2019-08-20
Oggi Conte porta in Senato lo spartito dell’inciucio. Mattarella vorrà suonarlo?
Alle 15 il premier romperà con i leghisti, accusando il suo vice di assenteismo. Possibile voto sulle risoluzioni: lì si vedranno i nuovi assetti. Poi salita al Quirinale e via alle danzeA rischio di sgualcire e spiegazzare l’amata pochette, oggi alle 15 Giuseppe Conte potrebbe agitarsi molto in Senato. Intorno alle attese «comunicazioni» del presidente del Consiglio, ruotano infatti una certezza, una speranza e quattro incognite. La certezza è che l’avvocato del popolo, ora avvocato di se stesso, attaccherà Matteo Salvini pesantemente. Le indiscrezioni parlano di passaggi ruvidi, per non dire violenti: dalle presunte assenze di Salvini al Viminale agli appuntamenti mancati in sede europea. Un repertorio, se davvero Conte vi farà ricorso, tanto prevedibile e greve quanto spuntato: tutti sanno che Salvini è non solo ministro ma leader politico, e pretendere di vederlo timbrare il cartellino in ufficio a orario fisso suona tragicomico anche alle orecchie di chi segue solo superficialmente la politica. La speranza di tutti gli osservatori di buon senso è che Conte ricordi che alle 15 le Borse saranno ancora aperte. Dunque sarebbe il caso, qualunque sia la sua scelta politica, di non dare il senso di uno sfascio istituzionale, ma di un percorso civile e ordinato, come una crisi politica può essere. Sarebbe curioso che, dopo tante ipocrisie sullo spread, fosse proprio il premier ad agire da piromane a mercati aperti. Veniamo alle incognite. La prima è quella politicamente decisiva. Che farà Conte un minuto dopo il suo speech e il relativo dibattito? Quasi tutti convergono sull’ipotesi della salita al Colle per rimettere il mandato. Sergio Mattarella, a quel punto, potrebbe accettare le dimissioni con riserva, dare avvio a rapide consultazioni, e quindi proporre la sua soluzione. La seconda incognita - altrettanto significativa dal punto di vista politico - ha a che fare con quanto si «agiterà» Conte. Fuori dal politichese: sarebbe anche suo interesse non esagerare, non sconfinare nella piazzata anti Salvini. E non solo per elementare senso della misura (e del ridicolo), ma perché né al Pd né al Quirinale piace l’idea di aver a che fare con un kamikaze politico. Di più: nonostante la smentita di rito diramata ieri, il Pd, nella sua confusione tattica, potrebbe alla fine aver fatto cadere le sue pregiudiziali verso Conte come possibile premier del governo dell’inciucio. Questo è compatibile con un certo livello di polemica contro Salvini (per Conte si tratterebbe perfino di una benemerenza a sinistra), ma non oltre un limite insostenibile. Già Salvini ha chiamato le piazze: se Conte si offrisse come bersaglio della rabbia popolare, non sarebbe un buon inizio, dicono i suoi stessi sostenitori tra Pd e M5s. La terza incognita riguarda i gruppi parlamentari. Che faranno dopo il discorso di Conte? Presenteranno o no delle risoluzioni? Nel caso in cui i grillini lo facessero, si prefiggerebbero due scopi: da un lato, rendere il loro testo invotabile per Salvini (basterà un cambio di linea a 180 gradi, del resto già in atto, sull’immigrazione); dall’altro, prefigurare e facilitare la convergenza con il Pd. La presentazione di un documento con queste caratteristiche farebbe immaginare un’intesa già a buon punto.La quarta e ultima incognita riguarda l’opinione pubblica. Dagli ambienti di Conte, filtra da qualche giorno una sorta di sovreccitazione sulla presunta popolarità del premier, sui like di cui è destinatario su Facebook. La sensazione è che questo training autogeno sia esagerato, e che una parte notevole di opinione pubblica che lo vedeva come un punto di equilibrio e di sutura tra Lega e M5s lo percepisca oggi come un elemento di divisione e destabilizzazione. Ma a Palazzo Chigi la pensano diversamente. Spostiamoci al Quirinale, dove c’è estrema prudenza, in queste ore. I numeri per il maxi inciucio Pd-M5s in teoria ci sarebbero, ma Sergio Mattarella sa bene che l’aritmetica parlamentare non basta. Non è una responsabilità piccola per il Quirinale avallare la coalizione degli sconfitti alle europee (contro il vincitore), negando la via maestra democratica, quella del ritorno alla urne. Più che mai sapendo che il 29 settembre si terranno elezioni in Austria, il 13 ottobre in Polonia, e che molto probabilmente si aggiungerà anche la Spagna: dunque, perché togliere agli italiani il diritto di decidere?Per farlo, mossa di per sé ardita e assai discutibile, Mattarella vuole almeno che i contraenti Pd-M5s si presentino con un’intesa strutturata. Ben lontana dal ballo in maschera di queste ore, tra gli avvertimenti di Renzi (oggi papà dell’operazione, ma un domani pronto ad affossarla, per lanciare il suo partito personale) e il tentativo (sia in casa grillina sia dalle parti del Pd) di dare un travestimento istituzionale ad una brutale operazione politica. In modo felpato, ambienti del Colle fanno intendere che il presidente non si presterebbe a offrire copertura. Sarà così? Lo capiremo entro pochi giorni, certo se la base dell’accordo si allargasse magari a forza Italia, l’imbarazzo quirinalizio sarebbe inferiore. A questo proposito, non solo per rimpolpare i numeri, ma proprio per trasporre in Italia il modello Ursula, e cioè la coalizione europea che ha supportato l’insediamento a Bruxelles della von der Leyen, in diversi palazzi romani cresce il pressing su Forza Italia, affinché si accodi a Pd e grillini. Solo Silvio Berlusconi può stoppare questa convergenza, che, nello sconcerto degli elettori, porterebbe gli azzurri a far compagnia a Fico, Di Maio e Di Battista, a loro volta incredibilmente divenuti pedine italiane dell’asse francotedesco.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)