia e Sardegna in zona arancione. Nessuna retrocessione in «rosso». Cala la pressione su ospedali e terapie intensive, così pure diminuisce l'incidenza settimanale (da 146 è a 127 ogni 100.000 abitanti), ma dipendiamo ancora da quel benedetto Rt per sapere se finiamo in una colorazione diversa, con nuove limitazioni alle libertà personali e pesanti battute d'arresto per l'economia del Paese.
Stiamo parlando di uno dei parametri in base ai quali viene calcolata la capacità di espandersi dell'epidemia, dopo l'applicazione delle misure che dovrebbero contenere il diffondersi del Covid, quindi in una misura contingente. Se l'Rt è superiore a 1, un positivo starebbe contagiando più di una persona: il numero dei casi sarebbe in crescita. Al contrario, un valore inferiore a 1 significherebbe che l'epidemia sta rallentando. Il condizionale è d'obbligo perché l'indice è una stima, perciò relativa, imprecisa, non dà indicazioni sul reale numero delle persone contagiate. Purtroppo anche un singolo caso positivo in più può far balzare l'Rt a valori maggiori di 1, mentre per essere attendibile il valore andrebbe accompagnato dal numero assoluto di casi cui si riferisce. Eppure, anche ieri il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, ha raccomandato «grande attenzione a Rt, deve stare sotto 1».
Da mesi le Regioni chiedono che si cambi metodo nella misurazione dell'andamento della pandemia, per non finire puntualmente penalizzate dopo il report della cabina di regia. «La prima cosa da superare oggi è l'indice Rt», ha detto Massimiliano Fedriga, che lo ritiene poco affidabile perché «quando ci sono pochi casi rischia di salire molto velocemente». Il governatore del Friuli Venezia Giulia, intervenendo ieri a Sky Tg24, spiegava che «i parametri vanno adeguati alla situazione contingente del Paese. Non possiamo immaginare che questa estate, nel pieno della stagione turistica, una Regione che passa da due a otto contagi si ritrovi in zona rossa proprio perché schizza l'Rt». In alternativa, il presidente della Conferenza delle Regioni suggerisce «l'Rt ospedaliero: fa capire se aumentano o diminuiscono le richieste di ospedalizzazione ed è un indicatore che può dare un segnale importante, non una visione distorta». Invece di guardare alle date di inizio sintomi, spesso non comunicate nella loro totalità e che quando i casi sono pochi rischiano di sovrastimare la diffusione del contagio, si considerano quelle di ingresso in ospedale.
La situazione del Veneto è emblematica. Malgrado ieri il tasso di positività fosse all'1,56%, «la minore incidenza della terza ondata», commentava il governatore Luca Zaia, e nonostante da dieci giorni le dimissioni abbiano superato di gran lunga il numero degli ingressi, fino all'ultimo a Venezia si è temuto il passaggio in zona arancione perché l'Rt è 0,95. Anche Zaia insiste per una revisione dei parametri, altrimenti «c'è il rischio che per un calcolo questa estate i turisti si trovino a essere chiusi senza muoversi».
Già rischiamo di riuscire ad attrarre ben pochi vacanzieri, con l'estate alle porte e ancora troppe limitazioni che non incoraggiano un soggiorno nel nostro Paese. Ieri il Financial Times ha dedicato un servizio agli sforzi profusi da alcuni Stati del Sud Europa, utilizzando il Recovery fund per rilanciare il turismo. Ampio spazio veniva dato a quanto stanno facendo Spagna e Grecia, perfino alla Francia (meno legata a pacchetti vacanza «sole e mare») erano riservate più righe che all'Italia, cui si faceva cenno solo per dire che il settore turismo «si prepara a riaprire, utilizzando soldi dell'Ue per questo sforzo» e che ad aprile il governo Draghi «ha vietato l'approdo delle grandi navi da crociera a Venezia».
Sarebbe questa la cartolina del Belpaese che sappiamo offrire? Mentre i tour operator della Croazia da gennaio stanno proponendosi a tedeschi e austriaci come l'alternativa per «salvare le ferie» in sicurezza? Non dimentichiamo che ad aprile la Sardegna era stata pesantemente penalizzata, passando dopo tre settimane da unica Regione bianca alla fascia rossa, perché l'indice Rt era schizzato a 1,54. Non importava che gli altri parametri fossero buoni, con numeri bassi di ricovero nei reparti ordinari e nelle terapie, la retrocessione fu determinata dall'Rt, indice che «viene stimato male e il suo uso è improprio per definire i livelli di rischio», dichiarò alla Nuova Sardegna Antonello Maruotti, professore ordinario di statistica all'università Lumsa di Roma e cofondatore di Stat group 19, gruppo di studi statistici sul Covid 19. Aggiunse: «Se ci fosse stato un caso il primo giorno, 2 il secondo e 3 il terzo, potremmo dedurre che c'è una capacità di contagio altissima. Ma valutare la capacità di contagio partendo da numeri bassi è sbagliato».
Pensiamo alla condizione anche dell'Alto Adige, che ieri ha rischiato di finire tra due giorni in zona arancione perché l'indice è a 1,07. Eppure nella Provincia di Bolzano i positivi sono solo 1.179, nei reparti Covid risultano ricoverate 34 persone, 6 nelle terapie intensive. In territorio altoatesino il coronavirus è praticamente scomparso ma si guarda ancora all'Rt, lanciando messaggi preoccupanti ai turisti che vogliono prenotare vacanze in Italia.
Dubbi sul Tso al liceale «no mask»
Ai compagni di classe aveva appena distribuito un opuscolo che gli avrebbe fornito un uomo misterioso che lui chiama «il costituzionalista» e che ora a Fano bollano tutti come un «no mask». Poi si era incatenato al banco, perché nei giorni scorsi era stato allontanato dall'aula su decisione degli insegnanti. La sua colpa? Protestava contro l'uso della mascherina in classe. E, così, giovedì scorso, dopo due ore durante le quali i docenti avrebbero cercato di farlo desistere, dall'Istituto Olivetti di Fano, nelle Marche, è stato trasferito prima al pronto soccorso, con tanto di pattuglia della polizia, e poi, con un Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, è finito in psichiatria. A 18 anni. Per una protesta. Anche i genitori, subito avvertiti e arrivati sul posto, non hanno potuto fare nulla per evitare il Tso.
Marco Ugo Filisetti, direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale delle Marche, minimizza: «Non è stata la scuola a decidere per il Tso, ma le autorità sanitarie che, evidentemente, lo hanno ritenuto necessario. Certo l'intervento meno è invasivo e meglio è». A chiamare i sanitari è stata la dirigente scolastica. La situazione, però, si sarebbe complicata non a scuola, ma con i sanitari. Per il Tso si sarebbe quindi optato dopo. «Non abbiamo ancora sentito la dirigente scolastica», precisa Filisetti, che esclude elementi tali da poter giustificare l'invio degli ispettori. Ieri mattina, però, davanti all'istituto scolastico, i compagni del diciottenne si sono riuniti per protestare. È stata la dirigente scolastica a spiegare che il «costituzionalista», che le autorità scolastiche conoscono, è una persona che starebbe plagiando il ragazzo.
«Sarei scesa per dargli un pugno in faccia, perché lo ha plagiato e questa storia mi addolora profondamente, soprattutto come mamma», ha detto la preside al Resto del Carlino, aggiungendo che il diciottenne con il cellulare in viva voce parlava con questa persona che gli avrebbe anche suggerito che se la polizia lo avesse portato via con la forza sarebbe stata una aggravante per gli agenti. «Se mi dovessero chiamare dirò tutto», ha detto la preside. Ma dalla scuola non sono partite denunce.
Il giovane ha una buona condotta e un buon rendimento scolastico, ma stando alle ricostruzioni della dirigente scolastica e dei prof sarebbe stato suggestionato da un cinquantenne, suo amico, che lo avrebbe convinto alle azioni di protesta contro la mascherina. Il ragazzo a telefono ha spiegato di stare bene e di aver saputo che rimarrà per una settimana in ospedale. Una dottoressa lo avrebbe privato di oggetti ritenuti pericolosi e gli sarebbero stati somministrati dei calmanti. E prima che gli venisse tolto anche il cellulare, ha detto: «I miei genitori non sono con me». «Si porti subito questo ragazzo in seno alla sua famiglia e si assista lui e i suoi cari con quella prossimità necessaria e di civiltà», ha commentato Vito Inserra dell'associazione Libera-mente. Il senatore della Lega Armando Siri, invece, ha fatto sapere che sta raccogliendo dettagli sulla vicenda: «Ha dell'incredibile», ha commentato, «andrò a fondo».
Massimo Seri, il sindaco di Fano che ha firmato il ricovero, ha spiegato: «È un atto dovuto, perché il ricovero forzato deve essere proposto da un medico e controfirmato da un altro collega. La firma del sindaco è solo una formalità». Il ricovero, poi, dovrà essere validato anche da un giudice del tribunale. La polemica è tutta concentrata sul misterioso «costituzionalista». Ma è il ragazzo a pagarne le conseguenze.
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L'Iss insiste: «Deve rimanere sotto l'1». L'indice però è discusso e può penalizzare il turismo. Regioni alla carica: «Va cambiato».Il diciottenne di Fano ha una buona condotta e buoni voti. Tuttavia, secondo i prof, sarebbe stato plagiato da un amico cinquantenne, che lui chiama «il costituzionalista».Lo speciale contiene due articoli.Il consueto bollettino della cabina di regia ieri ci informava che è salito l'indice di contagiosità del coronavirus, passato in Italia dallo 0,85 della scorsa settimana a 0,89. Da lunedì, tutte le Regioni resteranno in fascia gialla, colorazione che tingerà di nuovo Puglia, Basilicata e Calabria mentre la Valle d'Aosta raggiungerà Sicilia e Sardegna in zona arancione. Nessuna retrocessione in «rosso». Cala la pressione su ospedali e terapie intensive, così pure diminuisce l'incidenza settimanale (da 146 è a 127 ogni 100.000 abitanti), ma dipendiamo ancora da quel benedetto Rt per sapere se finiamo in una colorazione diversa, con nuove limitazioni alle libertà personali e pesanti battute d'arresto per l'economia del Paese. Stiamo parlando di uno dei parametri in base ai quali viene calcolata la capacità di espandersi dell'epidemia, dopo l'applicazione delle misure che dovrebbero contenere il diffondersi del Covid, quindi in una misura contingente. Se l'Rt è superiore a 1, un positivo starebbe contagiando più di una persona: il numero dei casi sarebbe in crescita. Al contrario, un valore inferiore a 1 significherebbe che l'epidemia sta rallentando. Il condizionale è d'obbligo perché l'indice è una stima, perciò relativa, imprecisa, non dà indicazioni sul reale numero delle persone contagiate. Purtroppo anche un singolo caso positivo in più può far balzare l'Rt a valori maggiori di 1, mentre per essere attendibile il valore andrebbe accompagnato dal numero assoluto di casi cui si riferisce. Eppure, anche ieri il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, ha raccomandato «grande attenzione a Rt, deve stare sotto 1».Da mesi le Regioni chiedono che si cambi metodo nella misurazione dell'andamento della pandemia, per non finire puntualmente penalizzate dopo il report della cabina di regia. «La prima cosa da superare oggi è l'indice Rt», ha detto Massimiliano Fedriga, che lo ritiene poco affidabile perché «quando ci sono pochi casi rischia di salire molto velocemente». Il governatore del Friuli Venezia Giulia, intervenendo ieri a Sky Tg24, spiegava che «i parametri vanno adeguati alla situazione contingente del Paese. Non possiamo immaginare che questa estate, nel pieno della stagione turistica, una Regione che passa da due a otto contagi si ritrovi in zona rossa proprio perché schizza l'Rt». In alternativa, il presidente della Conferenza delle Regioni suggerisce «l'Rt ospedaliero: fa capire se aumentano o diminuiscono le richieste di ospedalizzazione ed è un indicatore che può dare un segnale importante, non una visione distorta». Invece di guardare alle date di inizio sintomi, spesso non comunicate nella loro totalità e che quando i casi sono pochi rischiano di sovrastimare la diffusione del contagio, si considerano quelle di ingresso in ospedale. La situazione del Veneto è emblematica. Malgrado ieri il tasso di positività fosse all'1,56%, «la minore incidenza della terza ondata», commentava il governatore Luca Zaia, e nonostante da dieci giorni le dimissioni abbiano superato di gran lunga il numero degli ingressi, fino all'ultimo a Venezia si è temuto il passaggio in zona arancione perché l'Rt è 0,95. Anche Zaia insiste per una revisione dei parametri, altrimenti «c'è il rischio che per un calcolo questa estate i turisti si trovino a essere chiusi senza muoversi». Già rischiamo di riuscire ad attrarre ben pochi vacanzieri, con l'estate alle porte e ancora troppe limitazioni che non incoraggiano un soggiorno nel nostro Paese. Ieri il Financial Times ha dedicato un servizio agli sforzi profusi da alcuni Stati del Sud Europa, utilizzando il Recovery fund per rilanciare il turismo. Ampio spazio veniva dato a quanto stanno facendo Spagna e Grecia, perfino alla Francia (meno legata a pacchetti vacanza «sole e mare») erano riservate più righe che all'Italia, cui si faceva cenno solo per dire che il settore turismo «si prepara a riaprire, utilizzando soldi dell'Ue per questo sforzo» e che ad aprile il governo Draghi «ha vietato l'approdo delle grandi navi da crociera a Venezia». Sarebbe questa la cartolina del Belpaese che sappiamo offrire? Mentre i tour operator della Croazia da gennaio stanno proponendosi a tedeschi e austriaci come l'alternativa per «salvare le ferie» in sicurezza? Non dimentichiamo che ad aprile la Sardegna era stata pesantemente penalizzata, passando dopo tre settimane da unica Regione bianca alla fascia rossa, perché l'indice Rt era schizzato a 1,54. Non importava che gli altri parametri fossero buoni, con numeri bassi di ricovero nei reparti ordinari e nelle terapie, la retrocessione fu determinata dall'Rt, indice che «viene stimato male e il suo uso è improprio per definire i livelli di rischio», dichiarò alla Nuova Sardegna Antonello Maruotti, professore ordinario di statistica all'università Lumsa di Roma e cofondatore di Stat group 19, gruppo di studi statistici sul Covid 19. Aggiunse: «Se ci fosse stato un caso il primo giorno, 2 il secondo e 3 il terzo, potremmo dedurre che c'è una capacità di contagio altissima. Ma valutare la capacità di contagio partendo da numeri bassi è sbagliato». Pensiamo alla condizione anche dell'Alto Adige, che ieri ha rischiato di finire tra due giorni in zona arancione perché l'indice è a 1,07. Eppure nella Provincia di Bolzano i positivi sono solo 1.179, nei reparti Covid risultano ricoverate 34 persone, 6 nelle terapie intensive. In territorio altoatesino il coronavirus è praticamente scomparso ma si guarda ancora all'Rt, lanciando messaggi preoccupanti ai turisti che vogliono prenotare vacanze in Italia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/passa-in-fascia-gialla-quasi-tutta-italia-ma-restiamo-ostaggi-delle-follie-dellrt-2652917787.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dubbi-sul-tso-al-liceale-no-mask" data-post-id="2652917787" data-published-at="1620417900" data-use-pagination="False"> Dubbi sul Tso al liceale «no mask» Ai compagni di classe aveva appena distribuito un opuscolo che gli avrebbe fornito un uomo misterioso che lui chiama «il costituzionalista» e che ora a Fano bollano tutti come un «no mask». Poi si era incatenato al banco, perché nei giorni scorsi era stato allontanato dall'aula su decisione degli insegnanti. La sua colpa? Protestava contro l'uso della mascherina in classe. E, così, giovedì scorso, dopo due ore durante le quali i docenti avrebbero cercato di farlo desistere, dall'Istituto Olivetti di Fano, nelle Marche, è stato trasferito prima al pronto soccorso, con tanto di pattuglia della polizia, e poi, con un Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, è finito in psichiatria. A 18 anni. Per una protesta. Anche i genitori, subito avvertiti e arrivati sul posto, non hanno potuto fare nulla per evitare il Tso. Marco Ugo Filisetti, direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale delle Marche, minimizza: «Non è stata la scuola a decidere per il Tso, ma le autorità sanitarie che, evidentemente, lo hanno ritenuto necessario. Certo l'intervento meno è invasivo e meglio è». A chiamare i sanitari è stata la dirigente scolastica. La situazione, però, si sarebbe complicata non a scuola, ma con i sanitari. Per il Tso si sarebbe quindi optato dopo. «Non abbiamo ancora sentito la dirigente scolastica», precisa Filisetti, che esclude elementi tali da poter giustificare l'invio degli ispettori. Ieri mattina, però, davanti all'istituto scolastico, i compagni del diciottenne si sono riuniti per protestare. È stata la dirigente scolastica a spiegare che il «costituzionalista», che le autorità scolastiche conoscono, è una persona che starebbe plagiando il ragazzo. «Sarei scesa per dargli un pugno in faccia, perché lo ha plagiato e questa storia mi addolora profondamente, soprattutto come mamma», ha detto la preside al Resto del Carlino, aggiungendo che il diciottenne con il cellulare in viva voce parlava con questa persona che gli avrebbe anche suggerito che se la polizia lo avesse portato via con la forza sarebbe stata una aggravante per gli agenti. «Se mi dovessero chiamare dirò tutto», ha detto la preside. Ma dalla scuola non sono partite denunce. Il giovane ha una buona condotta e un buon rendimento scolastico, ma stando alle ricostruzioni della dirigente scolastica e dei prof sarebbe stato suggestionato da un cinquantenne, suo amico, che lo avrebbe convinto alle azioni di protesta contro la mascherina. Il ragazzo a telefono ha spiegato di stare bene e di aver saputo che rimarrà per una settimana in ospedale. Una dottoressa lo avrebbe privato di oggetti ritenuti pericolosi e gli sarebbero stati somministrati dei calmanti. E prima che gli venisse tolto anche il cellulare, ha detto: «I miei genitori non sono con me». «Si porti subito questo ragazzo in seno alla sua famiglia e si assista lui e i suoi cari con quella prossimità necessaria e di civiltà», ha commentato Vito Inserra dell'associazione Libera-mente. Il senatore della Lega Armando Siri, invece, ha fatto sapere che sta raccogliendo dettagli sulla vicenda: «Ha dell'incredibile», ha commentato, «andrò a fondo». Massimo Seri, il sindaco di Fano che ha firmato il ricovero, ha spiegato: «È un atto dovuto, perché il ricovero forzato deve essere proposto da un medico e controfirmato da un altro collega. La firma del sindaco è solo una formalità». Il ricovero, poi, dovrà essere validato anche da un giudice del tribunale. La polemica è tutta concentrata sul misterioso «costituzionalista». Ma è il ragazzo a pagarne le conseguenze.
La Juventus resta sotto il controllo di Exor. Il gruppo ha chiarito con un comunicato la propria posizione sull’offerta di Tether. «La Juventus è un club storico e di successo, di cui Exor e la famiglia Agnelli sono azionisti stabili e orgogliosi da oltre un secolo», si legge nella nota della holding, che conferma come il consiglio di amministrazione abbia respinto all’unanimità l’offerta per l’acquisizione del club e ribadito il pieno impegno nel sostegno al nuovo corso dirigenziale.
A rafforzare il messaggio, nelle stesse ore, è arrivato anche un intervento diretto di John Elkann, diffuso sui canali ufficiali della Juventus. Un video breve, meno di un minuto, ma importante. Elkann sceglie una veste informale, indossa una felpa con la scritta Juventus e parla di identità e di responsabilità. Traduzione per i tifosi che sognano nuovi padroni o un ritorno di Andrea Agnelli: il mercato è aperto per Gedi, ma non per la Juve. Il video va oltre le parole. Chiarisce ciò che viene smentito e ciò che resta aperto. Elkann chiude alla vendita della Juventus. Ma non chiude alla vendita di giornali e radio.
La linea, in realtà, era stata tracciata. Già ai primi di novembre, intervenendo al Coni, Elkann aveva dichiarato che la Juve non era in vendita, parlando del club come di un patrimonio identitario prima ancora che industriale. Uno dei nodi resta il prezzo. L’offerta attribuiva alla Juventus una valutazione tra 1,1 e 1,2 miliardi, cifra che Exor giudica distante dal peso economico reale (si mormora che Tether potrebbe raddoppiare l’offerta). Del resto, la Juventus è una società quotata, con una governance strutturata, ricavi di livello europeo e un elemento che in Italia continua a fare la differenza: lo stadio di proprietà. L’Allianz Stadium non è solo un simbolo. Funziona come asset industriale. È costato circa 155 milioni di euro, è entrato in funzione nel 2011 e oggi gli analisti di settore lo valutano tra 300 e 400 milioni, considerando struttura, diritti e capacità di generare ricavi. L’impianto produce flussi stabili, consente pianificazione e riduce l’esposizione ai risultati sportivi di breve periodo.
I numeri di bilancio completano il quadro. Nei cicli più recenti la Juventus ha generato ricavi operativi tra 400 e 450 milioni di euro, collocandosi tra i principali club europei per fatturato, come indicano i report Deloitte football money league. Prima della pandemia, i ricavi da stadio oscillavano tra 60 e 70 milioni di euro a stagione, ai vertici della Serie A. Su queste basi, applicando multipli utilizzati per club con brand globale e asset infrastrutturali, negli ambienti finanziari la valutazione industriale della Juventus viene collocata tra 1,5 e 2 miliardi di euro, al netto delle variabili sportive.
Il confronto con il mercato rafforza questa lettura. Il Milan è stato ceduto a RedBird per circa 1,2 miliardi di euro, senza stadio di proprietà e con una governance più complessa. Quel prezzo resta un riferimento nel calcio italiano. Se quella è stata la valutazione di un top club privo dell’asset stadio, risulta difficile immaginare che la Juventus possa essere trattata allo stesso livello senza che il socio di controllo giudichi l’operazione penalizzante.
A incidere è anche il profilo dell’offerente. Tether, principale emittente globale di stablecoin, opera in un perimetro regolatorio diverso da quello degli intermediari tradizionali, seguito con attenzione anche da Consob. Dopo l’ultimo aumento di capitale bianconero, Standard & Poor’s ha declassato la capacità di Usdt di mantenere l’ancoraggio al dollaro. Sul piano reputazionale pesa, inoltre, il giudizio dell’Economist (del gruppo Exor), secondo cui la stablecoin è diventata uno strumento utilizzato anche nei circuiti dell’economia sommersa globale, cioè sul mercato nero.
Intorno alla Juventus circolano anche altre ipotesi. Si parla di Leonardo Maria Del Vecchio, erede del fondatore di Luxottica e azionista di EssilorLuxottica attraverso la holding di famiglia Delfin, dopo l’offerta presentata su Gedi, e di un possibile interesse indiretto di capitali mediorientali. Al momento, però, mancano cifre e progetti industriali strutturati. Restano solo indiscrezioni.
Sullo sfondo continua intanto a emergere il nome di Andrea Agnelli. L’ex presidente dei nove scudetti ha concluso la squalifica e raccoglie il consenso di una parte ampia della tifoseria, che lo sogna come possibile punto di ripartenza. L’ipotesi che circola immagina un ritorno sostenuto da imprenditori internazionali, anche mediorientali, in un contesto in cui il fondo saudita Pif, guidato dal principe ereditario Mohammed bin Salman e già proprietario del Newcastle, si è imposto come uno dei principali attori globali del calcio.
Un asse che non si esaurisce sul terreno sportivo. Lo stesso filone saudita riaffiora nel dossier Gedi, ormai entrato nella fase conclusiva. La presenza dell’imprenditore greco Theodore Kyriakou, fondatore del gruppo Antenna, rimanda a un perimetro di relazioni che incrocia capitali internazionali e investimenti promossi dal regno saudita. In questo quadro, Gedi - che comprende Repubblica, Stampa e Radio Deejay - è l’unico asset destinato a cambiare mano, mentre Exor ha tracciato una linea netta: il gruppo editoriale segue una strada propria, la Juventus resta fuori (al momento) da qualsiasi ipotesi di cessione.
Jaki sembra un re Mida al contrario: uccide ciò che tocca ma rimane ricco
Finanziere puro. John Elkann, abilissimo a trasformare stabilimenti e impianti, operai e macchinari, sudore e fatica in figurine panini da comprare e vendere. Ma quando si tratta di gestire aziende «vere», quelle che producono, vincono o informano, la situazione si complica. È un po’ come vedere un mago dei numeri alle prese con un campo di calcio per stabilirne il valore e stabilire il valore dei soldi. Ma la palla… beh, la palla non sempre entra in porta. Peccato. Andrà meglio la prossima volta.
Prendiamo Ferrari. Il Cavallino rampante, che una volta dominava la Formula 1, oggi ha perso la capacità di galoppare. Elkann vende il 4% della società per circa 3 miliardi: applausi dagli azionisti, brindisi familiare, ma la pista? Silenziosa. Il titolo è un lontano ricordo. I tifosi hanno esaurito la pazienza rifugiandosi nell’ironia: «Anche per quest’anno vinceremo il Mondiale l’anno prossimo». E cosi gli azionisti. Da quando Elkann ha collocato quelle azioni il titolo scende e basta. Era diventato il gioiello di Piazza Affari. Dopo il blitz di Elkann per arricchire Exor il lento declino.
E la Juventus? Sotto Andrea Agnelli aveva conquistato nove scudetti di fila, un record che ha fatto parlare tutta Italia. Oggi arranca senza gloria. Racconta Platini di una breve esibizione dell’erede di Agnelli in campo. Pochi minuti e si fa sostituire. Rifiata, chiede di rientrare. Il campione francese lo guarda sorridendo: «John, questo è calcio non è basket». Elkann osserva da lontano, contento dei bilanci Exor e delle partecipazioni finanziarie, mentre tifosi e giornalisti discutono sulle strategie sportive. La gestione lo annoia, ma la rendita finanziaria quella è impeccabile.
Gedi naviga tra conti in rosso e sfide editoriali perdenti. Cairo, dall’altra parte, rilancia il Corriere della Sera con determinazione e nuovi investimenti. Elkann sorride: non è un problema gestire giornali, se sai fare finanza. La lezione è chiara: le aziende si muovono, ma i capitali contano di più.
Stellantis? La storia dell’auto italiana. La storia della dinastia. Ora un condominio con la famiglia Peugeot. Elkann lascia fare, osserva i mercati e, quando serve, vende o alleggerisce le partecipazioni. Anche qui, la gestione operativa non è il punto forte: ciò che conta è il risultato finanziario, non il numero di auto prodotte o le fabbriche gestite.
E gli investimenti? Alcuni brillano, altri richiedono pazienza. Philips è un esempio recente: un investimento ambizioso che riflette la strategia di diversificazione di Exor, con qualche rischio incorporato. Ma se si guarda al quadro generale, Elkann ha accumulato oltre 4 miliardi di liquidità entro metà 2025, grazie a vendite mirate e partnership strategiche. Una cifra sufficiente per pensare a nuove acquisizioni e opportunità, senza perdere il sorriso.
Perché poi quello che conta per John è altro. Il gruppo Exor continua a crescere in valore. Gli azionisti vedono il titolo passare da un minimo storico di 13,44 euro nel 2011 a circa 72 euro oggi, e sorridono. La famiglia Elkann Agnelli si gode i frutti degli investimenti, mentre il mondo osserva: Elkann è il finanziere perfetto, sa fare ciò che conta davvero, cioè far crescere la ricchezza e proteggere gli asset della famiglia.
In fondo, Elkann ci ricorda che la finanza ha il suo fascino anche quando la gestione aziendale è complicata: vendere, comprare, accumulare, investire con giudizio (e un pizzico di fortuna) può essere altrettanto emozionante che vincere scudetti, titoli di Formula 1 o rilanciare giornali. Il sorriso di chi ha azioni Exor vale più di qualsiasi trofeo, e dopotutto, questo è il suo segreto.
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Piero Cipollone (Ansa)
Come spiega il politico europeo i «soldi verranno recuperati attraverso quello che è il signoraggio all’euro digitale». Invece «per quanto riguarda sistema bancario e gli altri fornitori di servizi di pagamento, la stima è che possa essere fra i quattro e sei miliardi di euro per quattro anni», ricorda Cipollone. «Tenete conto che, rispetto a quello che spendono le banche per i sistemi It, questa è una cifra minima. Parliamo di circa il 3,5% di quello che spendono le banche annualmente per implementare i loro sistemi. Quindi non è un costo». Inoltre, aggiunge, «va detto che le banche saranno compensate» con una remunerazione molto simile a come quando si fa «una transazione normale con carta».
Cipollone ha anche descritto una sequenza temporale condizionata dall’iter legislativo europeo e dalla necessità di predisporre un’infrastruttura operativa completa prima di qualunque emissione. «Se per la fine del 2026 avremo in piedi la legislazione a quel punto pensiamo di essere in grado di costruire tutta la macchina entro la prima metà del 2027 e quindi, a settembre del 27, di cominciare una fase di sperimentazione, il “Pilot”. Per poi partire con il lancio effettivo nel 2029».
Per l’ex vicedirettore generale della Banca d’Italia, l’euro digitale è particolarmente importante per l’Europa «perché via via che si espande lo spazio digitale dei pagamenti, su questo spazio la presenza di operatori europei è quasi nulla». Insomma, «più si espande lo spazio dei pagamenti digitali, più la nostra dipendenza da pochi e importanti operatori stranieri diventa più profonda», ricorda Cipollone. «Le parole chiave sono “pochi” e “non europei”, perché pochi richiama il concetto di scarsa concorrenza, stranieri non europei richiama il concetto di dipendenza strategica da altri operatori. Noi non abbiamo nulla contro operatori stranieri che lavorino nell’area dell’euro. Il problema è che noi vorremmo che l’area dell’euro avesse una sua infrastruttura autonoma, indipendente, che non dipenda dalle decisioni degli altri».
Cipollone ribadisce poi la posizione della Bce sul contante: resta centrale perché «estremamente semplice da usare», quindi inclusivo, utilizzabile ovunque e «sicuro» perché «senza alcun rischio associato». Il problema, però, è che nell’economia sempre più digitale il contante diventa meno spendibile: «Sta diventando sempre meno utilizzabile nell’economia». Da qui l’argomento «di mandato»: se manca un equivalente del contante online, si toglie ai cittadini la possibilità di usare moneta di banca centrale nello spazio digitale; «è come discriminare contro la moneta pubblica». Quindi la Bce deve «estendere una specie di contante digitale» con funzioni analoghe al contante, ma adatto ai pagamenti digitali.
Il politico ieri ad Atreju ha anche parlato di metallo giallo ricordando che le riserve auree delle banche centrali sono cresciute fino a circa 36.000 tonnellate. Come ha spiegato l’esperto, queste riserve «hanno un fondamento storico importante» perché, quando c’era la convertibilità, «servivano come riserva rispetto alle banconote». Oggi, con le monete a corso legale, «la credibilità del valore della moneta è affidata a quella della Banca centrale nell’essere capace di controllare i prezzi», ma «una eco di questa convertibilità è rimasta»: oro e valute restano riserve di valore contro rischi rilevanti.
Come ha spiegato, le Banche centrali comprano oro soprattutto come difesa «contro l’inflazione» e contro «i rischi nei mercati finanziari», e perché «le riserve sono una garanzia della capacità del Paese di far fronte a possibili shock esterni». Per questi motivi, «l’oro è tornato di moda».
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