Unicredit prosegue la scalata a piccoli passi convertendo un altro 6% di derivati, senza entrare nella gestione. Il ministero delle Finanze tedesco: «Non accettiamo strategie non concordate». Il mercato però è entusiasta.
Unicredit prosegue la scalata a piccoli passi convertendo un altro 6% di derivati, senza entrare nella gestione. Il ministero delle Finanze tedesco: «Non accettiamo strategie non concordate». Il mercato però è entusiasta. Non è solo una questione di banche o di percentuali di capitale: la scalata di Unicredit a Commerzbank più che una storia di finanza racconta un’Europa in cui i confini nazionali restano ben definiti, e in cui il concetto di sovranità economica è liturgia comune. Andrea Orcel, da quattro anni alla guida di Unicredit, ha scelto di giocare la sua partita lontano dai riflettori italiani e dai palazzi della politica di Roma, puntando direttamente su Berlino, dove il destino del gruppo italiano si intreccia con quello di Commerzbank, seconda banca tedesca. Il contesto non è casuale. Dopo il naufragio del progetto italiano su Banco Bpm - bloccato dall’opposizione del governo di Roma - Orcel ha deciso che il futuro del gruppo si gioca nei salotti silenziosi della finanza europea, non nelle aule politiche dove le dichiarazioni ufficiali spesso servono solo a coprire interessi. Convertire derivati in azioni non è un semplice esercizio tecnico: è una strategia di lungo termine, che consente a Unicredit di consolidare una posizione di rilievo senza provocare uno choc immediato nei mercati o nei regolatori. Ieri Unicredit ha annunciato di aver portato la quota di Commerzbank dal 20% al 26%. La prova di un approccio metodico, quasi chirurgico, simile a quello adottato da Mediaset quando iniziò a scalare Prosiebensat: piccoli passi, incrementi graduali, fino a diventare un attore impossibile da ignorare. La strategia di Orcel è identica. Crescere nel capitale ma non nella governance della banca. Quindi per il momento non verranno chiesti posti in consiglio d’amministrazione, anche se ormai la banca italiana è largamente il primo azionista. Rimane ancora un 3% da convertire «a tempo debito», come sottolineano a Milano, quasi a ricordare che in finanza il fattore tempo può essere più potente delle polemiche. L’obiettivo è completare la conversione dei derivati nel 2027. Nessuna fretta, dunque, ma una logica di pressione silenziosa: costruire influenza senza innescare obblighi regolatori come l’Opa, che scatterebbe superando la soglia del 30%.Dal lato tedesco, invece, la lettura della vicenda è diametralmente opposta. Già a luglio, quando Unicredit aveva raggiunto il 20%, il cancelliere Friedrich Merz aveva parlato di «scalata ostile», con toni quasi da guerra fredda. E ieri, una portavoce del ministero delle Finanze ha ribadito il concetto: «Non accettiamo mosse non concordate e ci riconosciamo nell’indipendenza di Commerzbank». Tradotto: la banca deve restare sotto controllo nazionale, anche se questo significa rinunciare a capitali e management più efficienti provenienti dall’Italia.La tensione, in realtà, è più politica che economica. Berlino teme che un gigante bancario con radici italiane possa diventare un rischio sistemico, ma ciò che irrita maggiormente è il simbolo: Commerzbank rappresenta una parte della sovranità economica tedesca. Orcel ricorda ironicamente che lo scorso anno era stato il governo del cancelliere Scholz a chiedere il suo intervento per privatizzare l’istituto, perché non trovava investitori disponibili. Per Unicredit la conversione dei derivati in azioni ha ridotto i costi di copertura, aumentato la trasparenza e garantito un ritorno stimato attorno al 20%. Dove la politica si indigna, il mercato applaude.La storia della scalata non nasce dal nulla. Nel settembre 2024 Unicredit era entrata in Commerzbank con il 9,5%, metà dal collocamento accelerato voluto dal governo tedesco. Successivamente sono arrivati gli swap con Barclays e Bank of America sull’11,5%, la salita al 28% in derivati a dicembre e, a marzo, il disco verde della Bce seguito dai via libera di Antitrust e Bafin (la Consob tedesca). Infine, la prima conversione di luglio e ora il balzo al 26%: tutte mosse trasparenti, approvate dalle autorità europee. Ma a Berlino resta «scalata ostile».Il quadro si complica ulteriormente se si considerano le ambizioni territoriali di Unicredit. Il gruppo non è solo presente con Commerzbank: in Germania già controlla Hvb e punta a consolidare la propria presenza in Polonia attraverso MBank, quarto gruppo del Paese. Per Orcel, questo rappresenta la via maestra per riportare Unicredit in un’area strategica da cui il suo predecessore Jean Pierre Mustier si era ritirato nel 2016, vendendo il Banco Pekao. Per la Germania, invece, appare come un’invasione silenziosa, lenta ma inesorabile.Il copione richiama ancora una volta Mediaset con Prosiebensat: niente assalti frontali, solo pazienza, disciplina e piccoli passi, capaci alla fine di piegare le resistenze senza rumore. Orcel evita l’Opa obbligatoria, resta sotto la soglia del 30% e lascia che siano gli eventi a costringere gli avversari a trattare. Una guerra di logoramento in cui il silenzio strategico diventa più potente di qualsiasi dichiarazione ufficiale.Mentre Berlino si agita, in Italia il risiko finanziario continua: dopo il fallimento della fusione con Banca Generali, Mediobanca resta appesa alle mosse di Mps, che potrebbe rilanciare l’offerta utilizzando parte del capitale in eccesso, stimato oltre 2,8 miliardi di euro. Con adesioni ancora basse, tra il 19,4% al 21 agosto, un rilancio potrebbe convincere più azionisti a sottoscrivere, assicurando al gruppo toscano il 55% di Piazzetta Cuccia.
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Il fondatore di NeroGiardini Enrico Bracalente: «I tratti vincenti di queste calzature sono lo stile italiano e la comodità. Crediamo che una scarpa debba essere così confortevole da dimenticare di averla ai piedi. La svolta? Investire in pubblicità: un grande brand deve essere noto».
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I ministri Roccella e Nordio puntano i fari sulle strutture per i minori, una rete di cooperative che fa girare quasi 1 miliardo all’anno per ricollocare i piccini sottratti alle famiglie. Il primo obiettivo è verificare quanti di questi provvedimenti siano sensati.
Carlotta Vagnoli (Getty Images)
Per oltre 23 mesi, Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene (candidata anche con Santoro) avrebbero perseguitato un uomo colpevole di avere una relazione parallela: «Lo dobbiamo mutilare».






