L’esecutivo salta il vertice di Stoccolma sul nucleare: il ministro vuole sentire l’Aula, la vice Vannia Gava aveva altri impegni, ma la Lega promuove la svolta benedetta pure da un consorzio europeo cui partecipano i Malacalza.
L’esecutivo salta il vertice di Stoccolma sul nucleare: il ministro vuole sentire l’Aula, la vice Vannia Gava aveva altri impegni, ma la Lega promuove la svolta benedetta pure da un consorzio europeo cui partecipano i Malacalza.Il governo italiano è pro nucleare, ma ancora non si sa quando farà un passo in direzione dell’atomo. L’altro ieri la Francia ha lanciato una iniziativa a Stoccolma per coinvolgere Romania, Bulgaria, Slovenia, Repubblica Ceca, Svezia, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Croazia, Paesi Bassi e Finlandia in una filiera di sviluppo del nucleare di ultima generazione. La rappresentanza italiana non ha partecipato. Il titolare del dicastero della Transizione ecologica, ora Mase, Gilberto Pichetto Fratin, ha detto che sarebbe bene esserci ma prima bisogna sentire la posizione del Parlamento. È scoppiata la tempesta. Reazioni anche in casa Lega e titoloni sui giornali. Trascorse 24 ore, colei che avrebbe dovuto rappresentare l’Italia, il vice ministro Vannia Gava, ha una posizione molto diversa. «Sugli sviluppi del nucleare di nuova generazione ho avuto, a margine del Consiglio europeo Energia di Stoccolma, un positivo confronto con la collega francese Agnes Pannier-Runacher», ha detto anche alla Verità. «L’idea di un’alleanza dei Paesi che già usano il nucleare come fonte di energia decarbonizzante è interessante. Ho confermato che l’Italia guarda con grande attenzione a questa scelta strategica, parte integrante peraltro del nostro programma elettorale. Purtroppo scellerate scelte del passato ci mettono in condizione di rincorrere il futuro, ma ce la faremo», ha aggiunto il viceministro del Carroccio. Che è successo? Da quanto risulta alla Verità, Gava aveva altri impegni d’agenda e non poteva fermarsi a Stoccolma. Il che aprirebbe un secondo tema. Perché si è permesso che si sviluppasse una tempesta in un bicchiere d’acqua? La comunicazione inerente l’atomo è da tempo un argomento bollente per il ministero. Già ai tempi di Roberto Cingolani i passi falsi e la gaffe hanno costituito una piccola collezione. L’esempio più interessante è quello dello scorso settembre, quando il manager di Leonardo scelto da Mario Draghi per il Mite se ne uscì con una forte e legittima critica agli ambientalisti radical chic. Di fatto Cingolani spiegò che l’atomo non può più essere un tabù. Perfetto, finalmente una posizione innovativa. Peccato che sia durata meno di tre giorni. Il 4 settembre, infatti, sterzò dicendo di non avere «nessuna proposta da fare». «Ho parlato agli studenti degli studi che si stanno conducendo, ma ad oggi», aggiunse, «non c’è una tecnologia». Il chiarimento del ministro, se così si può definire, arrivò dal forum Ambrosetti dopo la netta bocciatura anche da parte di Enel. Su questo tema «non è realistico pensare a una riconsiderazione», aveva affermato appunto l’amministratore delegato di Enel, Francesco Starace. Il timore è che la situazione ancora non sia cambiata rispetto allo scorso anno. Tanto più che Cingolani - è bene ricordarlo - è rimasto su volere del premier Meloni e su suggerimento di Draghi al ministero, in qualità di consulente. Speriamo che la linea Gava prosegua e si cerchi di prendere atto di quanto sta accadendo anche nel mondo delle aziende private. Da un report firmato Mckinsey, infatti, si vede che nel 2011-2015 gli investimenti sulla fusione nucleare di aziende private sono stati nel complesso 420 milioni di dollari a livello globale. Nel quinquennio successivo la cifra è salita a un miliardo e mezzo. Soltanto nel 2021 il pacchetto di fondi destinati a progetti di start up nucleare ammontava a 4,4 miliardi e il 2022 è a sua volta in leggera crescita. A fronte di tali importanti numeri non c’è stata dispersione. Tra il 2015 e il 2020 le aziende impegnate sono state 25. Stesso numero nel 2021, a fronte di quasi tre volte il valore degli investimenti messi a terra. Da quando gli scienziati negli Stati Uniti hanno portato a una svolta storica nella fusione, a metà dicembre dello scorso anno - in quell’occasione, è stata per la prima volta prodotta più energia di quanta se ne sia consumata fondendo isotopi di idrogeno - la fusione si è spostata al centro dell’attenzione politica come fonte di energia pulita e sicura. Ieri Gauss Fusion ha annunciato la chiusura del primo round di finanziamenti. Si tratta del primo vero progetto tra privati mirato a realizzare entro il 2045 una centrale a fusione (elettrica) da un gigawatt. Al consorzio greentech partecipano una azienda francese, una spagnola, le tedesche Bruker e Ri reserach. >Per l’Italia c’è Asg Superconductor, della famiglia Malacalza, che ha dalla sua l’esperienza della partecipazione in Iter. È chiaro che si tratta di una start up, ma è anche il segno che il mercato è pronto alla svolta: la collaborazione con le università non è più soltanto un tema di pura ricerca. Anche il governo dovrà prenderne atto: certo, dovrà interrogare il Parlamento ma anche avviare una campagna di sensibilizzazione e di chiarimento. Eni è impegnata in interessanti progetti americani assieme al Mit di Boston: iniziative in grado di portare effetti significativi. Il nucleare di nuova generazione è, al di là delle vecchie fonti, la sola in grado di far muovere un Paese industrializzato e garantirgli la permanenza nel G7. Altrimenti avremo una transizione ecologica capace di abbinare soltanto due parole: ambiente e povertà.
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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