2021-12-12
«Il Recovery vuole banchine elettrificate. Ma forse alle navi non serviranno mai»
Il presidente dei porti siciliani, Pasqualino Monti: «Gli slogan green non aiutano. Utilizziamo i 675 milioni per rendere più efficienti le flotte».Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha un capitolo dedicato ai porti verdi. Ufficialmente l’obiettivo è rendere più efficienti gli scali. Al Pnrr si aggiunge il fondo complementare, da cui spunta il progetto dell’elettrificazione delle banchine, il cosiddetto cold ironing. Il ministero guidato da Enrico Giovannini ha pubblicato un decreto per gli interventi infrastrutturali in ambito portuale e ha deciso di destinare 675 milioni alle nuove banchine elettriche. L’idea è quella di creare delle mega prese di corrente per le navi elettriche del futuro. Peccato che sembri uno slogan green dalla resa quasi nulla. A dirlo non è La Verità bensì Pasqualino Monti, presidente dell’Autorità portuale della Sicilia Nord Occidentale intervenuto venerdì a Trapani per il taglio del nastro del nuovo terminal. «Le navi di recente costruzione hanno propulsione dual fuel e quindi in porto vanno a gas, Msc ha recentemente chiesto a Fincantieri di studiare una soluzione per la propulsione a idrogeno, allora mi chiedo se per il vecchio naviglio non sia più vantaggioso ragionare in altro modo. Perché pensare che la flotta che ha più di 40 anni di vita possa adeguare i propri impianti per prendere corrente da terra è secondo me molto difficile; allora perché non destinare questi 675 milioni ad altri interventi più rapidi nel risultato?», commenta Monti, «la mia opinione è che bisogna andare oltre gli slogan che negli anni si sono susseguiti e lavorare secondo le esigenze del mercato e non solo che la transizione ci impone. Chi può immaginare mega navi attaccarsi alle banchine elettriche con i prezzi del kilowattora attuali e futuri? E soprattutto con tecnologie che oggi consentono interventi meno impattanti dal punto di vista del rapporto costi/benefici?». Presidente, la domanda è retorica. Però le risposte che circolano sono preoccupanti. Sembra che il racconto della transizione ecologica stia scappando di mano. Se non si evitano gli slogan come si farà a spendere bene i soldi dei contribuenti? Come si fa ad ascoltare le esigenze del mercato e di chi attracca nei porti?«Le Autorità di sistema portuale attendono dal 1994, da 29 anni, un codice di comportamento su temi come le concessioni e attendono anche la definizione di uno status giuridico che per me dovrebbe essere differente da quello di enti pubblici non economici che le limita fortemente nel confronto sul mercato. Le Autorità di sistema portuale, che dovrebbero essere società che realizzano e vendono nel mondo il prodotto porto, devono essere libere di svolgere attività di dialogo e promozione costante con il mercato. L’esempio della Spagna sarebbe interessante da prendere a modello». In Spagna esiste una centralizzazione tramite una spa a partecipazione pubblica. Questo ci vorrebbe per i porti italiani?«Madrid ha scelto un modello vantaggioso perché permette due cose. La prima l’ascolto del mercato e la differenziazione dell’offerta. Una società che gestisce tutti i porti permette di valorizzare ciascuno secondo le proprie peculiarità senza sovrapporre investimenti, senza creare doppioni e ottimizzando le sinergie. Inoltre, permette una gestione dei fondi più lineare e fluida senza la sovrapposizione dei diversi enti e ministeri che contraddistinguono il nostro Paese».Venerdì ha presentato e tagliato il nastro delle opere del porto di Trapani. L’Autorità di sistema portuale competente sui porti di Palermo, Trapani, Termini Imerese e Porto Empedocle sotto la sua guida ha sbloccato infrastrutture per 837 milioni di euro e realizzato in quattro anni 488 milioni di euro di opere già collaudate. Quindi qualcosa funziona?«Certo però il tema è un altro. Molte di quelle opere erano ferme da decenni ed erano rimaste impigliate in contenziosi, lacci e lacciuoli burocratici che non avevano in alcuni casi addirittura consentito l’avvio delle opere già appaltate. Una riforma servirebbe a rendere tutto più veloce e fare in modo che anche il Pnrr non si incagli creando più danni che benefici». Detto da lei che è stato nominato commissario dal governo Draghi per opere essenziali suona strano.«A Palermo sono commissario per due opere, il nuovo bacino di carenaggio e l’interfaccia porto-città. Purtroppo la funzione commissariale può essere vanificata nei fatti dall’apparato burocratico. Nel caso dell’interfaccia porto-città è stata sufficiente la firma di un funzionario ministeriale per privare l’intervento dei fondi necessari. Nel caso del bacino di carenaggio, quello che dovrebbe consentire a Palermo di costruire navi da crociera, lo stato dell’arte è ancora più paradossale: il finanziamento per 81 milioni è stato spalmato su 15 anni, ben oltre le tempistiche del progetto e quindi su tempi incompatibili per un’opera per la quale comunque il porto non può ricorrere a mutui bancari, perché gli sono preclusi dall’impossibilità per enti pubblici di fornire garanzie alle banche. In entrambi i casi c’è voluto l’intervento della direzione generale del Mims per trovare una soluzione. Ma sono stati necessari un emendamento alla legge di bilancio e un ulteriore stanziamento per i fondi Pac del Pon infrastrutture, che comunque, e dico purtroppo, ci faranno partire con oltre otto mesi di ritardo».La presentazione dei lavori a Trapani non rischia di tramutarsi in una doppia occasione? Da un lato, quella per confermare che «si può fare», dall’altro in un j’accuse al sistema. La politica impegnata nella semplificazione e nella realizzazione delle nuove opere si scontrerà con un apparato burocratico che potrebbe bloccare tutto. È questo il messaggio?«Le riforme messe in campo dal governo al fianco del Pnrr sono fondamentali. Ma da sole non bastano. Servono teste, uomini e donne capaci tecnicamente. Mi è capitato di trovarmi in impasse perché, realizzata un’opera secondo i criteri di semplificazione varati da governo e Parlamento, ho scoperto che queste norme erano in contrasto con le linee guida per la rendicontazione delle opere. Ergo: ho applicato le norme dello Stato ma devo ricevere oltre 30 milioni che non mi vengono restituiti per problemi burocratici legati a modifiche di regolamenti interni. E allora che fare? Chi si prende la responsabilità di decidere? Sono questi i temi caldi da affrontare. Aggiungerei che se avessimo affrontatato prima questi nodi non avremmo avuto forse bisogno del Pnrr e, in ogni caso, se non li affrontiamo oggi rischiamo di rendere il Pnrr solo un nuovo debito e di appesantire la situazione inflattiva e la ripresa futura».
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
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Le persone sfollate da El Fasher e da altre aree colpite dal conflitto sono state sistemate nel nuovo campo di El-Afadh ad Al Dabbah, nello Stato settentrionale del Sudan (Getty Images)