2025-06-12
«La nuova Irpef aumenta il drenaggio fiscale». Meloni ha pronta la riforma
Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, i prelievi su alcuni dipendenti saliranno Il premier: «Tagliamo le tasse al ceto medio». Il Senato approva il dl sugli acconti.Alla fine, con quello che gli esperti chiamano drenaggio fiscale, i lavoratori italiani finiranno per pagare più tasse, in pochi casi. È quello che è emerso ieri durante la presentazione del «Rapporto annuale sulla politica di bilancio» redatto dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb). «Con la progressività», si legge, «è aumentato anche l’effetto di drenaggio fiscale». Secondo una simulazione dell’Upb, confrontando i dati con quelli del 2022 e a inflazione invariata, i lavoratori dipendenti hanno versato al fisco il 13% in più. In valore assoluto, si tratta di un aggravio pari a 370 milioni di euro. «In un contesto in cui la dinamica retributiva è già risultata insufficiente a compensare l’inflazione», spiega l’Ufficio parlamentare di bilancio, «l’intensificazione del prelievo fiscale derivante dall’interazione tra quest’ultima e la progressività dell’imposta rischia di erodere in misura considerevole gli incrementi nominali delle retribuzioni, con potenziali ricadute negative sui consumi e sulla domanda interna».Non a caso, giusto ieri il premier, Giorgia Meloni, intervenendo agli Stati generali dei commercialisti, ha voluto ribadire che ora il suo governo sta lavorando a un taglio delle tasse per il ceto medio. «Intendiamo concentrarci oggi sul ceto medio», che «rappresenta la struttura portante del sistema produttivo italiano e spesso è quello che avverte di più il peso del carico tributario», ha detto. «Si tratta di tendere la mano a milioni di persone che si sono sentite vessate dal fisco. Vogliamo rendere il sistema più equo e più incentivante per chi produce reddito, contribuisce allo sviluppo della nazione. Il fisco deve aiutare, non opprimere».All’origine di questo aumento della pressione fiscale sui salari riscontrato dall’Upb c’è appunto il fenomeno del «fiscal drag», o drenaggio fiscale. Accade quando gli stipendi crescono - spesso a causa dell’inflazione - e i lavoratori finiscono per pagare più tasse, pur non avendo un reale miglioramento del potere d’acquisto. Questo succede perché l’Irpef è strutturata in modo progressivo: al crescere del reddito, si accede a scaglioni con aliquote più elevate. Se questi scaglioni non vengono aggiornati, anche un semplice adeguamento degli stipendi all’inflazione può spingere i contribuenti in fasce più alte. Non si tratta di un’anomalia recente: il fiscal drag esiste da sempre. Tuttavia, «la recente riforma fiscale», continua l’Upb, «ha reso il sistema più progressivo e più esposto al drenaggio fiscale, amplificando l’impatto di eventuali pressioni inflazionistiche».Il rapporto analizza anche le implicazioni della più recente legge di bilancio, approvata dal governo Meloni, sul quale il viceministro Maurizio Leo è al lavoro. Lo scorso autunno, spiega l’Ufficio parlamentare di bilancio, «veniva impostata una manovra che utilizzava quasi integralmente gli spazi di bilancio disponibili». Questo significa che, oggi, «a meno di miglioramenti della dinamica della spesa netta rispetto a quanto inizialmente previsto, eventuali nuovi interventi dovranno, quindi, trovare copertura attraverso aumenti di entrate o riduzioni di spese strutturali». In altri termini: per finanziare nuove misure - come ulteriori fondi per la Difesa - sarà necessario o incrementare le tasse o effettuare tagli alla spesa pubblica.Durante la presentazione del rapporto, la presidente dell’Upb, Lilia Cavallari, ha sottolineato che «la tenuta dei conti pubblici e la sostenibilità sociale del prelievo richiedono un’azione decisa per la riduzione dell’evasione». Pur riconoscendo che «risultati significativi sono stati raggiunti negli ultimi anni, soprattutto in ambito Iva attraverso strumenti volti a limitare ex ante le possibilità di evasione», Cavallari ha precisato che «il livello stimato di evasione resta fra i più elevati d’Europa» e che «va rafforzata la capacità di riscossione». Proprio per questo, ieri il Senato ha approvato il decreto legge sugli acconti Irpef, varato dal Consiglio dei ministri il 23 aprile scorso per correggere un difetto di coordinamento normativo legato alla riduzione da quattro a tre aliquote Irpef Il provvedimento, che ora passerà alla Camera per la conversione entro il 22 giugno.L’Upb si è anche soffermato sul Pnrr. L’ufficio parlamentare «ha valutato positivamente la conferma degli obiettivi, ma il quadro di finanza pubblica presenta diversi elementi di incertezza: le prospettive economiche a fronte della volatilità dei mercati e dell’incertezza geopolitica, l’esecuzione del Pnrr, dove il rischio di non realizzare interamente la spesa entro il termine del 2026 è significativo, e l’emergere di nuove priorità di bilancio, in particolare la necessità di rafforzare il settore della difesa. Le previsioni di discesa del debito dipendono inoltre dall’effettiva realizzazione del programma di privatizzazioni e dalla riduzione delle giacenze di liquidità».Insomma, il rischio è che la spesa prevista possa essere rinviata al 2027 con effetti che nel breve periodo potrebbero rallentare la crescita del Paese (meno 0,3 punti nel 2026), ma che si compenserebbero con una ripresa l’anno successivo. Alla fine, però, nel complesso, la crescita cumulata fino al 2028 resterebbe invariata.Certo, si capisce da dove arrivano le preoccupazioni, visto che la quasi totalità dei progetti Pnrr «è in fase d’esecuzione sebbene rimanga limitata la quota nella fase conclusiva (32,4% per 26,8 miliardi).