2018-05-12
L'intesa Pd-Fi sulle commissioni: sembra l'antipasto di un nuovo Nazareno
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Il partito di Silvio Berlusconi ancora non ha dichiarato se si asterrà o voterà contro la fiducia al governo formato da Lega e M5s. Nel caso in cui scegliesse l'opposizione potrà aspirare a poltrone «di garanzia», come la guida dei servizi segreti.I dialoghi sono avviatissimi: gli azzurri verso la Vigilanza Rai, ai dem il Copasir. E più durerà la legislatura, più l'intesa diventerà strutturale... C'è un motivo se Forza Italia non ha ancora dichiarato se si asterrà o voterà contro la fiducia al possibile governo Lega-5 stelle. Dalla decisione del leader Silvio Berlusconi dipende infatti il ruolo degli azzurri all'interno di Montecitorio e di Palazzo Madama. In caso di voto di contrario saranno all'opposizione come il Partito democratico e potranno così aspirare alle cosiddette commissioni di garanzia, dalla Vigilanza Rai al Copasir fino a quella della giunta per le elezioni e delle immunità parlamentari. La questione non è di poco conto. E sta già creando qualche problema tra coloro che stilarono quel patto del Nazareno che ha retto tra il leader del Pd, Matteo Renzi, e il Cavaliere fino alla nomina di Sergio Mattarella come presidente della Repubblica. Per questo motivo c'è già chi parla in queste ore di un Nazareno bis, di minoranza per spartirsi gli incarichi più importanti. Per legge solo la presidenza del Copasir, cioè il comitato che controlla i nostri servizi segreti dal punto di vista parlamentare, spetta all'opposizione. Le altre sono per prassi. Ma chi vuole la poltrona più importante di San Macuto?Da settimane Renzi e il suo Giglio magico hanno messo gli occhi sul comitato per la sicurezza. È un ruolo importante, in passato occupato anche da Massimo D'Alema e Francesco Rutelli. Si mormora che lo voglia Renzi in persona, ma ci sono pure in corsa Maria Elena Boschi e Luca Lotti, la prima ancora sottosegretario alla presidenza del Consiglio e il secondo attuale ministro allo Sport con buone entrate nell'Aisi, il nostro spionaggio interno. Ma se Berlusconi decidesse di votare contro il governo di Matteo Salvini e Luigi Di Maio? A questo punto il Cavaliere potrebbe rivendicare quella poltrona, anche grazie a un peso da novanta sulla gestione dei servizi segreti, ovvero Gianni Letta da sempre attento conoscitore e garante della nostra intelligence. Per questo motivo c'è già chi sta ragionando su una spartizione nello stile del Nazareno, con la Vigilanza Rai agli azzurri, in pole ci sono Paolo Romani e Maurizio Gasparri, mentre al Copasir andrebbe Lorenzo Guerini, già membro nella scorsa legislatura.Sono tutte ipotesi, nulla di deciso. Ma l'ex sindaco di Lodi sarebbe comunque una figura ben più apprezzata nell'ambiente dei servizi, dopo i tentativi andati a vuoto da parte dei renziani di portare Marco Carrai a gestire la cybersecurity di Palazzo Chigi. Ma il discorso del Nazareno rischia di infrangersi con un problema ben più ampio. Che riguarda l'equilibrio di rappresentanza parlamentare nelle commissioni, già, a detta del Pd e di Liberi e uguali, compromesso dopo le nomine dei presidenti di Camera e Senato, ovvero Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati. «Houston, abbiamo un problema» spiega Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera. «C'è un rischio di un vulnus democratico, perché Forza Italia, pur stando all'opposizione, sarebbe alleata di un partito di governo con cui potrebbe scegliere insieme le commissioni».La questione non è di poco conto. La Lega ha avuto nella scorsa legislatura la presidenza del Copasir con Giacomo Stucchi, ma da sempre ha avuto un occhio di riguardo nel mondo dell'intelligence. Non a caso nelle ultime ore circola come nome di un premier terzo quello di Giampiero Massolo, attuale presidente di Fincantieri, diplomatico d'esperienza, che nel 2012 diventò direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza al posto di Gianni De Gennaro, ex capo della Polizia e attuale presidente di Leonardo. In questi anni Massolo avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel limitare le richieste dei renziani all'interno dei servizi. Chissà che questo aspetto non torni utile proprio nei prossimi giorni per trovare un accordo tra Salvini e Di Maio.Alessandro Da Rold<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nuovo-nazareno-per-le-commissioni-2568139895.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="per-le-commissioni-trattative-pd-fi-il-nuovo-nazareno-e-allopposizione" data-post-id="2568139895" data-published-at="1758063530" data-use-pagination="False"> Per le commissioni trattative Pd-Fi. Il nuovo Nazareno è all’opposizione «Non aspettiamo. Agiamo ora». Ieri mattina, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha pubblicato su Facebook un post in italiano, riprendendo quanto scritto, in francese, il giorno prima. Ha elencato quattro punti «Per l'Europa»: «1. Non siamo deboli. Scegliamo. 2. Non siamo divisi. Uniamoci. 3. Non abbiamo paura. Osiamo fare. 4. Non aspettiamo», ha concluso Macron, «Agiamo ora». Cosa vuole dire, Macron, ex supermanager Rothschild, l'uomo che dal nulla ha fondato un partito e ha vinto le elezioni presidenziali francesi, sconfiggendo Marine Le Pen con il sostegno dell'Europa e del dipartimento di Stato americano, oltre che di alcune delle più influenti logge massoniche «conservatrici» internazionali? A chi si rivolge, in italiano, Macron? La risposta è semplice: a Matteo Renzi e a Silvio Berlusconi. «Non aspettiamo. Agiamo ora», dice Macron. Ovvero: unitevi al più presto, perché il governo M5s-Lega non è altro che il primo passo verso la fondazione in Italia di un blocco «populista» (nella accezione neutra del termine), al quale dovrà contrapporsi un blocco «liberale e riformista». Il nuovo bipolarismo italiano sarà questo. Una prospettiva che il contratto di governo che stanno mettendo nero su bianco Luigi Di Maio e Matteo Salvini rende concreta e ineluttabile. Centinaia di articoli, riflessioni, editoriali, in queste settimane, si concentrano su diversi aspetti di questo contratto: chi sarà il premier che ne garantirà il rispetto, chi saranno i ministri che lo attueranno, quali saranno i contenuti. Ma l'aspetto più importante di qualunque contratto, la durata, resta un mistero. L'orizzonte dell'accordo di governo tra Lega e M5s non è chiaro. Eppure, da questo «dettaglio» dipende il futuro politico dell'Italia. Gli scenari possibili sono due. Il primo: Di Maio e Salvini si mettono d'accordo per un governo che duri un anno, al massimo due. Varano un esecutivo snello, dal quale si tengono entrambi fuori. Dichiarano che questo «contratto» serve a risolvere alcune emergenze, e che poi si tornerà al voto. Inseriscono tra i punti dell'accordo una legge elettorale maggioritaria. Una volta al governo, attuano qualche provvedimento «spot» di grande impatto mediatico: la chiusura di un paio di centri di accoglienza per immigrati, un sostegno ai disoccupati, qualche sconticino fiscale per le imprese, qualche intervento sulle pensioni. Incassato il risultato, in termini di consenso, si ripresentano al voto, uno contro l'altro, dicendo agli elettori: «Avete visto che noi siamo gli uomini del fare. Ora, scegliete chi di noi due volete come premier e chi come capo dell'opposizione». Secondo scenario: M5s e Lega danno vita a un governo che abbia un orizzonte lungo, di legislatura, al di là di colpi di scena e imprevisti. È evidente a tutti che, alla prossima scadenza elettorale per le politiche, i due partiti non potranno fare altro che tornare alle urne insieme. Una coalizione di governo si ripresenta al giudizio degli elettori esaltando i risultati ottenuti, mentre chi è stato all'opposizione punta a vincere mettendo in luce le inadempienze del governo uscente e proponendo un programma alternativo. È così, e non può che essere così. In cinque anni, due partiti che governano insieme si saldano in maniera praticamente indissolubile. Lunghe notti in Consiglio dei ministri, battaglie parlamentari fianco a fianco, spartizione di centinaia di poltrone, accordi con il mondo dell'industria, delle banche, della finanza, politica internazionale comune, immagine di compattezza offerta agli elettori in tv, sui giornali, sui social. Impossibile anche solo immaginare Lega e M5s che, dopo cinque anni al governo insieme, si dividano alle prossime politiche: quello che di buono avranno fatto sarà merito di entrambi, quello che avranno sbagliato sarà responsabilità di entrambi. Senza contare che, se il governo partirà, anche a livello locale spunteranno presto liste comuni legastellate. Intanto, i cinque anni al tepore dell'opposizione «moderata, liberale e riformista» cementeranno anche l'unione che Macron auspica o, più probabilmente, prevede: quella tra la parte renziana del Pd e Forza Italia. Chiamatelo partito del Nazareno, partito della Nazione, partito alla Parmigiana, nulla cambia. Il progetto, se ci saranno cinque anni di opposizione, è questo qui. Il processo è simile a quello che portò, nel 2007, Margherita e Ds a fondersi nel Pd. Dc e Pci si erano fronteggiati per decenni, i loro eredi si unirono per fronteggiare più efficacemente, guarda caso, il «populismo», all'epoca quello incarnato da Silvio Berlusconi, leader «ultra pop». In realtà, già nel 2004, alle europee, Ds e Margherita si erano presentati insieme, nella lista «Uniti nell'Ulivo», prendendo il 31%. Poi, vennero liste unitarie alle elezioni regionali, provinciali e comunali, fino alla fondazione del Pd. Lo scenario, dunque, è questo qui, nel caso che il «contratto» tra M5s e Lega sia di legislatura: saranno cinque anni rinnovabili. Nel 2023, sceglieremo tra i gialloverdi e i rossazzurri. Tra la coalizione (come la chiama, sapientemente, Sergio Mattarella) Lega-M5s e il partito del Nazareno. Non a caso, Pd e Forza Italia, in Parlamento, stanno già trattando sulle presidenze di commissione assegnate all'opposizione. La vigilanza Rai, si sussurra, andrebbe a Forza Italia, con Paolo Romani o Maurizio Gasparri; il Copasir, che controlla i servizi segreti, a Lorenzo Guerini del Pd. Il partito del Nazareno esprime del resto già oggi il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Di Maio e Salvini sono al bivio: se si sposano, tra cinque anni non potranno divorziare; se scelgono la strada della relazione a tempo, saranno liberi, al termine della «scappatella», di tornarsene ognuno a casa sua. Carlo Tarallo