2019-08-20
Parolacce proibite nelle città inglesi. Ma per gli psicologi sono un antistress
Oggi si fa un ampio uso del turpiloquio, ma pure Giacomo Leopardi e Pier Paolo Pasolini non lo disdegnavano. E Vittorio Sgarbi lo ha sdoganato in tv.Canterbury, Nottingham, Morecambe, Dartford, Ashford, Stoke. Sono solo alcune delle città della Gran Bretagna ad aver messo al bando le parolacce. Il turpiloquio può costare multe salatissime che possono arrivare anche a 1.000 sterline. Da ultimo però, Salford, una cittadina vicino Manchester, ha ritirato il divieto, preferendo affidarsi alla buona educazione dei suoi abitanti piuttosto che limitare per legge il diritto alla parola. Sempre in Inghilterra, nel 2017, la Samuel smith old brewery, fabbrica di birra che gestisce più di 200 pub sparsi nel Paese di sua Maestà la regina, ha imposto ai suoi gestori e camerieri di rifiutare ordinazioni da bevitori sboccati e all'ingresso dello stadio di Burnley, nella contea del Lancashire, campeggia un cartello che vieta il «linguaggio scurrile».Eppure è la stessa Gran Bretagna ad aver ammesso che la parolaccia fa bene. Lo psicologo Richard Stephens dell'Università di Keele, nello Staffordshire, ha condotto diversi studi in merito al turpiloquio. In uno di questi ha chiesto a 64 volontari di infilare una mano nell'acqua ghiacciata due volte, la prima pronunciando parole comuni, la seconda lasciandosi andare a qualsiasi oscenità. Nel primo caso sono riusciti a tenere la mano a mollo 1 minuto e 15 secondi in media, nel secondo l'hanno tenuta circa 2 minuti. La sopportazione del dolore, grazie alle parolacce, è aumentata di circa il 50 per cento. Insomma, oltre allo sdegno dei benpensanti, le imprecazioni producono un effetto analgesico, più adrenalina, migliorano la circolazione sanguigna, aumentano le endorfine, lo stato di benessere, la gestione dello stress nell'organismo, l'autostima e ci fanno anche apparire più sinceri e schietti.In Italia il turpiloquio era considerato un reato fino al 1999. Ora è un illecito civile multabile fino a 10.000 euro. Lo scorso gennaio un triestino, che aveva parcheggiato la sua auto troppo a lungo in una zona di carico-scarico merci, bestemmiò davanti al vigile che gli aveva infitto una contravvenzione. In tutta risposta questi gliene staccò un'altra da 102 euro, per turpiloquio. Walter Stefan, sindaco di Saonara (Padova), dove l'imprecazione è quasi un intercalare, ha imposto il veto di «bestemmiare contro le divinità di qualsiasi credo o religione e proferire turpiloquio nei luoghi pubblici». Pena 400 euro di multa. Nel 1993 Stefania Craxi diede del «grandissimo stronzo» a Francesco Rutelli, che aveva parlato male di suo padre Bettino. La Craxi fu condannata a una multa di 50.000 lire che pagò con alcuni bollettini postali, i quali riportavano nella causale: «Per aver chiamato stronzo Francesco Rutelli». In politica i nostri vicepremier usano sempre più spesso parolacce per dare enfasi ai loro discorsi. Ma non sono gli unici. Da ultimo, il premier inglese Boris Johnson è stato pizzicato mentre diceva ai suoi collaboratori: «Fuck business». Il Washington Post ha contato le parolacce usate da Donald Trump all'inizio della campagna elettorale che lo elesse presidente degli Stati Uniti: tra shit, fuck, ass, asshole ne pronunciò più di 100. Ma non fu il primo. Ricorda Michele Farina sul Corriere della Sera che Richard Nixon definiva i messicani «disonesti» e gli italiani «svitati», mentre i neri vivevano «come un branco di cani. Durante il Watergate, poi, urlava al suo staff: «I don't give a shit» (insabbiate tutto). Fu allora che il New York Times decise di pubblicare per la prima volta la parola «shit», con tanto di spiegazione: «La merda la prendiamo solo dal presidente». Al produttore di Via col vento David O. Selznick la battuta finale di Clark Gable «Frankly, my dear, I don't give a damn» («Francamente, me ne infischio») costò 5.000 dollari di multa perché la parola damn era ritenuta oscena dalla commissione di vigilanza. Nella Rai degli anni Cinquanta erano considerate parolacce termini come alcova, amplesso, ascella, casino, parto, sudore, talamo, vizio e verginità. Le cosce erano solo di pollo, l'amante era la fidanzata, l'intestino l'organismo. William Shakespeare era capace di scrivere raffinati insulti. In Re Lear, il conte di Kent dà al servo Osvaldo dello «sgranocchiatore di rifiuti, sordido erede d'un sacco di stracci». Pitagora, credendo nei numeri, imprecava: «Per il numero quattro». Socrate, che non credeva agli dei, preferiva: «Per il cane». Sempre in tema di eleganza, nel suo blog Vito Tartamella ricorda come un politico umbro, lungamente ostacolato e offeso da un suo avversario, in pieno Consiglio comunale esclamò: «Taci tu, che per farti visitare alla testa devi andare dall'urologo!». Indimenticabile, poi, Alberto Sordi quando sornione canticchiava: «Te c'hanno mai mannato a quel paese / sapessi quanta gente che ce sta / er primo cittadino è amico mio / tu dije che te c'ho mannato io / E va e va».Secondo il linguista inglese Tony McEnery le donne mandano a quel paese più degli uomini. Su un milione di parole il gentil sesso ha pronunciato 546 volte la parola fuck, contro le 540 degli uomini. In Italia alle terga, il «vaffa» è al 12° posto, si preferisce l'organo genitale maschile, da anni saldamente alla guida della classifica delle parolacce più diffuse. Secondo una ricerca di qualche anno fa, imprechiamo quasi una volta all'ora, ma usiamo appena un decimo delle 300 parolacce presenti nella nostra lingua.Se in Italia diamo del «mongolo» all'idiota, i russi dicono tarskiy reyenok, (figlio di un tartaro), gli svedesi rysk (russo), i turchi dicono arap akli (testa araba), gli svedesi finnhuvud (testa finlandese), e gli spagnoli hacerse el sueco (fare lo svedese). In Giappone, invece, non esistono parolacce, il peggior insulto è baka, significa stupido.La prima parolaccia di cui si ha notizia è un'iscrizione su una stele dell'era di Ramsete III (tra il 1198 e il 1166 avanti Cristo). La più antica in Italia è stata incisa sul muro di una chiesa. Nella parte sotterranea di San Clemente, una basilica a pochi metri dal Colosseo, tra le diverse pitture che illustrano la vita di papa Clemente, quarto vescovo di Roma, ce n'è una in cui il prefetto dell'Urbe Sissinio dà dei fili de pute ai suoi soldati. Un secolo dopo, ricorda Vito Tartamella, giornalista esperto in turpiloqui sul suo blog parolacce.org, «Guido Fava scrisse un componimento dotto sul contrasto fra quaresima e carnevale, un genere che allora era in voga. Fava immaginava che la quaresima scrivesse al carnevale una lettera per insultarlo: “Tu sai bene che noi conosemo le tue opere, e le tue iniquità sono a noi maniffeste; ché tu se' fello (fellone) e latro, ruffiano, putanero, glotto, lopo, ingordo e leccatore, biscaçero, tavernero, çogatore (giocatore), baratero, adultero, fornicatore, omicida, periuro (spergiuro), fallace, traditore, ingannatore, mençonero (menzognero), amico de morte e pleno de multa çuçura (zozzura)". Notevole che la quaresima si esprimesse in questi termini… Tempo un altro secolo, e arriveranno le vette artistiche di Boccaccio e Dante, che inseriranno le parolacce nei loro capolavori».Tra le imprecazioni scritte da Dante nella Divina commedia: «Di merda lordo» (Inferno, Canto XVIII, 116), «Puttana» (Inferno, Canto XVIII, 133), «Puttana sciolta» (Purgatorio, Canto XXXII, 149), «Le natiche bagnava per lo fesso» (Paradiso, Canto XX, 24), «Avea del cul fatto trombetta» (Inferno, Canto XXI, 139). Nel Decamerone di Boccaccio poi si legge: «Col malanno possa egli essere oggimai, se tu dei stare al fracidume delle parole di un mercantuzzo di feccia d'asino, che venutici di contado e usciti delle troiate, vestiti di romagnuolo, con le calze a campanile e con la penna in culo, come egli hanno tre soldi, vogliono le figliuole de' gentili uomini e delle buone donne per moglie». Anche Leopardi diceva le parolacce. In una lettera al fratello Carlo diceva che senza di lui non poteva più esprimersi liberamente: «Non posso in tutto il giorno sfogarmi con un linguaggio un poco libero... buttare giù i cazzi, i porco D. eccetera». Louis Ferdinand Céline, che ne faceva ampio uso, criticava così i suoi colleghi: «Credono di fare del Céline scrivendo merda ogni quattro righe». Per Carlo Emilio Gadda: «Le parolacce sono sacre (filologicamente) non meno di qualunque altra parola o virgola o accento del testo». Dello stesso parere Vittorio Sgarbi: «Le parolacce, da Joyce, a Céline, a Pasolini, a Carmelo Bene, sono patrimonio della letteratura contemporanea». Fu proprio Sgarbi il primo a sdoganare la parolaccia in tv. Era la fine degli anni Ottanta quando, al Maurizio Costanzo Show, diede a una poetessa della «stronza».«Questa è la legge del poeta smaliziato: / non può piacer se non è un po' sboccato. / Perciò la serietà or deponete / e questi versi sciolti orsù assolvete. / Se poi qualche parola è impertinente / non osate castrar le mie canzoni, / che sarebbe l'esatto equivalente / di chi tagli a un pene i suoi coglioni» (Marziale).