2024-02-17
Lo stop a Open Arms firmato pure dai grillini
Il ministro Piantedosi al processo di Palermo contro Salvini: il divieto d’ingresso per la nave con i clandestini in acque internazionali italiane fu sottoscritto dal leader leghista ma anche da Toninelli e Trenta. «Il premier Conte era informato. E l’Ong mirava all’Italia».Il primo divieto d’ingresso per il taxi del mare Open Arms fu firmato da altri due ministri oltre a Matteo Salvini (che in quel momento guidava l’Interno e che si è ritrovato accusato di sequestro di persona per aver impedito, nell’agosto 2019, lo sbarco della nave spagnola), il premier Giuseppe Conte era informato, la nave respinse il coordinamento delle autorità libiche, non consegnò i 147 passeggeri a Malta e rifiutò il Pos offerto da Madrid, c’era il rischio di infiltrazioni terroristiche e nessuno dei presenti a bordo rischiava la vita.La deposizione, ieri, nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, testimone della difesa in quanto capo di gabinetto del ministero all’epoca dei fatti, ribalta la narrazione dell’accusa. Open Arms, secondo Piantedosi, sin da subito «mirava a venire verso l’Italia», trascurando «di poter richiedere assistenza per far sbarcare persone in Tunisia o a Malta», che «si offrì di recuperare 39 migranti perché si trovavano nelle loro acque territoriali». Open Arms, però, ha confermato Piantedosi, «rifiutò quest’opzione e più avanti venimmo a sapere che alcuni sulla nave si erano un po’ agitati con il comandante per non essere sbarcati quando ne avevano avuto l’occasione».E quella non è stata l’unica occasione non presa in considerazione dalla Ong. «La Spagna, che aveva anche fatto partire una nave per andarli a prendere», ha ricordato l’ex capo di gabinetto, «concesse un porto sicuro alla Open Arms dopo Ferragosto e per noi fu un segnale molto importante, ma la Ong, come prima reazione, disse che non era in condizione di arrivare in Spagna perché era trascorso troppo tempo». La decisione, secondo Piantedosi, sarebbe stata dettata dal timore «di incorrere in qualche sanzione, perché a bordo aveva un numero maggiore di persone soccorse rispetto a quelle consentite».Da parte di Open Arms, insomma, stando alle valutazioni fatte in quel momento dal governo italiano, sembrava ci fosse «una preordinata volontà di portare i migranti in Italia piuttosto che di salvarli». E, così, ha spiegato l’ex capo di gabinetto, «qualificammo l’evento come di immigrazione clandestina e, valutati i comportamenti della Open Arms, avviammo le procedure per emanare il decreto interministeriale per impedire l’ingresso in acque internazionali italiane».La decisione, ha confermato Piantedosi, «venne condivisa da tre ministri ed era a triplice firma, il ministro dell’Interno, il ministro delle Infrastrutture (Danilo Toninelli, ndr) e quello della Difesa (Elisabetta Trenta, ndr) informando il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte». Il secondo provvedimento di divieto di ingresso in Italia, invece, «non fu firmato dai ministri della Difesa e delle Infrastrutture. Si riteneva, infatti, che non vi fossero le condizioni giuridiche per la reiterazione del provvedimento».La cornice politica, invece, era questa: «C’era l’obiettivo di coinvolgere altre nazioni nella distribuzione dei migranti», prima di autorizzare uno sbarco. Inoltre, «l’indirizzo politico era noto, ovvero contrastare l’immigrazione irregolare e affermare che l’Italia non fosse l’unico Paese destinatario». Piantedosi ha evidenziato anche che «Salvini invocò il ruolo del presidente del Consiglio, che può revocare o sostituirsi al ministro, spiegando che non era favorevole allo sbarco ma che se Conte era favorevole lui li avrebbe fatti sbarcare». E ha puntualizzato: «Il ministro dà solo le indicazioni politiche, è il capo di gabinetto che adotta i provvedimenti». Poi ha dedicato un passaggio alle condizioni sanitarie a bordo. Ed è stato netto: «Pur non spettando all’Interno questa valutazione, che compete a Cirm e Usnaf, siamo sempre stati sicuri che i migranti non correvano pericolo di vita». E i minorenni che erano tra i passeggeri? «Si sosteneva che i minori non erano accertati come tali», ha affermato Piantedosi, «e si era in un contesto in cui il minore comunque si trovava in una condizione in cui qualcuno poteva provvedere alla sua tutela. Ragionare al contrario significava candidarci all’assistenza di tutti i minori che si presentano alla frontiera».E quello non sarebbe stato l’unico pericolo: «Il potenziale rischio dell’arrivo di soggetti legati al terrorismo era ciclico», ha detto Piantedosi, «e veniva sottolineato nei comitati per l’ordine e la sicurezza ai quali erano presenti i rappresentanti delle forze dell’ordine e del comparto intelligence. Ci poteva essere il rischio che venisse meno ogni forma di premunizione di fronte a un accesso incontrollato di persone, in questo caso migranti». E ha anche ricordato che «non c’era solo il caso ipotetico di un terrorista a bordo, ma anche casi in cui il processo di radicalizzazione inizia dopo lo sbarco, come per l’attentatore di Berlino che entrò a Lampedusa».«Abbiamo rinunciato a diversi testi perché la testimonianza dell’ex capo di gabinetto è stata dirimente che chiarisce tutto», ha spiegato alla fine dell’udienza l’avvocato Giulia Bongiorno, che difende Salvini, aggiungendo: «Piantedosi ha definito la linea di demarcazione tra coloro che si devono occupare della salute (Cirm e Usnaf) e coloro che si devono occupare di sicurezza». E ha affermato: «La Guardia costiera avrebbe fatto scendere i migranti, come è accaduto con la Mare Jonio. Le valutazioni di sicurezza sono decisioni superate; inutile discutere sullo stato dei migranti perché, se fosse stato necessario, sarebbero scesi». Avanti un altro: il prossimo teste che sfilerà davanti ai giudici palermitani (il 22 marzo) è l’ex ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)