
Con il nuovo accordo, Arcelor Mittal potrà mollare tutto pagando solo 500 milioni, un terzo di quanto pattuito in precedenza. E lo Stato dovrà entrare nel capitale, anche se il governo sta cercando di farlo fare alle banche.Manca una settimana e mancano anche i soldi veri. Almeno un miliardo che dovrà finire nella nuova società che si occuperà dell'ex Ilva. Per il resto il governo e Arcelor Mittal sono d'accordo nel chiudere il nuovo contratto di rilancio entro il 28 di febbraio in modo da arrivare con un documento condiviso in tempo per cancellare la causa civile. Tanto più che l'altro nodo delicato, quello della penale di Arcelor Mittal in caso di addio futuro agli impianti dell'ex Ilva, sarebbe già sciolto. Il governo ha accettato una cifra forfettaria di 500 milioni. L'azienda franco indiana ha fissato il paletto e il governo si è messo in scia. Di fronte alle proteste dei magnati indiani dell'acciaio, che si sono detti scottati dalla cancellazione dello scudo penale, i gialorossi hanno deciso di accettare a fornte della mini penale una way out per i motivi più disparati. Si tratta infatti di un maxi sconto rispetto alle penali previste dal contratto del 2018. In quel caso per ogni posto di lavoro perso o cancellato Arcelor Mittal avrebbe dovuto pagare 150.000 euro. Cifra che moltiplicata per circa 10.000 dipendenti da 1,5 miliardi di euro. Non a caso, i legali della multinazionale e quelli dell'Ilva in amministrazione straordinaria starebbero ultimando il documento in un clima «disteso», con l'intento di sciogliere alcuni nodi ritenuti, però, di rilevanza secondaria. Come, ad esempio, il canone da versare il prossimo novembre e altri punti che non dovrebbero rappresentare un problema insormontabile. In questo quadro gli avvocati civilisti si sono già accordati sulle modalità per la revoca dell'atto di citazione con cui il gruppo franco indiano lo scorso 4 novembre aveva annunciato l'addio alle acciaierie e del conseguente ricorso cautelare e d'urgenza presentato dai commissari al giudice civile Claudio Marangoni, titolare del procedimento. Non è escluso che la chiusura del contenzioso possa avvenire saltando anche il passaggio dell'aula e cioè senza che si tenga l'udienza fissata per il 6 marzo. Anche se tra i sindacati, in particolare la Uilm, c'è scetticismo, in altri ambienti invece assicurano che oramai la strada è in discesa. Perché quello che in gergo tecnico si chiama addendum al contratto è ormai messo nero su bianco con tanto di impegni presi dal governo, da Ilva in amministrazione straordinaria e da ArcelorMittal. Quest'ultima, in particolare, si è impegnata per l'aumento del capitale, che verrà poi sottoscritto da Palazzo Chigi alla fine del prossimo novembre (altra data cruciale), e ha anche assicurato di procedere a breve al rinnovo totale dell'altoforno 5 e alla realizzazione del forno elettrico in linea con il piano industriale «green» reso noto il 20 dicembre con la firma in una stanza del tribunale milanese di un'intesa preliminare. Nell'accordo, che dovrebbe essere sottoscritto la prossima settimana, non si parla, comunque, ancora di livelli occupazionali. Capitolo che sarà definito più avanti nella consapevolezza che nel periodo di transizione dal vecchio al nuovo polo siderurgico probabilmente sarà necessario ricorrere ad una cassa integrazione temporanea in attesa di sapere, quando lo stabilimento lavorerà a pieno regime, quale sarà l'effettiva forza lavoro da impiegare. Se da un lato gli ultimi dati della produzione di acciaio parlano di un picco positivo, il numero dei dipendenti della newco non è stato messo nero su bianco. Motivo per c'è anche chi non crede che l'intesa possa portare a un rilancio del polo siderurgico. «La trattativa». ha spiegato Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, «sembra una farsa, serve solo a far uscire ArcelorMittal dall'Italia. L'accordo che governo e multinazionale stanno discutendo si limita a spostare il problema in avanti, magari al prossimo esecutivo». Secondo il sindacalista, «l'unica cosa che hanno definito è stata la quota di 500 milioni per il recesso di Mittal, che è irrisoria rispetto agli impegni e investimenti previsti dall'accordo del 6 settembre 2018 che ammontavano a oltre 4 miliardi di euro». L'osservazione non è del tutt campata per aria. Lo si capirà anche dalle mosse future delle banche. In questo momento Palazzo Chigi starebbe facendo pressioni agli istituti creditori perché entrino nella newc convertendo una parte del credito in equity. Per farlo vorranno garanzie e non promesse.
Emanuele Orsini (Ansa)
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