2023-09-12
È Parigi che frena su Ita-Lufthansa per timore del ruolo che avrà Msc
Giorgia Meloni (Getty Images)
Ci sono i francesi dietro i ritardi sulla partita che interessa l’ex Alitalia. Nel futuro gruppo infatti entrerebbe come socio Aponte, che ha già rilevato (con l’appoggio Usa) gran parte delle attività di Bolloré in Africa.A due giorni di distanza l’uscita del premier Giorgia Meloni sui ritardi procedurali nella partita Ita-Lufthansa continua a sollevare polemiche. Le risposte del Mef e del portavoce della Commissione Ue sono state interpretate dalle parti in causa, come si suol dire, ciurlando un po’ nel manico. Il nocciolo non è però tecnico, ma tutto politico. Bruxelles ha diffuso la solita finta smentita ricordando che non si è alla fase uno della procedura. È vero, ma gli intoppi denunciati da Palazzo Chigi sono tutti nella fase zero, quella che in gergo tecnico si chiama pre autorizzativa. «E proprio su questo punto per le autorità italiane c’è il sospetto di un ritardo voluto, di un dossier congelato o in qualche modo ostacolato, anche per ragioni politiche», commentava ieri il Corriere della Sera che non è certo un foglio di centrodestra. Aggiungendo un dettaglio interessante. «I sospetti ovviamente non verranno mai confermati in modo ufficiale, ma la commissaria alla Concorrenza è quella Margrethe Vestager che concorre per lo stesso posto di Daniele Franco alla presidenza della Bei». E sempre secondo il racconto di Via Solferino che riposta indiscrezioni di Palazzo Chigi sarebbero «i suoi dirigenti che hanno avanzato sin troppe, anche se solo iniziali, riserve sul matrimonio delle due compagnie. E questo mentre il loro capo aspira ad una poltrona tecnica di altissimo livello contesa dall’ex ministro dell’Economia italiano». Insomma, solo chi abbraccia l’ipocrisia di una Commissione super partes può ignorare l’intreccio di numerose partite. Non c’è solo la Bei, ma anche il nuovo Patto di stabilità, le continue richieste di adesione al Mes, la partita del Pnrr, senza dimenticare il sostegno di Ursula von der Leyen alle richieste italiane di finanziare Tunisi nella speranza di trasformare il Paese africano in un hub per i rientri. Una grande partita a scacchi a cui va aggiunta una voce trasversale che impatta tutta sulla finalizzazione della cessione di Ita a Lufthansa. Il terzo incomodo si chiama AirFrance o per essere più precisi Parigi. Tra gli addetti ai lavori da qualche settimana è risaputo che Palazzo Chigi sta sposando una terza mossa sulla nuova compagnia aerea. Il dossier Msc, guidata da Gianluigi Aponte, è riaperto e supportato al 100% da Fratelli d’Italia. L’obiettivo è attendere l’avvio della nuova società italo tedesca e dopo tutte le autorizzazioni europee lavorare all’ingresso del famoso player della logistica, il quale in Italia sta anche studiando l’acquisizione di Italo treno. Il tema è molto semplice. Un terzo socio come Msc consentirebbe da un lato al sistema Italia di pesare di più e dall’altro di stimolare l’asse Roma- Berlino. Magari sfruttando gli slot che dalla fusione rimarrebbero liberi e disponibili sul mercato. I francesi già guardano con sospetto a un ruolo primario di Lufthansa nei cieli europei, figuriamoci se l’operazione Msc andasse in porto. Vanno infatti ricordate due cose. La prima riguarda le mosse di Aponte in Africa. Msc ha rilevato grazie al sostegno del mondo finanziario Usa gran parte delle attività logistiche dei francesi (gruppo Bolloré) con l’obiettivo di espandersi in tutto il Maghreb e nel golfo di Guinea. Non è stato solo uno smacco per i francesi, ma anche un segnale forte da parte degli Stati Uniti. D’altra parte consentire a un colosso come quello di Aponte di mettere a sistema le proprie eccellenze significherebbe per Parigi trovarsi una spina nel fianco. A questo punto non dubitiamo che le pressioni siano forti e insistenti. Ci sono numerosi precedenti. Quello più grave di tutti risale proprio a quando Paolo Gentiloni era presidente del Consiglio. Il governo di Emmanuel Macron ha fatto fuoco e fiamme per far saltare l’acquisizione dei cantieri Stx da parte della nostra Fincantieri. Tre anni di rinvii e ritardi sia sul fronte della Concorrenza sia su quello dell’antitrust. Risultato, i francesi ci hanno mangiato in testa e da parte del nostro ex governo nemmeno un plissé. Con la Vestager in aspettativa il dossier è stato subdelegato, ma l’ufficio del commissario all’Economia, appunto quello di Gentiloni, ha assunto maggior peso. «Insomma alla vigilia di un anno elettorale per le istituzioni europee, alla vigilia di alcune nomine economiche (Bei e Vigilanza della Bce) importanti per gli equilibri dell’Unione», torniamo a citare il Corriere, «sembra che fra le Capitali della Ue tiri un’aria di scarsa cooperazione, per usare un eufemismo. Per ora Giorgia Meloni ha coinvolto soltanto Gentiloni, ma è probabile che le lamentele di Palazzo Chigi arrivino molto presto anche alla Von der leyen». La dritta è interessante. L’uscita anticipata di Frans Timmermans, quella imminente della Vestager è segno chiaro che l’intellighenzia Ue sta scappando a prendersi posti sicuri o a sistemarsi per il futuro. In questi mesi c’è da aspettarsi mosse strane su numerosi dossier. Per i socialisti, soprattutto, possono essere le ultime occasioni per piazzare colpi grossi e segnare l’economia dell’Ue anche dopo una sconfitta alle elezioni di giugno prossimo.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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