2025-09-16
L’ultimo ribelle del cinema: ha recitato per una vita ma non ha mai fatto finta
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino. Appena nato, suo padre lo immerse nell’acqua dell’oceano Pacifico secondo la più pura tradizione pellerossa. «Invece di piangere pare che mi sia messo a ridere», spiegava Robert Redford a chi lo intervistava raccontando l’alba della sua vita in quel lontano 1936. Era il figlio del lattaio irlandese di Santa Monica (Los Angeles), mamma casalinga. E nessuno ha mai capito se quella risata era destinata al mondo o a chi si stava bevendo l’aneddoto inventato, visto che i suoi antenati erano emigrati da Irlanda e Scozia; nessuna parentela con gli indiani. Ma era il modo migliore per esprimere una sensibilità, per mostrare che la natura era la sua stella polare. L’uomo che sussurrava ai cavalli se n’è andato a 89 anni mentre dormiva nel suo ranch di Provo nello Utah. È stato l’attore più sexy di Hollywood dopo Paul Newman e prima di George Clooney, e questo è un fatto. Ha sempre retto con fatica l’etichetta di idolo delle donne («Ero lusingato, mi faceva sentire bene essere osservato, ma poi tutta questa attenzione cominciò a innervosirmi»), e questo è un altro fatto. Non è mai entrato in sintonia con la fabbrica dei sogni, che definiva finta e falsa, a tal punto da ritirarsi sui monti Wasatch e inventare il suo festival indipendente, il Sundance. E questo è un terzo fatto. Non era un regista di culto anche se ha vinto due Oscar (il secondo alla carriera, basta invecchiare). Non era un interprete da Actors Studio e i critici aspettavano «il ciuffo di Robert, la smorfia di Robert, la mossetta furba di Robert» in ogni scena. E questi sono altri fatti. Ma quel Redford così young America, così liberal nell’essere sempre dalla parte giusta (teneva un blog su Huffington Post sul riscaldamento globale), così camicia a quadretti, così inserito nella natura come «cervo che esce di foresta» (copyright di Vujadin Boskov riferito a Ruud Gullit) non aveva bisogno di altro per diventare una leggenda.Icona pop del sogno americano, ha attraversato mezzo secolo da protagonista fra ovazioni pubbliche e drammi privati che ne hanno immalinconito il carattere, perché perdere un figlio ti devasta nel profondo e lui ne ha persi due. Il primogenito Scott è scomparso dopo due mesi di vita per la sindrome della morte improvvisa (1959), Jamie (attivista e documentarista) cinque anni fa per un tumore. Restano Shauna (fotografa) e Amy (regista), tutti avuti dall’attrice Lola Van Wagenem, sposata nel 1958. Nel 2009 si è risposato con la pittrice tedesca Sybille Szaggars che lo ha accompagnato fino alla fine. Figlio della California di John Fante, il giovane Robert era come minimo uno scapestrato, cacciato dalla squadra di football perché alzava il gomito, ma bravo a riciclarsi in tutti gli sport possibili: tennis, baseball, nuoto. Aveva un fisico da atleta e si è sempre vantato di non aver bisogno di controfigure. Sensibile all’arte, era affascinato dall’Europa. Cominciò a lavorare in un campo petrolifero ma quando la mamma Marta morì prematuramente (a 41 anni) di cancro, lasciò tutto per attraversare l’Oceano Atlantico. Parigi, Madrid, soprattutto Firenze dove voleva diventare scenografo. «Non riuscivo a campare e tenevo la bottiglia troppo vicino, alla fine l’esperienza bohèmienne fu un disastro e tornai a casa». Poco male, studiò recitazione a Hollywood ed esordì come Clint Eastwood in televisione, lui nella serie Perry Mason. Stava per nascere una stella. Di Redford si ricordano scene immortali in film di culto come La caccia (Arthur Penn), Butch Cassidy e La stangata (Roy Hill); A piedi nudi nel parco (Gene Saks); Corvo rosso non avrai il mio scalpo, Come eravamo, I tre giorni del Condor, La mia Africa (Sydney Pollack); Tutti gli uomini del presidente (Alan Pakula). Tutti firmati da grandi registi. Lui giocava da David Beckham ma i fuoriclasse stavano in panchina. Non per nulla i film a cui era più affezionato, suoi anche come autore, sono Gente comune, Oscar nel 1980 - del quale Paolo Mereghetti scrisse: «Accolto con entusiasmo superiore ai suoi meriti» - e L’uomo che sussurrava ai cavalli. Intenso e tenero come lui, con il viaggio nel Montana alla ricerca del sussurratore solitario per guarire l’anima del destriero. Perfetto per arrivare al cuore dello spettatore medio. Giovane boy friend di Jane Fonda, fuggiasco bellissimo e maledetto nel profondo Sud, reporter indomito nell’era del Watergate, bidonista che truffa un gangster, miliardario dallo sguardo magnetico che vorrebbe affittarsi Demi Moore. Sarà anche stato un intellettuale nella vita, ma sullo schermo non ha mai bucato un ruolo da sciupafemmine. Ricordò Meryl Streep a Cannes: «Sul set de La mia Africa, iniziammo la scena in cui lui mi lavava i capelli, ma non funzionava. Bob lo faceva con la punta delle dita, non era intenso e non era sexy. Chiamammo il truccatore che gli insegnò come doveva fare: dopo cinque prove mi ero innamorata di lui. Quante volte vediamo sequenze di personaggi che fanno l’amore, ma quante volte un uomo che lava i capelli a una donna?».La sua fuga da Hollywood negli anni Ottanta fece scalpore. Un vero strappo annunciato con una frase storica: «Se stai troppo a Beverly Hills rischi di diventare una Mercedes». Redford non sopportava l’approccio hollywoodiano che tendeva a banalizzare il cinema e voleva che i suoi film avessero sempre un peso culturale, affrontassero temi civili. Così si allontanò dal conformismo degli Studios per crearne uno tutto suo, con il Sundance festival nello Utah. Si lamentava: «Non ci viene nessuno». Ma aveva l’occhio lungo e da lì uscirono registi come Quentin Tarantino, Robert Rodriguez, Jim Jarmusch, Christopher Nolan. Nel 2017 ha ricevuto il Leone alla carriera a Venezia, con Jane Fonda di cui è sempre stato segretamente innamorato. E a proposito del successo ha detto: «Raggiungerlo mi è sempre sembrato come scalare una montagna, ma quando arrivi in cima che fai? Hai due possibilità. Continuare a lavorare per mantenerlo oppure dare opportunità ad altri, e io l’ho fatto da produttore e da creatore del Sundance».Se n’è andato ieri sulla Porsche verde come Nathan Muir nell’ultima scena di quel piccolo capolavoro di Tony Scott che è Spy game dopo aver fatto liberare Brad Pitt (circuìto da un’attivista rossa invasata) da una prigione cinese. «Operazione cena fuori al via». Per sempre, da leggenda. Robert Redford è morto nel sonno. Al cinema non c’era mai riuscito.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.