2024-01-03
Palamara conferma le trame: «Napolitano ci anticipò il cambio Berlusconi-Monti»
«Repubblica» attacca Ingroia per l’intervista alla «Verità». Ma l’ex leader Anm dà ragione all’ex collega: «Da Re Giorgio capii che il Cavaliere era spacciato».L’ispettore Francesco Merlo, noto giornalista investigativo della Repubblica, ha risolto il caso delle intercettazioni (distrutte) in cui l’ex presidente Giorgio Napolitano si sarebbe vantato dell’apporto dato alla caduta del terzo governo Berlusconi. La prima ricostruzione era stata fatta da Panorama nel 2012, poi La Verità ha scovato nuove informazioni e ha ottenuto una non scontata conferma dall’allora procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. Insomma un notevole passo in avanti nella ricostruzione di un episodio di cronaca che oggi vale una pagina di storia. Ma l’ispettore Merlo non ha gradito e sul giornale che per anni ha sponsorizzato come candidato anti Berlusconi il campione delle sedute spiritiche Romano Prodi (celebre quella sul sequestro di Aldo Moro) si è lanciato su un terreno scivoloso, proprio quello dell’evocazione dei morti. Infatti a chi gli chiedeva il livello di credibilità delle dichiarazioni di Ingroia, il sagace cronista ha replicato: «Meno credibilità di una seduta spiritica. L’ex pm antimafia Antonio Ingroia, che alla fine di una lunga e tormentata parabola è diventato “un principe del foro”, ha fatto ballare i tavolini in modalità “clamorose rivelazioni” e ha lasciato capire che Napolitano parlava male, nientemeno, di Berlusconi. Ecco, sullo spiritismo, un Paolo Conte che potrebbe migliorare i rapporti di Ingroia con i morti». A questo punto Merlo cita una canzone in cui l’artista astigiano invoca lo spirito di un celebre jazzista defunto. Non è chiaro se per il giornalista Napolitano fosse un erede di Sidney Bechet o che altro volesse intendere, ma vale la pena di ricordare che Merlo scrive per il giornale già diretto da Ezio Mauro, che della testata è editorialista.Il direttore-mediatoreCioè l’uomo a cui Ingroia in un suo libro del 2018, Le trattative, affibbia una parte non gradita nel drammatico scontro istituzionale esploso tra il Quirinale e la Procura di Palermo, tra il 2011 e il 2012. A sostenere la tesi di un Mauro intermediario è un ex magistrato che, lo ricordiamo, nel 2013 scese in politica con un suo movimento non certo di destra, «Rivoluzione civile». La ricostruzione vale la pena di essere letta quasi integralmente: «Ezio Mauro mi disse che riteneva si potesse giungere a una sorta di “composizione” fra Procura e Quirinale per evitare che ci fosse uno scontro dilaniante fra istituzioni. Io dissi la verità e cioè che noi eravamo i meno interessati allo scontro, ma che non potevamo abdicare al rispetto della legge, e che la legge prevedeva che la distruzione delle telefonate poteva avvenire solo dopo il deposito a disposizione delle parti e una regolare udienza davanti al giudice delle indagini preliminari, e che non era consentita una deviazione da questo percorso. Che quindi non era possibile “l’immediata distruzione” delle intercettazioni come richiesto dal Quirinale, ma che sarei stato disposto a un confronto con gli uffici del Quirinale per trovare una qualsiasi soluzione tecnica che rispettasse la legge […]. Mauro mi chiese tempo e dopo qualche giorno mi fece sapere di avere parlato con Napolitano che concordava con tale soluzione e che riteneva utile che la cosa fosse gestita con noi da una persona di sua fiducia che fosse anche un “tecnico del diritto”, quindi un magistrato o un avvocato, e mi offrì di scegliere fra tre possibili intermediari: il ministro della Giustizia in carica, l’avvocato Paola Severino, un magistrato in servizio, in quegli anni presidente dell’Anm, come Luca Palamara, e infine un politico (del Pd, ndr), ma magistrato in aspettativa, come Anna Finocchiaro. Io scelsi la Finocchiaro e forse feci male, ma mi pareva inopportuno creare un’interlocuzione sia con il ministro in carica, essendo io un magistrato in servizio che dal ministro dipendeva, sia con Palamara, al quale rimproveravo di non averci mai difeso in quegli anni di ripetuti attacchi da tutte le parti politiche e mediatiche». A questo punto Ingroia spiega come finì la trattativa nella trattativa: «Attesi, invano, per settimane che qualcuno mi contattasse, mentre le indagini andavano avanti e Napolitano consolidava la sua intenzione di sollevare il conflitto di attribuzione. Lo feci sapere a Mauro che poi mi disse che Napolitano, al quale lo aveva personalmente comunicato, era rimasto sorpreso che la senatrice Finocchiaro non mi avesse contattato. Risultato fu che il Quirinale, nel frattempo, procedette come un bulldozer, rivolgendosi alla Corte costituzionale, che non poteva far altro – come scrisse Gustavo Zagrebelsky – che dare ragione alla presidenza della Repubblica, per ragioni – diciamo così – politico-istituzionali: dare torto a Napolitano significava innescare una crisi politico-istituzionale e forse le stesse dimissioni di Napolitano». la versione di di matteoOggi Ingroia conferma in toto con La Verità quanto da lui scritto cinque anni fa: «Le cose sono andate esattamente così. Se Mauro mi ha querelato? Mai. Ovvio. Mi ha solo smentito sui media». Davanti all’Antimafia, il pm Nino Di Matteo aveva corroborato la versione dell’ex collega con queste parole: «A un certo punto, nel momento più aspro della polemica dovuta al conflitto di attribuzione, Ingroia, che all’epoca era ancora alla Procura di Palermo e conduceva le indagini con noi, disse, a me e all’allora procuratore Francesco Messineo, che a Roma aveva incontrato il direttore di un noto quotidiano, che gli aveva detto che dal Quirinale volevano sapere se c’era la possibilità di un qualche contatto con la Procura di Palermo, per risolvere questa situazione. E in quel caso il punto di collegamento poteva essere sperimentato dal dottor Luca Palamara». Mauro ammise di ricordare «una visita di Ingroia» ai tempi in cui era direttore di Repubblica, ma smentì che in quell’incontro il suo interlocutore avesse citato l’ex presidente dell’Anm: «Nessuno mi ha mai fatto il nome di Palamara. Un nome che ho scoperto più tardi leggendo le cronache dei giornali e che al momento non conoscevo» disse.Una risposta, che a distanza di qualche anno, fa sorridere l’ex consigliere del Csm processato a Perugia per presunti episodi di corruzioni poi derubricati a traffico di influenze, un signore con alle spalle una storia da toga progressista e democratica, dal momento che è stato il coccolatissimo presidente dell’Associazione nazionale magistrati più antiberlusconiana di sempre e che gli è stata persino proposta dal Pd una candidatura: «Delle due l’una: o Mauro durante il periodo in cui era direttore non leggeva il suo giornale, visto che quasi quotidianamente ero sollecitato a rilasciare interviste antigovernative, oppure mente. In entrambi i casi c’è qualcosa che non va. E forse bisognerebbe partire da qui la commissione d’inchiesta che il vicepresidente della Camera Giorgio Mulé si augura venga incaricata di indagare sul caso».Parla PalamaraSulla questione Palamara aggiunge: «Sto seguendo con grande interesse tutto quello che in questi giorni sta emergendo in merito alle intercettazioni che hanno riguardato la trattativa Stato-mafia e in particolar modo i colloqui intercorsi tra il presidente Napolitano e l'allora senatore Nicola Mancino. Come ho avuto modo più volte di raccontar dal 2008 fino al 2011, quando Berlusconi cade sotto i colpi dello spread, come da prassi costante dell’Associazione nazionale magistrati, ho sempre condiviso la mia attività con il presidente, il cui ruolo in quegli anni non possiamo definire neutrale, ma assolutamente decisivo nella direzione politica dello Stato. I primi di novembre del 2011, dopo un’estate davvero calda sul fronte dei rapporti tra politica e magistratura complici le indagini milanesi su Berlusconi e le annunciate riforme punitive, mi chiama Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del presidente – siamo nei giorni della piena emergenza economica per lo spread alle stelle – per dirmi che era opportuno fare una chiacchierata di persona con il presidente. Il governo Berlusconi era sotto bersaglio da più parti e nonostante l’opera di mediazione di Gianni Letta nel colloquio avemmo una sorta di anticipazione implicita che presto ci sarebbe stato il cambio di guardia tra Berlusconi e Monti. Si tratta di una vicenda che indubbiamente ha creato una sorta di dualismo tra i poteri del presidente della Repubblica e quelli del presidente del Consiglio, quanto mai attuale se rapportata alle discussioni che oggi si fanno sul premierato».E l’incontro con Ingroia c’è stato?«La data chiave è il 23 maggio del 2012, a Palermo, per ricordare i vent’anni dalla morte di Giovanni Falcone. Quel giorno incontro Ingroia, D’Ambrosio e lo stesso presidente. L’ex collega, come ha scritto nel suo libro, mi riferì di aver appreso dall’allora direttore di Repubblica che ero considerato uno dei papabili per mediare i rapporti tra la Procura di Palermo e il Quirinale sulla vicenda intercettazioni.Con D’Ambrosio ci incontriamo all’hotel, e lo trovo molto provato, mi confida di essere profondamente amareggiato per quello che sta emergendo sul suo conto in relazione all’indagine sulla trattativa. Mi racconta dei verbali che lo riguardano e delle domande che gli sono state rivolte. Mi confida che per tutelare il presidente di fronte ai legittimi sfoghi di Mancino il più delle volte era stato costretto a frapporsi lui. In tale ambito e in tale contesto affrontammo anche il problema relativo alla necessità di trovare un punto di equilibrio con la Procura di Palermo».E Napolitano? «Sempre in quell’occasione anche lui si mostrò spazientito per quanto stava accadendo a Palermo». E le chiese di fare da ambasciatore? «Implicitamente avevo colto questo».
Romano Prodi e Mario Draghi (Ansa)