2024-05-18
Nuovo assalto per l’eutanasia senza regole
I radicali si tuffano sulla triste vicenda di una donna triestina che invoca il suicidio assistito e fa ricorso contro l’Asl che glielo nega. Il vero obiettivo è cassare il requisito per cui il malato deve dipendere dai macchinari. Come in Olanda, dove sopprimono i depressi.La nuova campagna pro eutanasia dell’Associazione Luca Coscioni comincia, come sempre, da una storia tristissima: quella di Martina Oppelli, quarantanovenne di Trieste, tetraplegica da dodici anni, che in un appello video si dice «esausta, esaurita». E implora il Senato, dove sono incardinate cinque proposte di legge sul fine vita, di permetterle di morire «col sorriso sul viso». Non in Svizzera, dove pure è disposta ad andare, bensì «nel Paese dove ho scelto di vivere e dove ho pagato le tasse». La donna ha depositato un ricorso contro la decisione dell’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina, che si rifiuta di concederle il suicidio assistito - ma lei lo chiama «eutanasia» - nonostante una diffida dello scorso febbraio.La Oppelli, di professione architetto, ad agosto 2023 aveva chiesto alle autorità sanitarie territoriali la verifica delle condizioni per ottenere la «buona morte». Visitata pochi mesi dopo dalla commissione medica multidisciplinare, in seguito a una serie di solleciti, ha però ricevuto un diniego. Le manca uno dei quattro requisiti fissati dalla sentenza Cappato della Corte costituzionale: non dipende da supporti vitali. Non è attaccata a una macchina per respirare o per alimentarsi. Ha comunque bisogno di essere aiutata in qualunque attività quotidiana debba svolgere.Ecco perché Filomena Gallo, avvocato della Coscioni, sta invocando un precedente: a dicembre, proprio il tribunale civile del capoluogo giuliano aveva costretto l’azienda sanitaria ad accordare il suicidio assistito alla signora Anna, malata di sclerosi. Il magistrato aveva interpretato il suo bisogno di assistenza continuativa come una forma di trattamento di sostegno vitale. «Perché nel caso di Martina no?», incalza l’attivista.Al solito, i radicali portano avanti una battaglia politica affidandosi al volto e alla voce di una persona sofferente; ne affiancano il percorso per far valere i suoi «diritti civili»; e, intanto, puntano su di lei i riflettori per propiziare il loro obiettivo ideologico. Metodo spregiudicato? Autentico afflato di pietà? Se ne può discutere. Stavolta, sullo sfondo dell’iniziativa, c’è la discussione a Palazzo Madama sul fine vita, avendo la Consulta già bocciato il referendum nel 2022: come aveva spiegato l’ex presidente dell’organo, Giuliano Amato, il quesito rischiava in effetti di legittimare l’omicidio del consenziente in qualsiasi circostanza e non solo in presenza di un malato incurabile. Già il dottor Sottile, peraltro, aveva approfittato della faccenda per bacchettare il Parlamento, accusato di essere «troppo occupato dalle questioni economiche» e di non dedicare «abbastanza tempo» a risolvere i «conflitti valoriali». Con un pizzico di malizia, ora, viene da domandarsi se i promotori fossero realmente inconsapevoli dei difetti della riforma da loro promossa. Gli argomenti addotti da una donna segnata dal dolore e dalla disperazione, priva di prospettive di miglioramento, sono granitici: obbligarla a sopravvivere sembra sadismo. Ma al di là delle apparenze, si spalanca una china preoccupante: quella delle conseguenze indesiderabili che deriverebbero da un’ulteriore liberalizzazione della «morte volontaria assistita». È per questo che il nodo giuridico è cruciale. Di sicuro, per lo stiracchiamento della nozione di «sostegno vitale»: in virtù del verdetto triestino di sei mesi fa, finirebbe per rientrare nella categoria finanche la necessità di essere imboccati, lavati e vestiti. Dopodiché, si deve osservare che la prospettiva di diffide e cause rappresenta un forte strumento di pressione sui comitati etici territoriali, che mira a complicare la selezione tra i candidati all’eutanasia. Ma è il terzo elemento quello più importante.Insieme alla sofferenza fisica o psicologica insopportabile, alla non reversibilità della condizione patologica e alla capacità del paziente di esprimere il consenso, la Corte costituzionale, nella pronuncia del 2019, aveva fatto riferimento alla di dipendenza dai macchinari. Le maglie sono state già allargate dalla citata sentenza di dicembre 2023. Ma adesso, l’obiettivo di chi, sotto sotto, ha in mente il modello olandese, è cassare quel requisito. In Aula o per vie legali. Ad esempio, quelle intraprese dal tribunale di Firenze, che si è rivolto di nuovo alla Consulta esattamente perché sospetta che la norma in vigore discrimini «irragionevolmente tra situazioni per il resto identiche».Il guaio è che un passaggio del genere non equivarrebbe semplicemente a riconoscere il primato della volontà sovrana degli individui ormai in fase terminale. Il terreno è scivolosissimo: e se la patologia inguaribile fosse di natura psichiatrica?Questo mese, nei Paesi Bassi, praticherà il suicidio assistito una ragazza affetta da depressione, autismo e disturbo borderline. Al termine di un iter di tre anni, i dottori hanno stabilito che fosse capace d’intendere e volere. Per loro non fa differenza se chi desidera morire si nutre con un sondino e respira grazie a un ventilatore polmonare, oppure è un nonnino in buona salute, piegato dal tedio di sentirsi inutile e improduttivo. Da Martina Oppelli si arriverebbe un giorno a Zoraya ter Beek? Un recente studio di Asher Colombo e Gianpiero Dalla Zuanna conferma che, negli Stati in cui saltano i paletti, aumenta il numero di quanti cercano la «buona morte» quando vanno incontro a demenza senile, o si considerano un «peso per la famiglia, gli amici o i caregiver». È il paradosso dell’autodeterminazione: il trionfo della libertà si trasforma in un pretesto per lavare via le macchie umane.
Alessandro Benetton (Imagoeconomica)