2025-10-25
Indagate per stalking e molestie le paladine del femminismo nostrano
Carlotta Vagnoli (Getty Images)
Per oltre 23 mesi, Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene (candidata anche con Santoro) avrebbero perseguitato un uomo colpevole di avere una relazione parallela: «Lo dobbiamo mutilare».I giornali sono pieni di cronache sulle malefatte degli uomini. Uomini che uccidono. Che prevaricano. Che fanno stalking. E pure di commenti che spiegano come il centro di tutto sia il patriarcato, che tutto schiaccia e annienta. Perché il problema - si legge nemmeno tanto tra le righe -sono sempre loro: i maschi. Che, in quanto tali, sono da rieducare. Anzi: da decostruire, come dicono le femministe più incallite. Bisogna togliere loro tutte le caratteristiche che li rendono uomini perché così proprio non vanno.Accade però anche il contrario. Accade pure che le carnefici possano essere delle donne. Come nel caso di Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene (candidata con Michele Santoro alle ultime elezioni europee) che, per 23 mesi, avrebbero perseguitato tal A.S., «colpevole» di aver avviato una relazione parallela con una loro amica, pure lei femminista (e qui verrebbe da dire che a quest’uomo piace il pericolo). Perché la libertà sessuale va bene, ma solo se è a senso unico. Solo - ovviamente - se sono le donne a praticarla.Non appena scoprono che A.S. ha una relazione parallela, le tre fanno di tutto per screditarlo attraverso post social in cui lo definiscono «abuser» e «manipolatore». Il che, oggi, equivale alla morte sociale. Sei un maschio, probabilmente pure violento, quindi devi scomparire. Ed è proprio questo - secondo gli inquirenti - lo scopo delle tre, che del resto scrivevano: «Gli facciamo fare la fine della merda che è», «Che si ammazzi con il coltello», «Avrà una morte sociale e politica che non immagini», «Lo mutiliamo, questo coglione». A.S. è distrutto. Prova anche a farla finita, ma viene fermato. Denuncia le tre per stalking. La Vagnoli - che forse non apprezzerà l’articolo prima del cognome - dice di essere innocente e di aver agito «nella piena legalità e per la protezione delle vittime di violenza maschile». Saranno i giudici a dimostrarlo, ovviamente. Ma colpisce la sicurezza dell’attivista, visti i toni dei messaggi.Il «commando transfem», questo il nome della chat in cui le tre si scrivevano, non ha pietà. Quando A.S. prova a ricomporre la situazione, gli risponde unicamente la Fonte: «Mi obblighi a chiedere un consulto a un centro anti violenza. Sei evidentemente un soggetto pericoloso. Alla prossima mail o messaggio ti mando la polizia». Ma c’è stato pure di peggio. Il presunto perseguitato, infatti, vive grazie agli eventi che organizza. Uno di questi, però, salta all’improvviso. A.S. riceve infatti un messaggio «da un relatore dicendo che c’erano dei problemi inerenti alla mia presenza e che era a loro giunta la notizia che io ero un molestatore e un abuser». Probabilmente, a fare la segnalazione è stata la Vagnoli. È il metodo call out applicato: il far fuori una persona dalla vita pubblica applicandogli un marchio di infamia. A.S. è un «abuser», quindi. A finire nel mirino delle tre, però, non ci sarebbe solo il già citato A.S. ma pure Serena Mazzini, più nota sui social come Serena Doe. Anche lei avrebbe avuto dei problemi con le attiviste a causa di una foto intima della Fonte pubblicata su Telegram. La Mazzini viene contattata da quest’ultima, che prima minaccia querela e poi applica il già citato metodo call out: «Venivo descritta come un capo di un gruppo di incel miei adepti, omofobi, transfobici, misogini, adusi alla condivisione di materiale proveniente da casi di revenge porn», racconta Mazzini. Fonte rivendica la sua azione pubblicamente: «Questo call out ha un solo scopo: far vacillare la reputazione di chi gioca con temi molto caldi, razzolando privatamente molto male, per me è sufficiente che la reputazione di questa persona inizi a vacillare». Così però, almeno in questo caso, non è stato. Alla Fonte si aggiungono anche altre attiviste, tra cui la Vagnoli.Ieri, il pm Alessio Rinaldi ha chiuso le indagini nei confronti delle tre per «avere, con condotte reiterate, molestato A.S. e Serena Mazzini, in modo da cagionare loro un grave stato d’ansia, ingenerando nei predetti un fondato timore per la propria incolumità e costringendoli ad alterare le proprie abitudini di vita, mettendo in atto una campagna denigratoria ed offensiva nei loro confronti tesa a ledere e screditare il loro operato mediante chat pubbliche su social network “Instagram” nelle quali accusavano il primo di essere un “abuser” ed un “manipolatore” e la seconda di essere capogruppo di soggetti adepti omofobi, misogini, transfobici e altro dediti alla diffusione di materiale a contenuto sessuale».È, questa, l’altra faccia del femminismo radicale. Si scrive call out, si legge guerra ai maschi. E pure a chi la pensa diversamente. A questo si è ridotto oggi un certo femminismo.
Eugenia Roccella (Getty Images)