2023-02-26
Un nuovo bavaglio Ue da talebani del Web sui contenuti sgraditi
Ursula von der Leyen (Ansa)
Entro marzo 2024 sarà operativa la legge che impone il controllo di grandi piattaforme e motori di ricerca persino sulle pubblicità.Il federalismo all’europea prosegue passo dopo passo e sempre in modo subliminale o strisciante. Mentre il dibattito imperversa sulla transizione ecologica, sui motori a scoppio e sul rischio di norme iper restrittive sulle classi energetiche delle nostre case, tra maggio e gennaio 2024 arriva un’altra novità.Tutt’altro che tranquillizzante. Entreranno in vigore due leggi Ue promosse e indirizzate dalla Commissione. Si tratta del digital market act (Dma) e del digital service act (Dsa). Ovviamente le norme hanno una crosta interessante e sono mirate, stando alle dichiarazioni del legislatore e dell’Europarlamento che le ha approvate, alla tutela dei consumatori e dei cittadini sempre più identità digitali. Le grandi aziende tecnologiche dovranno essere più trasparenti sulle loro operazioni e sulla scelta degli algoritmi sottostanti. La pubblicità mirata sarà limitata e i Dark pattern o altre pratiche ingannevoli saranno bandite. Piattaforme e servizi online molto grandi saranno soggetti a obblighi più severi, «proporzionati ai rischi che rappresentano per la società, tra cui quelli di analizzare i rischi sistemici che creano e di effettuare analisi di riduzione del rischio con cadenza annuale per consentire un monitoraggio continuo».Il Dsa, ad esempio, regola i servizi digitali e la ricerca online. Il suo obiettivo principale è contrastare i contenuti illegali degli utenti attraverso servizi che ospitano contenuti di terze parti (mercati, servizi di social media) e ricerca e controllare il modo in cui le piattaforme presentano le informazioni agli utenti. Sono, per di più, previsti ulteriori obblighi per le società che interessano più di 45 milioni di utenti attivi nell’Ue, le cosiddette Very large online platforms (Vlops).A sovrintendere il rispetto delle nuove norme sarà una unità della Commisione finanziata da una fee dello 0,05% del reddito netto globale del servizio. Di fatto nascerà un «Coordinatore dei servizi digitali» che a sua volta si avvarrà di enti segnalatori attendibili per ogni singola nazione Ue. Potrebbe per l’Italia essere l’Agcom ma ancora non si sa. In ogni caso la struttura che sta prendendo forma ha un po’ il sapore dei commissari politici sovietici perché tra le funzioni - e basta scavare un po’ sotto la crosta - c’è proprio quella della censura e del controllo dei contenuti che man mano vengono ritenuti dannosi. Ciò che adesso passa sotto il nome di fake news e viene ostacolato facendo pressioni nei confronti delle aziende della Silicon Valley non è altro che un sistema artigianale rispetto a ciò che potrà avvenire dopo l’applicazione del Dsa. Non solo perché le autorità di regolamentazione avranno poteri significativi, compresa la capacità di imporre penalità del fatturato del 6%, ma anche perché potranno far applicare le decisioni sotto l’ombrello dell’emergenza senza dover rendere conto a nessun Parlamento. Un esempio? Basta prendere l’articolo 91 del testo approvato in via definitiva lo scorso 19 ottobre. «In tempi di crisi, potrebbe essere necessario adottare con urgenza determinate misure specifiche», si legge nel testo secondo cui il Comitato dei servizi digitali avrà il potere di rivolgersi ai titolari delle grandi piattaforme social e dei motori di ricerca per «far adeguare i processi di moderazione dei contenuti e aumentare le risorse destinate alla moderazione dei contenuti, adeguare i sistemi algoritmici e i sistemi pubblicitari pertinenti, adottare misure di sensibilizzazione, promozione di informazioni affidabili e con relative interfacce online». In pratica, la Commissione potrà decidere che cosa potrà essere scritto e che cosa no. Dove e soprattutto che livello di visibilità potrà avere. Più o meno quello che è emerso su Twitter nella gestione precedente a Elon Musk, solo all’ennesima potenza. Per il fatto che ogni avvenimento potrebbe giustificare lo stato di allarme. «Tali crisi potrebbero derivare da conflitti armati o atti di terrorismo, catastrofi naturali quali terremoti e uragani», si legge sempre nell’articolo 91, «nonché pandemie e altre gravi minacce per la salute pubblica a carattere transfrontaliero». Non serve spiegare che sarà inutile lamentarsi di norme approvate da un Parlamento che accetta la totale cessione delle libertà. Questo nonostante più persone abbiano sollevato dubbi. «Tanto per cominciare che si parli di protezione dei dati personali come accade in relazione alle questioni della pubblicità targettizzata, tanto che si parli di libertà di informazione come accade in relazione alle questioni della moderazione dei contenuti pubblicati dagli utenti», scriveva poco meno di un anno fa Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali, «si discute sempre di diritti fondamentali e, in questi ambiti, è indispensabile che ogni competenza faccia capo o a un giudice o a un’autorità indipendente mentre potrebbe essere un grave errore attribuirla a un soggetto politico come la Commissione». Nella frase c’è tutto. Un messaggio che merita di non cadere nel vuoto. In Italia l’Aula sta lavorando a un interessante proposta di legge sull’antipirateria a firma Elena Maccanti e Federico Mollicone. Ce ne occuperemo la settimana prossima. Il testo da poco emendato tocca una fetta importante del Dsa (la protezione dei contenuti) ma potrebbe essere usato come scudo. Varrebbe la pena discuterne.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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