2020-11-06
Gli Usa appesi a migliaia di voti: sarà guerra
Donald Trump (Chip Somodevilla/Getty Images)
Joe Biden ha molti più elettori, ma gli Stati decisivi sono separati da pochissimi consensi. Le preferenze via posta lasciano grossi dubbi di sicurezza. In Georgia, Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, Nevada e Arizona la disputa rischia di finire in tribunale. I giudici accontentano il presidente: i repubblicani potranno assistere allo spoglio. Il tweet: «Grande vittoria».Lo speciale contiene due articoli.Gli Stati Uniti non ancora un vincitore delle ultime elezioni presidenziali. Nel momento in cui La Verità è andata in stampa ieri sera, né Donald Trump né Joe Biden avevano ancora conseguito il fatidico quorum dei 270 grandi elettori necessari per conquistare la Casa Bianca. Cnn ne attribuiva infatti al presidente 213, mentre 253 erano quelli attribuiti al candidato democratico. La situazione continua del resto a rimanere in bilico in quattro Stati. Trump spera ancora in un colpaccio in Nevada (dove era indietro di un punto), in Arizona (dove era indietro di 1,5 punti) e in Pennsylvania (dove al momento manteneva un vantaggio di circa 2 punti). Brutte notizie per lui rischiano invece di arrivare dalla Georgia: Stato in cui Biden sta guadagnando terreno grazie al voto postale e che vede ormai l'ex vicepresidente a solo uno 0,3% dall'inquilino della Casa Bianca (anche se va rilevato come in loco lo spoglio sarebbe ormai quasi completato). Per vincere, il presidente ha quindi bisogno di Georgia e Pennsylvania, da associare a loro volta o al Nevada o all'Arizona. Una via non impossibile, certo. Ma neppure troppo semplice. Anche perché proprio in Arizona si registra una situazione confusissima. Nella serata italiana di ieri, Associated Press manteneva l'assegnazione dello Stato a Biden, mentre Cnn continuava a considerarlo in bilico. Tutto questo, mentre il segretario di Stato della Pennsylvania, Kathy Boockvar, ha dichiarato sempre ieri che i risultati definitivi in loco «potrebbero» arrivare nell'alba italiana di oggi. La situazione è talmente ingarbugliata che potrebbe addirittura delinearsi un clamoroso 269 pari: ipotesi che si verificherebbe se il candidato democratico si aggiudicasse la Georgia e a Trump (calcolando un grande elettore del Maine) andassero invece Nevada, Pennsylvania e Arizona. Si tratta di uno scenario scarsamente probabile, ma comunque non impossibile: uno scenario che – in caso di conferma in sede di elezione di secondo grado – porterebbe la Camera dei Rappresentanti a doversi pronunciare in gennaio: non per singolo deputato, ma per singola delegazione statale. Come che sia, il comitato elettorale di Biden prosegue intanto a ostentare ottimismo. Il candidato democratico ha tenuto mercoledì una conferenza stampa in cui, pur non dichiarando formalmente vittoria, si è comunque espresso con toni da presidente, parlando – non senza una certa retorica – di unità del popolo americano e benedicendo le truppe. Un discorso un po' strano, che aggiunge confusione a una situazione già incerta. Un discorso pronunciato, come abbiamo visto, senza ancora detenere la fatidica soglia dei 270 grandi elettori. Eppure quello stesso galateo istituzionale che era stato invocato martedì per condannare le affermazioni con cui Trump si era autoproclamato vincitore, non è stato tirato in ballo per il candidato democratico. Del resto, questa campagna elettorale ci ha abituati a un «vago» doppiopesismo. Nel frattempo i due comitati elettorali hanno espresso sicurezza di vincere. Il consigliere di Trump, Jason Miller, ha dichiarato ieri: «Presto, forse entro la fine di domani (oggi, per chi legge, ndr), venerdì, sarà chiaro al popolo americano che il presidente Trump e il vicepresidente Pence serviranno altri quattro anni alla Casa Bianca». Tutto questo, mentre – sempre ieri – la manager della campagna di Biden, Jen O'Malley Dillon, ha detto di «essere assolutamente fiduciosa che Joe Biden sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti». Su un punto entrambe le campagne sembrano concordare: oggi potrebbe essere il giorno decisivo per conoscere formalmente il nome del vincitore delle elezioni presidenziali. Una notizia che, se anche arrivasse, non scongiurerebbe comunque il clima di forte incertezza che è venuto creandosi negli ultimi giorni. Anche perché Trump ha già avviato una serie di serrate battaglie legali in vari Stati, tra cui Michigan, Pennsylvania, Nevada e Georgia. Certo: la matematica dei grandi elettori appare fortemente avversa al presidente. Non è dunque chiaro se l'ostentato ottimismo del suo comitato sia un bluff o se – al contrario – la Casa Bianca disponga di informazioni in controtendenza. Si delineano intanto maggiormente i destini del Congresso. La Camera dei Rappresentanti dovrebbe restare ai democratici che hanno ciononostante perso svariati seggi. Il Senato si avvia invece a rimanere repubblicano. In particolare, The Hill riportava ieri a tal proposito scoramento e disappunto da parte dell'asinello, che sperava evidentemente di riprendere il controllo integrale del Campidoglio: un altro effetto di quella mancata «onda blu» che molti analisti avevano erroneamente preconizzato. In attesa di capire come andrà a finire questa intricata vicenda, resta comunque un mistero sul tavolo. Ma che fine hanno fatto le interferenze russe? I democratici hanno sempre sostenuto che la vittoria di Trump nel 2016 fosse il frutto di un complotto ordito dal Cremlino. Di minacce russe sul voto americano del 2020 hanno tra l'altro parlato negli scorsi mesi la Speaker della Camera, l'appena rieletta Nancy Pelosi, e la candidata alla vicepresidenza, Kamala Harris. Eppure adesso che Biden sembra in dirittura d'arrivo per la Casa Bianca il problema pare non porsi più. Che cosa dobbiamo pensare? Che, se risulterà eletto presidente il candidato democratico, Vladimir Putin abbia cambiato affiliazione partitica? Oppure che forse il Russiagate sia stato un disegno progettato ad arte per mettere con ogni mezzo i bastoni tra le ruote a un avversario politico? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/oggi-e-la-giornata-decisiva-biden-canta-gia-vittoria-ma-e-sfida-allultimo-voto-2648637628.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="trump-non-molla-sui-presunti-brogli-battaglia-legale-in-sei-stati-chiave" data-post-id="2648637628" data-published-at="1604607161" data-use-pagination="False"> Trump non molla sui presunti brogli. Battaglia legale in sei Stati chiave Si preannuncia una stagione di battaglie legali negli Stati Uniti, con Donald Trump che sta denunciando da giorni la presenza di brogli in alcuni Stati chiave. «Tutti i recenti Stati dichiarati da Biden saranno legalmente contestati da noi per frode elettorale e frode elettorale statale», ha scritto ieri un post segnalato da Twitter. In Georgia, il comitato elettorale del presidente e il Partito repubblicano hanno intentato una causa, dichiarando che i funzionari democratici della contea di Chatham starebbero conteggiando schede ricevute dopo la chiusura delle urne: un ricorso che è stato tuttavia respinto ieri da un giudice. In tutto questo, lo spoglio nel cosiddetto Peach State – in cui Trump risultava almeno fino a ieri in lieve vantaggio – sta andando particolarmente a rilento: se la spiegazione ufficiale parla di problemi nelle macchine per il conteggio dei voti, sui social circolano sospetti di irregolarità. Il comitato del presidente ha tra l'altro avanzato una richiesta di riconteggio in Wisconsin: area che Joe Biden è riuscito ad espugnare d'un soffio grazie al voto per posta. Battaglie legali si preparano poi in Michigan, dove il presidente ha presentato mercoledì un ricorso, chiedendo il temporaneo stop al conteggio dei voti «fin quando non sarà garantito un significativo accesso» per monitorare le operazioni di spoglio: ricorso, anche in questo caso, respinto ieri da un giudice. Del resto, stanno circolando non poche accuse da parte del mondo conservatore sullo spoglio in questo Stato. In particolare, il sito The Federalist ha parlato di sospetti pacchetti di voti attribuiti interamente a Biden. Nella notte americana di martedì, circa 138.000 voti sarebbero stati conferiti in blocco al candidato dem a fronte di zero voti conferiti a Trump. La cosa ha suscitato un certo scalpore sui social, mentre l'istituto che riportava i conteggi – Decision Desk – ha replicato sostenendo che si sia trattato di un «errore». Polemiche, sempre in Michigan, si sono verificate nella contea di Antrim: qui, nel 2016, Trump aveva battuto Hillary Clinton con uno scarto di circa 4.000 voti, mentre adesso è Biden a risultare avanti con poco più di 3.000 voti. Questa stranezza ha portato i funzionari locali ad avviare una revisione, che risulterebbe ancora in corso. Trump ha nel frattempo intentato un ricorso ieri anche a Las Vegas, sostenendo di avere le prove del fatto che avrebbero votato alle ultime presidenziali cittadini deceduti e non residenti. Il comitato del presidente ha a questo proposito parlato di migliaia di «voti illegali». Tuttavia, il contenzioso principale avrà probabilmente luogo in Pennsylvania: Stato chiave, in cui Trump – almeno fino al pomeriggio italiano di ieri – risultava ancora lievemente in testa. Qui la situazione è molto spinosa. Di recente, la Corte suprema dello Stato (che è a maggioranza nettamente democratica) aveva reso possibile ricevere i voti delle schede per corrispondenza fino a alla giornata di oggi: tre giorni dopo, cioè, il termine dell'Election day. Sollecitata dai repubblicani, la Corte suprema degli Stati Uniti non ha bloccato questa regola, a causa di una spaccatura interna con quattro togati contro quattro: una situazione di parità dovuta al fatto che la nuova giudice, Amy Coney Barrett, non aveva preso parte al pronunciamento. Ciononostante, alcuni componenti della Corte – come Samuel Alito – si erano detti possibilisti sull'eventualità di riesaminare la questione dopo le presidenziali. E i legali di Trump si sono già mossi in questa direzione nelle scorse ore. Il presidente spera evidentemente che l'arrivo della Barrett possa cambiare gli equilibri della Corte sulla questione, visto che – nella sentenza di ottobre – il giudice capo, John Roberts, si era schierato con i tre colleghi di area liberal, bocciando così di fatto il ricorso intentato dai repubblicani. Va da sé che, se la Corte Suprema si esprimesse in modo favorevole a Trump, questo potrebbe consentire al presidente di blindare la Pennsylvania, visto il suo chiaro vantaggio nel voto espresso di persona. Ancora a ieri pomeriggio italiano, l'inquilino della Casa Bianca sopravanzava Biden di circa centomila voti nello Stato. Frattanto ieri una corte d'appello della Pennsylvania ha consentito al comitato elettorale di Trump la possibilità di monitorare le operazioni di spoglio: un elemento che, nelle ore precedenti, era stato invocato a gran voce dall'avvocato del presidente, Rudolph Giuliani. Lo stesso Trump ha festeggiato la notizia, definendola su Twitter una «grande vittoria legale». Ulteriori polemiche si stanno registrando in Arizona, per quello che è già stato battezzato più o meno ironicamente lo Sharpiegate. Molti elettori di Trump della contea di Maricopa temono che il loro voto possa non essere stato conteggiato, perché segnato con il pennarello (sharpie, in lingua inglese). I funzionari dello Stato hanno respinto queste accuse. Il procuratore generale dell'Arizona ha comunque aperto un'inchiesta. Il Dipartimento di giustizia ha nel frattempo affermato che agenti federali armati possano monitorare le operazioni di spoglio, per evitare eventuali frodi: una posizione che ha suscitato delle polemiche.
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