2018-07-14
Non tutta la Guardia costiera segue la rotta tracciata dal governo
I livelli più alti rispondono ai ministri. Ma fra i graduati e negli equipaggi, sulla questione immigrati ci sono punti di vista differenti: «Noi andavamo troppo verso la Libia, però la gente va sempre salvata».Anche per fronteggiare l'immigrazione, la Marina ha ottenuto più fondi: 5,4 miliardi con cui costruire una portaerei e sette fregate. Diventeremo meglio anche dei francesi.Lo speciale contiene due articoli.Il modello che paga, in fondo, gli ammiragli che comandano la Guardia costiera ce l'hanno direttamente al governo e si chiama Sergio Costa, responsabile dell'Ambiente. Era il comandante del Corpo forestale, è stato un generale che ha preso posizioni forti, anche «politiche», e oggi è diventato ministro. E invece i vertici del corpo che presidia le nostre coste, e che dipende funzionalmente dal ministero delle Infrastrutture, sul tema dei migranti restano sotto coperta, ancora convinti che si debba «salvare tutti» come ai tempi del Pd. Mentre la stragrande maggioranza dei loro marinai chiede una sola cosa: «Aiutiamoli, ma a casa loro». E vorrebbero vedersi riconosciuto lo status di forza di pubblica sicurezza, per lavorare meglio nella lotta quotidiana con scafisti e trafficanti di uomini.Il fatto che dopo il voto di domenica 4 marzo sia cambiata la linea politica dell'Italia sui migranti non è ancora chiaro a tutti, visto che il dibattito continua a focalizzarsi su Matteo Salvini, sui suoi interventi, sulle sue battute, sul dibattito da social «Salvini no, Salvini sì, Salvini fascista?». Del resto anche al governo, ogni tanto, emergono sensibilità diverse. Mercoledì, parlando al giornale dei vescovi italiani, Avvenire, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha assai semplificato: «La parola accoglienza è bella, la parola respingimenti è brutta» e ha chiesto che la si pianti con questa «eccessiva demonizzazione delle Ong». Poi su Facebook, quando è divampata la polemica con il Carroccio, la ministra ha assicurato che al governo c'è «massima identità di vedute». Ma la sensazione è che ci siano parti dello Stato che sull'immigrazione remano contro la nuova linea della fermezza. Per carità, non si tratta di tradimento, perché l'accoglienza dei migranti è davvero un tema che tocca le coscienze e divide profondamente, ma sarebbe ingenuo ignorare che dietro al tandem Salvini-Toninelli non c'è una macchina compatta. E la Guardia costiera, guidata dall'ammiraglio Giovanni Pettorino, ne è un esempio. Basta fare due chiacchiere con qualche marinaio di quelli impegnati nel Canale di Sicilia, o entrare nelle loro chat, per vedere che i quasi 10.000 uomini della Costiera la pensano più o meno allo stesso modo: «Dobbiamo salvare tutti, ma non dobbiamo essere ovunque». Intanto, per il carico di lavoro che sopportano da almeno due anni, gli uomini della Guardia costiera sono pochi, tanto è vero che la loro rappresentanza sindacale chiedeva già a Graziano Delrio di avere almeno 2-3.000 militari in più. Perché hanno competenze amplissime, non solo sui migranti, e perché devono garantire i soccorsi da Ventimiglia a Lampedusa. Scavando un po' nelle capitanerie, viene fuori che un giorno di missione di una nave come la Diciotti, che va sul medio raggio e ha 50 uomini, costa circa 10.000 euro. Ma poi i marinai hanno lo straordinario forfettizzato, pagato meno di 3 euro l'ora. Quello straordinario che usano spesso per salvare vite umane (l'orario medio sarebbe di 8 ore al giorno). Ma ai marinai, in questa fase, più che i soldi interesserebbe una linea operativa chiara e univoca. «Andare a salvare la gente fuori dalle acque italiane, rischiando anche la vita, non è materialmente possibile», dice un sottufficiale con grande esperienza. Che poi sottolinea il grande equivoco sul quale siamo andati avanti per anni: «Se mi trovo a 10 miglia dalla costa libica e vedo delle vite in pericolo è chiaro che io intervengo, ma il punto è che io lì non ci devo stare». Quanto alle polemiche di questi giorni sulla Diciotti e sulla presenza a bordo di «facinorosi», si tratta di una vicenda che è sale su un'altra ferita aperta nel corpo della Guardia costiera: i poteri di polizia. I marinai della Guardia sono ufficiali di polizia giudiziaria, quindi, per esempio, possono identificare e interrogare una persona sospettata di essere uno scafista. Ma non viene riconosciuto loro lo status di pubblica sicurezza. Che cosa significa in concreto? Che ad esempio non hanno accesso alle banche dati sulle imbarcazioni o non hanno il diritto a fare indagini. Eppure sono a tutti gli effetti impiegati come polizia del mare. Non solo, ma anche il fatto che abbiano pistole e qualche mitragliatrice è dovuto a una circolare di un paio d'anni fa un po' furbetta, ma non a una legge vera e propria. Si può immaginare, tra gli uomini della Guardia costiera, il malcontento per aver visto i poliziotti «di Salvini» salire a bordo di una loro nave con personale che ha funzioni di polizia giudiziaria in base all'articolo 1235 del codice della Navigazione. Se questo è l'umore della truppa del mare che deve occuparsi dei migranti, va detto che i suoi vertici da quando c'è il governo gialloblù sono di straordinaria prudenza e spesso non mancano di far notare al governo o ai colleghi stranieri che loro sono più «illuminati» dei propri uomini. Vincenzo Melone, comandante fino al febbraio scorso, andò in Parlamento a sostenere che «riportare in Libia i migranti è illegale». L'ammiraglio Enrico Credendino, che guida l'operazione Sophia, ha sempre ribadito che «il diritto del mare non vieta alle Ong di entrare in acque libiche». E il generale della Guardia di Finanza, Stefano Screpanti, in un incontro nella sede di Confitarma di marzo 2015 spiegò agli armatori: «La stessa operazione di polizia, quando assume profili di pericolosità, diventa un'operazione di soccorso». Per poi aggiungere che «anche nelle operazioni di contrasto all'immigrazione clandestina la salvaguardia della vita è un obiettivo centrale». Posizioni molto «liberal» anche per l'attuale comandante della Guardia costiera, Pettorino, che ha anche raccolto il plauso della piddina Raffaella Paita: «C'è un'Italia che non si arrende alla disumanità e alla propaganda di Salvini e del governo di Lega e M5s: questa Italia, oggi più che mai, è rappresentata dall'ammiraglio Giovanni Pettorino». Del resto, che il Pd in questi anni si sia abituato a parlare solo con i capi, in tutti i settori, è un errore di cui Salvini e Di Maio hanno approfittato ampiamente alle elezioni. Francesco Bonazzi<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/non-tutta-la-guardia-costiera-segue-la-rotta-tracciata-dal-governo-2586432405.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="almeno-miglioriamo-la-nostra-flotta" data-post-id="2586432405" data-published-at="1758199925" data-use-pagination="False"> Almeno miglioriamo la nostra flotta Il bilancio della Difesa messo in conto per l'anno corrente vede circa 1 miliardo in più di spesa. Si passa dai 20,3 miliardi del 2017 agli attuali 21. Rispetto al 2015 il segno più vale l'8% di crescita (pari a 1,6 miliardi). A beneficiarne, un po' tutte le Forze armate. Recentemente uno studio di Milex, ripreso dal settimanale L'Espresso ha fatto le pulci alle varie voci di bilancio. Al di là della conferma di vecchi contratti ne spicca uno estremamente sostanzioso legato al Mare nostrum. Nel 2015 la Marina militare «è riuscita ad ottenere dal Parlamento il via libera all'acquisto di una seconda portaerei e di sette fregate al costo di 5,4 miliardi», si legge. Si tratta di una unità anfibia multiruolo per il concorso della Difesa ad attività di soccorso umanitario e «pattugliatori polivalenti d'altura per la sorveglianza marittima tridimensionale, il controllo flussi migratori, soccorsi in mare, tutela ambientale». Dopo l'approvazione parlamentare del programma ottenuta anche con il ricorso alla retorica del «dual use» militare e civile, le reali dimensioni e i costi delle nuove unità navali si sono rivelati maggiori di quanto inizialmente comunicato al Parlamento, «rivelando la vera natura di queste navi», sostiene sempre lo studio. La necessità di acquistare sette nuovi pattugliatori è stata giustificata dall'esigenza di rimpiazzare 28 navi di cui è prevista la graduale dismissione entro il 2025. «In realtà, di queste 28 navi, sei erano state dismesse già da tempo e altre sei di recente acquisizione non necessitano rimpiazzo immediato, quindi le navi da rimpiazzare risultano 16». Quando queste nuove navi entreranno in servizio, la Marina italiana schiererà due portaerei e diciannove unità di primo rango, superando la Marina francese e ponendosi al pari della potenza navale inglese. È fondamentale per il nostro paese avere una flotta all'altezza del G7 e dei più impostanti Paesi Nato. Lo sanno tutti gli ammiragli, anche perché ogni 100 centesimi investiti si ha un ritorno di 108. Basti pensare al ruolo di Fincantieri e alla dimensione del peso occupazionale del colosso della cantieristica. Nella scelta del Parlamento ha però pesato il tema migranti. Le numerose missioni Ue e l'impostazione data al recupero degli immigrati al largo delle coste libiche ha spinto nella direzione del rafforzamento della flotta. Se al contrario, già dal 2015 l'impegno fosse quello di sorvegliare dal mare e respingere, probabilmente l'Aeronautica avrebbe ricevuto più fondi per velivoli Sigint specializzati nell'intelligence e meno denaro sarebbe finito alla Marina. Avere un bilancio più pesante porta sicuramente prestigio e potere. Si comprende anche perché molte istituzioni dello Stato sia riluttanti a cambiare filosofia in acque territoriali o extraterritoriali. L'impegno del governo di Giuseppe Conte nel cambiare le regole d'ingaggio non è solo a Innsbruck ma anche a Roma tra i palazzi della Difesa. Claudio Antonelli
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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