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2021-08-09
Le Olimpiadi più esaltanti nella storia dello sport italiano
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Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi (Ansa)
I 13 minuti che cambiarono per sempre la storia e la percezione dello sport italiano alle Olimpiadi. È l'intervallo trascorso tra le 14:40 di domenica 1° agosto, quando Gianmarco Tamberi e Mutaz Essa Barshim decisero di spartirsi la medaglia d'oro nel salto in alto, e le 14:53, momento in cui Lamont Marcell Jacobs tagliò per primo il traguardo di quella che è la gara per eccellenza dei Giochi: i 100 metri. Nemmeno il tempo di fermarsi e realizzare la portata dell'impresa appena compiuta, che ad aspettare l'uomo più veloce del mondo in fondo al rettilineo della pista dello stadio Olimpico di Tokyo c'era proprio il suo capitano, quel Gimbo che aveva appena toccato il cielo con un dito a quota 2 metri e 37 centimetri. I due si abbracciano e danno vita a quella che è e rimarrà l'immagine emblema della spedizione azzurra in Giappone.
Fino a quel momento gli azzurri si erano ben comportati con 24 delle 40 medaglie finali, di cui però soltanto due d'oro: quella del millennial Vito Dell'Aquila nel taekwondo e della coppia Valentina Rodini e Federica Cesarini nel canottaggio nella specialità doppio pesi leggeri. 8 argenti e 14 bronzi avevano fatto storcere il naso a molti, con qualcuno che aveva addirittura azzardato parlare di «spedizione fallimentare». Poi la svolta. Quel doppio oro che in meno di un quarto d'ora ha spostato tutto, comprese le motivazioni e la carica degli atleti che avrebbero dovuto gareggiare nei giorni successivi. Non solo sono arrivati altri 16 podi che hanno contribuito a polverizzare il record di 36 medaglie conquistate a Roma nel 1960 e a Los Angeles nel 1932, ma è stato arricchito il medagliere con altri sei ori: a partire dalla sensazionale staffetta della 4x100 con ancora Jacobs insieme a Filippo Tortu, autore di un'ultima frazione mostruosa, Lorenzo Patta ed Eseosa Desalu, passando per le marce trionfali nei 20 chilometri di Antonella Palmisano e Massimo Stano, al capolavoro firmato da Filippo Ganna, Simone Consonni, Jonathan Milan e Francesco Lamon nel ciclismo su pista specialità inseguimento a squadre, alla vittorie di Caterina Banti e Ruggero Tita nella vela categoria Nacra 17 e allo storico oro di Luigi Busà nel karate-kumite 75 chilogrammi. Particolarmente entusiasmanti sono state le imprese di Gregorio Paltrinieri: il nuotatore di Carpi, dopo aver vinto un argento in vasca negli 800 metri stile libero, si è letteralmente superato salendo sul terzo gradino del podio della gara dei 10 chilometri di fondo.Tutto questo dopo aver avuto la mononucleosi a fine giugno che ne aveva messo in dubbio addirittura la partecipazione ai Giochi. SuperGreg non solo a Tokyo ci è andato, ma è stato anche protagonista. E chissà cosa sarebbe stato quel quarto posto nei 1500 in condizioni migliori. Restando sul nuoto, il bilancio azzurro è tutto sommato positivo con 2 argenti e 5 bronzi. Oltre le due medaglie di Paltrinieri, sono arrivati l'argento della staffetta 4x100 stile libero con Alessandro Miressi, Thomas Ceccon, Lorenzo Zazzeri e Manuel Frigo, il bronzo di Federico Burdisso nei 200 farfalla e quello di Nicolò Martinenghi nei 100 rana, il bronzo di Simona Quadarella negli 800 stile libero, il bronzo nella 4x100 mista uomini con Burdisso, Ceccon, Martinenghi e Miressi. Rimanendo in acqua, ma spostandoci dalla piscina, anche canoa e canottaggio sono state terra di conquista per i colori azzurri. Detto dell'oro targato Rodini-Cesarini, nella 4 senza di canottaggio Matteo Castaldo, Marco Di Costanzo, Matteo Lodo e Giuseppe Vicino hanno conquistato un incredibile bronzo, con Vicino che a pochi minuti dall'inizio della gara ha dovuto sostituire Bruno Rosetti, il cui tampone al covid è risultato positivo. Manfredi Rizza ha riportato dopo tanti anni l'Italia sul podio della gara per eccellenza della canoa, la K1 200 metri con una medaglia d'argento.
Anche il ciclismo ha fatto la sua parte. Il trionfo di Ganna e compagni, con il finale di gara al fotofinish e il sorpasso sulla squadra danese negli ultimi 125 metri della pista dell'Izu Velodrome, si somma al bronzo di Elisa Longo Borghini nella prova in linea e a quello in rimonta di Elia Viviani nell'omnium. Ottimo in termini di medaglie il contributo dagli sport delle arti marziali: oltre all'oro di Dell'Aquila, abbiamo portato a casa due bronzi nel judo con Odette Giuffrida nei 52 kg e Maria Centracchio nei 62 kg, Nel karate, lo splendido oro di Busà era stato preceduto dal bronzo di Viviana Bottaro nella specialità kata. Nella lotta la delusione del campione olimpico di Rio 2016 Frank Chamizo, eliminato in semifinale e sconfitto nella finale per il terzo posto, è stata parzialmente colmata dal bronzo di Abraham Conyedo Ruano nella categoria 97 kg. Tre medaglie sono arrivate dal sollevamento pesi: Mirko Zanni nei 67 kg, Giorgia Bordignon nei 64 kg e Antonino Pizzolato negli 81 kg, tutti e tre di bronzo. Bronzo come la storica medaglia conquistata da Irma Testa nel pugilato 57 kg, prima donna italiana a salire su un podio olimpico nella boxe.
Immensa Vanessa Ferrari che a 30 anni, dopo tanti infortuni e un quarto posto beffa a Rio, è andata a prendersi un argento nel corpo libero. Le farfalle della ginnastica ritmica hanno vinto il bronzo nella prova a squadre. Bene anche il tiro a volo con l'argento di Diana Bacosi nello skeet e il tiro con l'arco, con l'argento di Mauro Nespoli e il bronzo di Lucilla Boari.
Delusione, invece, per quanto riguarda gli sport di squadra, dove se la nazionale di basket è uscita a testa altissima ai quarti di finale contro la Francia, poi finalista e argento contro il Dream team Usa, era lecito aspettarsi qualcosa di più dal volley maschile e femminile e dal Settebello della pallanuoto. Il vero flop, però è da individuare nella scherma, tradizionalmente vera fucina di medaglie alle Olimpiadi. A Tokyo sono arrivati «soltanto» tre argenti, Luigi Samele nella sciabola, Daniele Garozzo nel fioretto e Berrè, Curatoli, Samele e Aldo Montano nella sciabola a squadre; e due bronzi, Fiamingo, Isola, Navarria e Santuccio nella spada a squadre e Batini, Cipressa, Errigo e Volpi nel fioretto a squadre. Troppo poco per una nazionale che nell'ultimo mezzo secolo ci aveva abituato a ben altri numeri.
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Si è conclusa ieri la XXXII edizione dei Giochi. Per i nostri colori un successo senza precedenti: 16 podi in 16 giorni e 40 medaglie in 19 discipline diverse, con l'atletica sugli scudi con ben 5 ori. Le imprese di Gianmarco Tamberi e Marcell Jacobs hanno rotto gli argini dell'impossibile. Vanessa Ferrari infinita, Filippo Ganna leader, Gregorio Paltrinieri leggendario, Irma Testa storica, farfalle impeccabili. Flop invece nella scherma e negli sport di squadra.I 13 minuti che cambiarono per sempre la storia e la percezione dello sport italiano alle Olimpiadi. È l'intervallo trascorso tra le 14:40 di domenica 1° agosto, quando Gianmarco Tamberi e Mutaz Essa Barshim decisero di spartirsi la medaglia d'oro nel salto in alto, e le 14:53, momento in cui Lamont Marcell Jacobs tagliò per primo il traguardo di quella che è la gara per eccellenza dei Giochi: i 100 metri. Nemmeno il tempo di fermarsi e realizzare la portata dell'impresa appena compiuta, che ad aspettare l'uomo più veloce del mondo in fondo al rettilineo della pista dello stadio Olimpico di Tokyo c'era proprio il suo capitano, quel Gimbo che aveva appena toccato il cielo con un dito a quota 2 metri e 37 centimetri. I due si abbracciano e danno vita a quella che è e rimarrà l'immagine emblema della spedizione azzurra in Giappone.Fino a quel momento gli azzurri si erano ben comportati con 24 delle 40 medaglie finali, di cui però soltanto due d'oro: quella del millennial Vito Dell'Aquila nel taekwondo e della coppia Valentina Rodini e Federica Cesarini nel canottaggio nella specialità doppio pesi leggeri. 8 argenti e 14 bronzi avevano fatto storcere il naso a molti, con qualcuno che aveva addirittura azzardato parlare di «spedizione fallimentare». Poi la svolta. Quel doppio oro che in meno di un quarto d'ora ha spostato tutto, comprese le motivazioni e la carica degli atleti che avrebbero dovuto gareggiare nei giorni successivi. Non solo sono arrivati altri 16 podi che hanno contribuito a polverizzare il record di 36 medaglie conquistate a Roma nel 1960 e a Los Angeles nel 1932, ma è stato arricchito il medagliere con altri sei ori: a partire dalla sensazionale staffetta della 4x100 con ancora Jacobs insieme a Filippo Tortu, autore di un'ultima frazione mostruosa, Lorenzo Patta ed Eseosa Desalu, passando per le marce trionfali nei 20 chilometri di Antonella Palmisano e Massimo Stano, al capolavoro firmato da Filippo Ganna, Simone Consonni, Jonathan Milan e Francesco Lamon nel ciclismo su pista specialità inseguimento a squadre, alla vittorie di Caterina Banti e Ruggero Tita nella vela categoria Nacra 17 e allo storico oro di Luigi Busà nel karate-kumite 75 chilogrammi. Particolarmente entusiasmanti sono state le imprese di Gregorio Paltrinieri: il nuotatore di Carpi, dopo aver vinto un argento in vasca negli 800 metri stile libero, si è letteralmente superato salendo sul terzo gradino del podio della gara dei 10 chilometri di fondo.Tutto questo dopo aver avuto la mononucleosi a fine giugno che ne aveva messo in dubbio addirittura la partecipazione ai Giochi. SuperGreg non solo a Tokyo ci è andato, ma è stato anche protagonista. E chissà cosa sarebbe stato quel quarto posto nei 1500 in condizioni migliori. Restando sul nuoto, il bilancio azzurro è tutto sommato positivo con 2 argenti e 5 bronzi. Oltre le due medaglie di Paltrinieri, sono arrivati l'argento della staffetta 4x100 stile libero con Alessandro Miressi, Thomas Ceccon, Lorenzo Zazzeri e Manuel Frigo, il bronzo di Federico Burdisso nei 200 farfalla e quello di Nicolò Martinenghi nei 100 rana, il bronzo di Simona Quadarella negli 800 stile libero, il bronzo nella 4x100 mista uomini con Burdisso, Ceccon, Martinenghi e Miressi. Rimanendo in acqua, ma spostandoci dalla piscina, anche canoa e canottaggio sono state terra di conquista per i colori azzurri. Detto dell'oro targato Rodini-Cesarini, nella 4 senza di canottaggio Matteo Castaldo, Marco Di Costanzo, Matteo Lodo e Giuseppe Vicino hanno conquistato un incredibile bronzo, con Vicino che a pochi minuti dall'inizio della gara ha dovuto sostituire Bruno Rosetti, il cui tampone al covid è risultato positivo. Manfredi Rizza ha riportato dopo tanti anni l'Italia sul podio della gara per eccellenza della canoa, la K1 200 metri con una medaglia d'argento.Anche il ciclismo ha fatto la sua parte. Il trionfo di Ganna e compagni, con il finale di gara al fotofinish e il sorpasso sulla squadra danese negli ultimi 125 metri della pista dell'Izu Velodrome, si somma al bronzo di Elisa Longo Borghini nella prova in linea e a quello in rimonta di Elia Viviani nell'omnium. Ottimo in termini di medaglie il contributo dagli sport delle arti marziali: oltre all'oro di Dell'Aquila, abbiamo portato a casa due bronzi nel judo con Odette Giuffrida nei 52 kg e Maria Centracchio nei 62 kg, Nel karate, lo splendido oro di Busà era stato preceduto dal bronzo di Viviana Bottaro nella specialità kata. Nella lotta la delusione del campione olimpico di Rio 2016 Frank Chamizo, eliminato in semifinale e sconfitto nella finale per il terzo posto, è stata parzialmente colmata dal bronzo di Abraham Conyedo Ruano nella categoria 97 kg. Tre medaglie sono arrivate dal sollevamento pesi: Mirko Zanni nei 67 kg, Giorgia Bordignon nei 64 kg e Antonino Pizzolato negli 81 kg, tutti e tre di bronzo. Bronzo come la storica medaglia conquistata da Irma Testa nel pugilato 57 kg, prima donna italiana a salire su un podio olimpico nella boxe.Immensa Vanessa Ferrari che a 30 anni, dopo tanti infortuni e un quarto posto beffa a Rio, è andata a prendersi un argento nel corpo libero. Le farfalle della ginnastica ritmica hanno vinto il bronzo nella prova a squadre. Bene anche il tiro a volo con l'argento di Diana Bacosi nello skeet e il tiro con l'arco, con l'argento di Mauro Nespoli e il bronzo di Lucilla Boari.Delusione, invece, per quanto riguarda gli sport di squadra, dove se la nazionale di basket è uscita a testa altissima ai quarti di finale contro la Francia, poi finalista e argento contro il Dream team Usa, era lecito aspettarsi qualcosa di più dal volley maschile e femminile e dal Settebello della pallanuoto. Il vero flop, però è da individuare nella scherma, tradizionalmente vera fucina di medaglie alle Olimpiadi. A Tokyo sono arrivati «soltanto» tre argenti, Luigi Samele nella sciabola, Daniele Garozzo nel fioretto e Berrè, Curatoli, Samele e Aldo Montano nella sciabola a squadre; e due bronzi, Fiamingo, Isola, Navarria e Santuccio nella spada a squadre e Batini, Cipressa, Errigo e Volpi nel fioretto a squadre. Troppo poco per una nazionale che nell'ultimo mezzo secolo ci aveva abituato a ben altri numeri.
Il ministro degli Esteri del Regno di Giordania Ayman Safadi
Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi spiega la partecipazione di Amman all’operazione Usa in Siria contro l’Isis, il ruolo della comunità drusa nella stabilità interna e l’impegno della Giordania per la pace e la sicurezza nella Striscia di Gaza. «Questi terroristi vogliono ricostituire lo Stato Islamico», avverte.
Nell’attacco alle posizioni dello Stato Islamico in Siria Washington ha colpito 70 obiettivi, neutralizzando la cellula che agiva nella provincia orientale siriana di Deir Ezzor. Questi miliziani dell’Isis erano i responsabili dell’attacco di Palmira dove avevano perso la vita tre americani, due militari e un interprete civile ed erano noti per le continue offensive con droni in questa area. L’operazione, denominata Occhio di falco, si è estesa a diverse località della Siria centrale utilizzando caccia, elicotteri d'attacco e artiglieria e agendo insieme all’aviazione della Giordania. Amman ha confermato la sua partecipazione a questa azione militare ribadendo la propria volontà di sradicare lo Stato Islamico dal Medio Oriente. Ayman Safadi è vice primo ministro e ministro degli Esteri del Regno di Giordania da quasi 9 anni ed è un diplomatico di grande esperienza.
Ministro Safadi, la partecipazione delle vostre forze aeree all’operazione degli Usa dimostra il vostro interesse ad essere protagonisti in Medio Oriente.
«Abbiamo deciso di affiancare gli statunitensi del Centcom perché riteniamo l’Isis un pericolo per tutta la nostra area e soprattutto per la Giordania. Questi terroristi hanno già cercato di infiltrare la nostra nazione, ma la loro propaganda non ha mai attecchito. La Giordania è uno dei 90 paesi che compongono la coalizione globale contro l'Isis, a cui la Siria ha recentemente aderito e questa operazione è l’attuazione pratica dei nostri principi. La nostra aviazione ha agito per impedire ai gruppi estremisti come questo di sfruttare questa regione come una rampa di lancio allo scopo di minacciare la sicurezza dei paesi vicini alla Siria e del Medio Oriente in generale, soprattutto dopo che l'Isis si è riorganizzato e ha ricostruito le sue capacità nella Siria meridionale. In troppi hanno sottovalutato la rinascita di questo network del terrorismo che è proliferato in Africa, dove gestisce traffici di armi, droga e migranti. Con i guadagni di queste attività criminali vogliono ricostituire lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, quella creatura nefasta che aveva conquistato il nord dell’Iraq e tutta la Siria orientale».
Il Medio Oriente è una regione complessa per le diversità culturali e religiose. In Giordania la convivenza sembra funzionare: come vive la sua comunità drusa questo equilibrio?
«Noi drusi siamo un gruppo etno-religioso con una lunga storia e abbiamo sempre lottato per le nazioni dove viviamo. In Giordania la comunità è piccola, ma siamo fieri di essere giordani. In Siria la situazione è complicata per i drusi che sono stati attaccati dai beduini e probabilmente anche da elementi dello Stato Islamico, il nuovo governo di Damasco deve fare di più per difendere le minoranze. Il presidente siriano Ahmed al Shara ha pubblicamente dichiarato di combattere lo Stato Islamico, ma ci sono intere province del sud e dell’est che sono fuori controllo e ci sono ancora troppe armi in Siria».
Il governo israeliano ha dichiarato di non fidarsi del nuovo regime di Damasco, qual è la posizione di Amman?
«Il presidente statunitense Donald Trump ha voluto togliere tutte le sanzioni alla Siria, aprendo un grande credito al nuovo corso. Adesso al Shara deve dimostrare di meritare questa fiducia e lo deve fare pacificando la sua nazione, la Siria è un paese con tante anime: sunniti, sciiti, cristiani e drusi. Washington sta dedicando una grande attenzione al Medio Oriente e questo è positivo. Soltanto il presidente Trump può ottenere una pace duratura e un futuro per la Striscia, la Giordania segue con estrema attenzione ciò che accade a Gaza perché circa il 50% della nostra popolazione è di origine palestinese. Noi siamo totalmente contrari a una divisione della Striscia, il territorio dei palestinese non deve essere toccato ed i confini devono restare gli stessi. La cosa più importante è garantire la sicurezza di tutti, dei palestinesi, degli israeliani ed anche delle nazioni vicine. La Giordania ha sempre represso la presenza di Hamas sul suo territorio, chiudendone gli uffici ed esiliandone i funzionari nel 1999. Negli ultimi anni abbiamo aumentato la sicurezza alle frontiere per ostacolare il contrabbando di armi, collegato ad Hamas che nel passato ha tentato di destabilizzare la Giordania».
Quale futuro per la Striscia di Gaza?
«Dobbiamo difendere la pace e ricostruire un posto dove gli abitanti di Gaza possano vivere. Il nostro sovrano ed il nostro governo hanno più volte dichiarato di essere favorevoli ad un maggior impegno degli europei nella Striscia. La Giordania ha relazioni eccellenti con l’Italia. Sua Maestà il Re Abdullah II di Giordania a marzo ha incontrato Giorgia Meloni e ha espresso apprezzamento per la solida cooperazione tra le due nazioni nell’assistenza umanitaria a Gaza. Il presidente del Consiglio italiano ha voluto sottolineare ancora una volta il ruolo svolto dalla Giordania, come una forza di pace e di dialogo determinante per il futuro di tutta l’area».
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Nuove accuse tra Cambogia e Thailandia lungo il confine conteso. Phnom Penh denuncia bombardamenti con caccia F-16, Bangkok parla di attacchi notturni cambogiani. Oltre mezzo milione di sfollati mentre proseguono i negoziati.
La crisi tra Cambogia e Thailandia torna ad aggravarsi lungo il confine conteso. Phnom Penh accusa Bangkok di aver intensificato i bombardamenti con caccia F-16, mentre le autorità thailandesi parlano di attacchi cambogiani durante la notte. Le accuse incrociate arrivano mentre sono in corso negoziati per un cessate il fuoco e il numero degli sfollati supera il mezzo milione.
Secondo il ministero della Difesa cambogiano, l’aeronautica thailandese avrebbe impiegato caccia F-16, sganciando almeno quaranta bombe nell’area del villaggio di Chok Chey. L’episodio viene descritto come un’ulteriore escalation militare in una zona già colpita da ripetuti raid. La versione di Bangkok è opposta. I media thailandesi riferiscono che, durante la notte, le forze cambogiane avrebbero condotto attacchi massicci lungo il confine nella provincia sud-orientale di Sa Kaeo, provocando danni a diverse abitazioni civili.
Nel frattempo, le due parti hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui, iniziato mercoledì e destinato a durare quattro giorni, con l’obiettivo dichiarato di porre fine ai combattimenti. L’incontro si svolge in territorio thailandese, presso un valico di frontiera nella provincia di Chanthaburi, secondo quanto riferito da funzionari di Phnom Penh. Sul piano diplomatico si registra anche un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Il primo ministro cambogiano Hun Manet ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano Marco Rubio, durante il quale si è discusso di «come garantire un cessate il fuoco lungo il confine tra Cambogia e Thailandia».
Alla base delle tensioni c’è una disputa storica sulla delimitazione di circa 800 chilometri di confine, che affonda le radici nell’epoca coloniale. Il confronto armato si è riacceso con forza nel corso dell’anno. A luglio, cinque giorni di scontri avevano provocato circa 40 morti e costretto 300.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni, prima di una tregua che successivamente è fallita.
L’impatto umanitario resta pesante. Secondo le autorità cambogiane, oltre mezzo milione di persone è stato costretto a lasciare case e scuole nelle ultime due settimane di combattimenti. In una nota, il ministero dell’Interno di Phnom Penh ha parlato di 518.611 sfollati, denunciando che «oltre mezzo milione di cambogiani, tra cui donne e bambini, stanno soffrendo gravi difficoltà a causa dello sfollamento forzato dalle loro case e scuole per sfuggire al fuoco di artiglieria, ai razzi e agli attacchi aerei dei caccia F-16 thailandesi». In precedenza, Bangkok aveva indicato in circa 400.000 il numero degli sfollati sul proprio territorio. Il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri, ha affermato che il numero di persone accolte nei rifugi è in diminuzione, pur restando superiore alle 200.000 unità. Kongsiri ha inoltre invitato gli abitanti dei villaggi a rientrare con cautela, avvertendo che «potrebbero esserci ancora mine o bombe pericolose». Dal punto di vista militare, Phnom Penh ha sottolineato come le forze thailandesi abbiano continuato le operazioni dall’alba del 21 dicembre, segnalando combattimenti anche nei pressi del tempio khmer di Preah Vihear, risalente a 900 anni fa. La Cambogia ha inoltre ricordato il divario di risorse tra i due eserciti, a vantaggio di Bangkok. Secondo i dati ufficiali, il bilancio complessivo degli scontri è salito ad almeno 41 morti, di cui 22 thailandesi e 19 cambogiani. Le ostilità più recenti sono riprese il 12 dicembre, mentre una precedente ondata di violenze, a luglio, aveva causato 43 vittime in pochi giorni.
La crisi è ora all’attenzione dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. I ministri degli Esteri dell’Asean, compresi quelli di Thailandia e Cambogia, si riuniscono il 22 dicembre a Kuala Lumpur per discutere del conflitto. Entrambi i governi hanno espresso l’auspicio che l’incontro contribuisca a ridurre le tensioni. La portavoce del ministero degli Esteri thailandese, Maratee Nalita Andamo, ha definito il vertice «un’importante opportunità per entrambe le parti». Bangkok ha tuttavia ribadito alcune condizioni preliminari, chiedendo a Phnom Penh di annunciare per prima un cessate il fuoco e di cooperare nelle operazioni di sminamento lungo il confine. In un comunicato, il governo thailandese ha precisato che un accordo potrà essere raggiunto «solo se basato principalmente su una valutazione della situazione sul campo da parte dell’esercito thailandese».
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L’obiettivo è evitare la delocalizzazione della produzione e contrastare l’effetto dei costi energetici elevati sulla competitività europea. La misura riguarda principalmente i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automotive, fortemente influenzati dalle bollette elettriche, che in Germania risultano quasi tre volte superiori rispetto agli Stati Uniti. Le autorità tedesche hanno già avviato le trattative con la Commissione Europea per ottenere la compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato. Per la Slovacchia, strettamente integrata nelle filiere tedesche, la mossa può rappresentare una sfida competitiva: se le imprese tedesche recuperano tranquillità sui costi dell’energia, le aziende slovacche del comparto manifatturiero esportatrici potrebbero trovarsi a dover far fronte a maggiori pressioni sui costi. Lo stesso potrebbe accadere in Italia.
Prima della Germania il Regno Unito, dove un “price cap” è stato stabilito nel 2019 dall’allora governo May. Dal gennaio 2019 l’Ofgem (l’equivalente della nostra Arera) applica un tetto alla spesa massima dei consumatori di trimestre in trimestre. Ma attenzione: non a tutti i clienti, bensì solo ai sottoscrittori delle “standard variable tariffs”, cioè delle tariffe a prezzo variabile molto basilari, dedicate ai clienti meno abituati a cercare tariffe sul mercato libero, e per questo da anni con lo stesso operatore che a volte approfitta di questo immobilismo applicando prezzi piuttosto elevati.
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