2023-05-27
Ora Ursula insulta le vittime: «Più verde sul Po e meno dighe»
Ursula von der Leyen e Luigi Brugnaro (Ansa)
Mentre i primi cittadini dei Comuni colpiti, come Ravenna, chiedono dighe e argini più resistenti, il presidente della Commissione ricorda i 6 miliardi per «rimuovere il cemento e riattivare il verde lungo le rive dei fiumi». Ovvero tutto il contrario di ciò che serve.Che cosa sia stato il movimento artistico chiamato Bauhaus lo ha mirabilmente sintetizzato Tom Wolfe nel capolavoro intitolato Maledetti architetti. «I giovani architetti e artisti che venivano al Bauhaus per vivere e studiare e apprendere dal Principe d’Argento parlavano di “ripartire da zero”. La si udiva di continuo questa frase: “ripartire da zero”». Il principe d’argento era il celeberrimo Walter Gropius, capo carismatico del gruppo, un intellettuale aristocratico nell’aspetto e nei modi che guidava un «compound» cioè una conventicola, una élite di creativi convinta d’avere gli strumenti per rifare il mondo «più giusto». Egli, scriveva Wolfe, «dava il suo avallo a qualsiasi esperimento che essi intendessero compiere, purché fosse in nome di un puro e pulito futuro. Persino a nuove religioni, come la Mazdaznan. Persino a nuovi, salutari regimi dietetici. Per un certo periodo al Bauhaus si mangiarono solo verdure fresche». Nulla di strano per il periodo storico: l’immediato dopoguerra fu una fucina di utopie, in particolare nella stravagante Repubblica di Weimar, un crogiuolo di esperienze anarcoidi e socialistoidi di cui il Bauhaus (un termine che voleva richiamare le logge muratorie) fu uno dei fiori all’occhiello. Purtroppo, il movimento fece deflagrare i problemi che affliggono tutte le utopie: nel tentativo di costruire la città ideale ci si dimentica di quella reale. Ripartire da zero significa appunto resettare, ricostruire sulla base di una struttura ideologica a cui l’uomo deve essere forzato ad adeguarsi. E se non si adegua... peggio per lui. È estremamente emblematico, dunque, che Ursula von der Leyen abbia scelto proprio l’utopia architettonica germanica delle città operaie come modello per la rinascita europea. Anche la sua visione prevede il reset e, soprattutto, si regge su una impalcatura ideologica che trascura la realtà e, in fin dei conti, l’essere umano. Ieri, a Venezia, la presidente della Commissione Ue ha partecipato a un convegno dedicato appunto al Bauhaus europeo di cui, ha fatto sapere, l’Italia è parte integrante e fondamentale. Ripartire da zero, allora, come ai tempi di Weimar. Solo che in Europa se si vuole ripartire da zero bisogna prima distruggere, cancellare la storia, l’esperienza e la tradizione. Più o meno ciò che il programma di Ursula sembra prevedere. Lo conferma ciò che la nostra eroina ha detto a proposito della catastrofe in Emilia Romagna. «L’Europa è con voi. Anche per ripristinare l’equilibrio stravolto tra la natura e l’ambiente edificato», ha dichiarato. «Il Next generation Eu prevede 6 miliardi di euro per l’Italia, destinati a ridurre i rischi di inondazioni e frane. Per esempio, sarà ripristinato il letto del fiume Po, con interventi di rimozione del cemento e riattivazione del verde lungo le rive, per lasciare spazio alla natura. Dobbiamo fare della natura il nostro partner nella lotta contro i cambiamenti climatici». Per prima cosa bisogna notare come l’intero ragionamento prenda le mosse da un indiscutibile presupposto: «Questo mese l’Italia è stata nuovamente vittima degli effetti dei cambiamenti climatici». Chiaro: la causa dell’alluvione è quella indicata dagli attivisti verdi, tutto dipende dal riscaldamento globale, la tragedia è un segno della imminente apocalisse verde. «Ieri sono stata in Emilia Romagna. Ho visto le inondazioni, le frane. Percorrendo le strade ricoperte dal fango sono rimasta colpita non solo dall’impressionante entità dei danni, ma anche dalla meravigliosa reazione della gente del posto», ha proseguito Ursula. «Stanno lavorando instancabilmente per ripulire tutto e per aiutare i vicini che ne hanno bisogno. Abbiamo visto gli angeli nel fango. Volontari da tutta Italia. Soccorritori da Francia, Belgio, Slovacchia, Slovenia. E al loro fianco: l’Unione europea». Ma certo, l’Ue è al fianco di chi soffre. E in che modo, di grazia? Beh, con i 6 miliardi del Pnrr stanziati per combattere il dissesto idrogeologico. A prima vista sembrerebbe una bella notizia: l’Europa ci dà i soldi per ricostruire. A ben vedere, però, l’annuncio ha una sfumatura particolare. Ursula sembra sostenere che i nostri guai dovuti alla crisi climatica saranno risolti dagli interventi per combatterla già previsti del Green deal europeo. E può pure darsi che quei soldi facciano comodo e servano, come no. Solo che per aiutare i territori, le famiglie e le imprese colpite, oggi, non c’è bisogno di interventi pianificati a monte, bensì di denari elargiti a valle per fare fronte alle esigenze immediate. Soprattutto c’è necessità di ascoltare ciò che dicono i sindaci e le popolazioni locali: occorre, cioè, fare i conti con la realtà e dimenticare l’ideologia. Il punto è che Ursula sembra agire nel modo esattamente contrario. Piccolo esempio. Il sindaco di Ravenna da giorni si sgola a dire che gli va bene lottare contro il riscaldamento globale, ma per mettere in sicurezza la sua terra servono invasi, pompe idrovore, dighe, argini più resistenti. Attorno alla sua città, un tempo, v’erano soltanto paludi che l’alacre popolazione ha bonificato nei secoli, con una opera d’ingegno mirabile. Lasciare lo scorrere dei fiumi circostanti all’arbitrio della natura significa venirne sommersi, perché è stata l’azione umana a rendere vivibili quelle zone ora finite in parte, di nuovo, sott'acqua. Questa è la realtà. Dall’altra parte c’è l’ideologia, cioè l’amica Ursula che parla di «interventi di rimozione del cemento e riattivazione del verde lungo le rive dei fiumi», ovvero l’esatto contrario di ciò che serve ora a Ravenna. Il dramma europeo sta tutto qui, nel nuovo Bauhaus, nell’idea di rifare da zero trascurando il passato, nella volontà di sovrapporre la religione verde alle povere esigenze umane. Ieri la von der Leyen ha squadernato ancora una volta tutti i dogmi. «Il danno causato dall’uomo è particolarmente tangibile qui a Venezia», ha detto, «Possiamo evitare lo scenario peggiore, ma tutto dipende dalla nostra velocità d’azione. Ridurre le emissioni degli edifici è cruciale per conseguire la neutralità climatica e rallentare l’innalzamento del livello del mare. Per noi il concetto di solidità si traduce in sostenibilità. Palladio riteneva che gli edifici dovessero resistere alla prova del tempo. Gli edifici supereranno tale prova solo se saranno sostenibili». C’è tutto. La natura trasformata in divinità adirata con l’uomo che le ha mancato di rispetto. L’insistenza sugli edifici da ricostruire addirittura a Venezia, una città che è tutta una sfida al contesto naturale, che è una vittoria delle capacità umane in grado di rendere abitabile ciò che non potrebbe esserlo. Sia chiaro: non vogliamo certo affermare che sia buono e giusto cementificare ovunque e continuare a relazionarsi al creato con voluttà predatoria. Siamo i primi, anzi, a sostenere che serva recuperare il senso del limite e che occorra conservare il giardino che ci è stato affidato. Ma il giardino ha bisogno di un giardiniere, altrimenti diviene una giungla piena d’insidie. Uomo e natura sono parte di un equilibrio, non due entità contrapposte come Ursula e certi ambientalisti fanatici insistono a ripetere, limitandosi a riciclare specularmente il paradigma del progresso sfrenato. Ergo occorre tutelare foreste, fiumi, flora e fauna, ma senza sacrificare l’uomo, senza dipingerlo come una sorta di cancro del pianeta. Nelle zone alluvionate serve più intervento umano, non meno. Servono soldi e interventi concreti, non finanziamenti a una generica lotta contro una «emergenza climatica» dai contorni incerti che viene per lo più utilizzata per spingere un gigantesco giro d’affari globale. Direbbe forse Tom Wolfe: meno Bauhaus e più «our house», più casa nostra. Il pianeta si salva da solo, qui ci sono da salvare dei cristiani rovinati dal disastro e da qualche amministratore che non ha fatto quanto doveva, perché il clima cambia sempre ma gli uomini non cambiano mai.