2020-03-13
Ora il Covid-19 ha monopolizzato gli ospedali
Da Nord a Sud si corre contro il tempo per allestire nuovi posti di terapia intensiva. Il sindacato dei medici: «Solo i grandi centri riescono a curare anche altre patologie». Spesso senza mascherine. Matteo Salvini: «Le forze dell'ordine sono costrette a farne a meno».Gli ospedali non ce la fanno più. Da Nord a Sud si corre per ampliare i posti disponibili e allestire nuove postazioni per ricoveri in terapia intensiva (costo: circa 150.000 euro ciascuna) sfidando il tempo e i vincoli di bilancio. Addirittura, nelle tre regioni funestate dal morbo cinese - Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna - le strutture si stanno velocemente convertendo al trattamento del solo coronavirus. Le urgenze oncologiche vengono dislocate in reparti di altre strutture ed è l'intera equipe medica che seguiva in origine il paziente a spostarsi. «Non penso che esista in Lombardia un ospedale che non abbia ricoverati per il Covid-19, basta guardare i numeri per capirlo. E solo nei grandi ospedali, quelli da 1.000 posti letto per intenderci, riescono ancora a tenere aperti dei reparti per patologie diverse», ha denunciato Stefano Magnone, segretario regionale del maggior sindacato dei medici ospedalieri italiani Anaao Assomed. «In Emilia Romagna si stanno usando tutte le strutture possibili per il Covid-19, vengono riaperti ospedali che erano stati chiusi in passato, qui si è smesso di fare ricoveri ordinari, per le urgenze che non si possono rimandare i pazienti vengono mandati anche nel privato convenzionato. Ma il dramma nel dramma è che non ci sono dotazioni di protezione individuale a sufficienza per gli operatori sanitari, eccetto nei pronto soccorso e le terapie intensive», gli fa eco Ester Pasetti, segretario regionale di Anaao Emilia Romagna. Situazione che, peraltro, riguarda anche l'ospedale di Sulmona, dove medici e infermieri devono operare a viso scoperto, e quello di Palermo, ormai quasi del tutto trasformato in un centro di cura Covid-19.Intanto in Veneto il grido d'allarme del sindacato dei medici pare aver sortito qualche risultato: «Nonostante i decreti del governo che tengono la gente in casa per il pericolo di contagio, nella nostra regione l'attività ambulatoriale per visite e prestazioni differibili prosegue normalmente con conseguente sovraffollamento nelle sale d'attesa», ha stigmatizzato Adriano Benezzato, segretario regionale di Anaao. «Qui da noi sta arrivando un'onda di tsunami, i casi di Covid-19 raddoppiano da un giorno all'altro, per questo abbiamo scritto all'assessore regionale di emanare immediatamente disposizioni per limitare il più possibile il rischio». E nel pomeriggio di ieri, in seguito alle richieste dell'Anaao, la Regione ha deciso di chiudere gli ambulatori per le prestazioni non urgenti.La mancanza di adeguati sistemi di protezione è il tema dell'attacco anche di Matteo Salvini al Guardasigilli, Alfonso Bonafede. «Ieri (mercoledì, ndr) ha detto che daranno 100.000 mascherine nelle carceri. Al di là della polizia penitenziaria, che ne merita un milione, qui ci sono poliziotti, carabinieri, vigili del fuoco, militari e finanzieri che stanno facendo i controlli per il coronavirus senza mascherine e guanti. Loro per dignità non lo dicono...», ha detto il leader della Lega in una diretta Facebook.Non è solo una questione di dotazioni sanitarie individuali, è il sistema intero a traballare. Situazione complessa allo Spallanzani di Roma che conta 88 contagiati ricoverati, 15 dei quali costretti alla respirazione artificiale. Altri 50 casi sono stati diagnosticati, invece, al Bambin Gesù. A Napoli, il governatore campano, Vincenzo De Luca, ha deciso di destinare un'ala del Loreto Mare alla cura dei pazienti affetti dalla sindrome di Wuhan. Entro lunedì dovrebbero essere pronti 25 letti di terapia subintensiva e si sta ragionando, inoltre, sulla possibilità di utilizzare anche l'ex ospedale Nato. A Perugia, l'Asl ha deciso di richiamare, invece, i medici in pensione. Con gli spazi che si riducono, avanzano però nuove idee. Non certo come in Cina dove è stato costruito un nosocomio in appena sei giorni, ma le proposte sono sul tavolo. La Regione Sicilia sta studiando la possibilità - così come sta avvenendo anche in Liguria, peraltro - di ospedali allestiti sulle navi. Mentre a Brescia, l'autorità sanitaria è in attesa dell'autorizzazione della Regione Lombardia per allestire un ospedale da campo nell'area della Fiera di Brescia. A Bari il pronto soccorso del Miulli di Acquaviva delle Fonti è tornato nuovamente attivo dopo la chiusura dovuta alla presenza di un medico contagiato. Problema che ora affligge, invece, Bergamo che conta 50 medici positivi al tampone. Nel capoluogo il ritmo di infezione è elevatissimo, e la conta dei decessi è esponenziale a tal punto che sono ormai saturate le camere mortuarie degli ospedali e del cimitero (arrivano circa 40 salme al giorno, non tutte dovute però al coronavirus). Le nuove bare sono ospitate nella piccola parrocchia del camposanto. In attesa di una sepoltura veloce e solitaria.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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