2020-10-26
Ferdinando Camon: «Non permettiamo che ci arrivino in casa i musulmani ostili»
Lo scrittore sulla decapitazione del prof in Francia: «Sono contro lo ius soli, gli immigrati devono abiurare ad alcuni loro principi».Ferdinando Camon, vivido romanziere della morte della civiltà delle campagne, è un cattolico «democratico». L'anno scorso, in Scrivere è più di vivere, affermava, senza tentennamenti, che «non possiamo convivere con l'islam ortodosso».Perché?«Perché l'islam - non quello stragista, ma quello “normale", ortodosso, appunto - applica tre principi».Quali?«Il fedele vale più dell'infedele. E questo, in Occidente, non possiamo accettarlo: la fede religiosa è ininfluente sul piano del valore giuridico e politico di una persona».Poi?«Secondo principio: l'uomo vale più della donna. Nemmeno questo possiamo ammetterlo. E ciò vale sia fuori casa, sia dentro casa».Come mai lo specifica?«Tempo fa fu arrestato un islamico che picchiava la moglie. Sa come si giustificò?».Come?«Disse: “Io fuori casa la rispetto, perché fuori di casa è terreno dello Stato, ma non in casa: in casa è terreno mio". Ma noi non possiamo accettare che, dentro casa, un uomo picchi sua moglie».Ovviamente.«Terzo principio: l'emirato vale più della democrazia. Ma l'emirato è una teocrazia. Quindi, un islamico ortodosso non può essere in linea con la Costituzione di un Paese occidentale».E l'islam moderato?«Se l'islam è moderato nel senso che non crede che il fedele valga più dell'infedele, che l'uomo valga più della donna e che l'emirato valga più della democrazia, certamente è compatibile con le nostre società. Solo che non è più islam».Come comportarsi, allora?«Un islamico deve abiurare questi tre principi prima di entrare nei nostri Paesi. Non dopo due o tre generazioni che hanno vissuto in un conflitto micidiale con noi».Lei è contrario allo ius soli?«Io sono per lo ius culturae: bisogna che uno capisca bene il sistema del Paese in cui entra e lo accetti. Con lo ius soli creeremmo aree in cui ci sono cittadini italiani e aree in cui ci sono finti cittadini italiani, che in realtà sono solo islamici. E non lo dico in senso punitivo, eh».Che intende?«Ritengo che per queste persone, abbracciare la nostra Costituzione e ottenere la nostra cittadinanza, rappresenti un progresso».Ma perché gli islamici professano quei principi? Nel discorso di Ratisbona, Benedetto XVI criticò la loro concezione di un Dio al di là della logica, che quindi spalanca le porte a irrazionalismo e fanatismo. Condivise l'analisi?«Il Papa aveva ragione. Gli islamici vivono secondo un principio onnicomprensivo, per cui Dio conta più di tutto. Per lungo tempo fu così anche per noi. Bisognerebbe che l'islam la smettesse di credere che la religione fonda la politica. Il problema, però, è che l'islam politico è tutt'uno con l'islam religioso».Che ha pensato quando è stato decapitato Samuel Paty?«Quello è un episodio a parte».In che senso?«Non riconosco il diritto di bestemmia. È un sopruso».Lo pensa davvero?«I francesi identificano la libertà d'espressione con il diritto di bestemmia. Ma, come diceva un mio insegnante di filosofia, un conto è essere ateo e scrivere la Critica della ragion pura, come fece Immanuel Kant, e un conto è essere ateo, ubriacarsi e girare per strada bestemmiando».Dove vuole arrivare?«Nel primo caso, leggiamo il libro. Nel secondo caso, prendiamo quella persona e la mettiamo in galera».Ma non la decapitiamo…«Certo che no».Il problema resta.«Le vignette su Maometto sono state un atto di violenza. Il professore ha fatto uscire dalla classe gli studenti islamici e poi ha sghignazzato con gli studenti cristiani sulle vignette. Io ho insegnato per tutta la vita. Mica irridevo gli studenti ebrei…».Va bene. Ma ciò giustifica una reazione omicida?«Certo che no. Infatti, non riconosco all'islamico il diritto di difendersi a coltellate, bensì il diritto di essere difeso dalla legge: la blasfemia non è un atto di libertà, come sostiene quello sciovinista di Emmanuel Macron».Ritiene che la laicité francese esacerbi il conflitto con l'islam?«Chi bestemmia non è un laico. Chi non crede, rispetto alla religione è indifferente».In Francia, ogni anno, si verificano decine di roghi di chiese. Il Paese, nel nome del laicismo militante, rifiuta rabbiosamente le proprie radici cristiane?«La Francia ha un problema con le sue radici cristiane, come ce l'ha l'Europa. Tanto che le ha escluse dalla Costituzione europea. Mi piace ricordare che la nazione francese si considera nata con il battesimo di Carlo Magno».Sarebbe importante riappacificarsi con quell'eredità culturale.«Le radici cristiane sono fondamentali. Tra la classicità e l'illuminismo, c'è una lunga fase che noi erroneamente consideriamo di decadenza e di vuoto, ma che fu un periodo di fermento culturale sviluppato nei monasteri, nelle abbazie, con la conservazione di manoscritti e codici, e la traduzione di classici greci e romani. Non aver voluto inserire le radici cristiane nella Costituzione europea non è stato un atto di verità, bensì un atto d'ignoranza».La sinistra pro immigrazione, che, nel nome del politicamente corretto e del rispetto del «diverso», cede alle più estreme pretese dei musulmani, non finisce con il trasformarsi nella migliore alleata del separatismo e dell'imperialismo islamici?«Quello dell'inserimento, nelle nostre società, di figli di civiltà diverse, è un problema enorme, dal quale dipende il nostro futuro».Si spieghi.«Certamente ciò che saremo domani deriverà da una fusione tra la nostra civiltà e le civiltà che arrivano qui. Ma chi è che arriva qui?».Ecco: chi arriva?«Sinistra e destra, sull'immigrazione, conducono una battaglia politica. E invece il discorso è squisitamente costituzionale».Ovvero?«Dovrebbero poter arrivare da noi quelli che hanno intenzione di vivere in mezzo a noi o a fianco di noi. Non quelli che vogliono vivere contro di noi. E purtroppo, oggi, una parte degli immigrati la pensa ostilmente. Ma non possiamo permettere che vengano in casa nostra i nostri nemici».La destra anti immigrazione, invece, a volte vede nell'attaccamento dell'islam alle proprie tradizioni un baluardo contro il nichilismo occidentale.«Senta, mettiamola così. L'Inghilterra è stata molto aperta all'immigrazione, no?».Fino a qualche anno fa…«Ebbene, il risultato sa qual è?».Quale?«Che oggi, a Londra, ci sono otto corti islamiche, che giudicano, assolvono o condannano in base alla sharia, la quale nulla ha a che fare con le leggi britanniche. È inaccettabile che in uno Stato esistano oasi in cui si applicano norme incompatibili con le leggi di quello Stato».Da cattolico, come sta vivendo questo periodaccio della Chiesa?«Ah, malissimo…».Sì, eh?«Guardi, i peccati ruotano sempre attorno alle stesse due dimensioni: sesso e denaro. Il sesso spiega lo scandalo della pedofilia; il denaro spiega le vicende dei conti correnti ballerini, delle speculazioni finanziarie».Cosa pensa a riguardo?«Vorrei ci fossero condanne più severe, più palesi e più immediate. E vorrei che noi fossimo meglio informati. Soffro enormemente, quando penso che l'obolo di San Pietro, cioè i soldi dati dai fedeli per la carità, finiscono in intrallazzi».Papa Francesco come si sta comportando?«Ho la massima fiducia in lui. È certamente sincero, dice quel che pensa, prende provvedimenti corretti, li comunica… Certo, intorno a lui c'è una frangia ambigua».Quindi, anche lei è tra coloro che credono che questo Pontefice sia un autentico riformatore, circondato da personaggi ostili?«È sempre stato così. Voglio citare ciò che ho trovato su un testo universitario di mio figlio, che oggi insegna procedura penale all'Università di Bologna. Ogni tanto entro nella sua stanza da studente e sfoglio i suoi libri. In questo caso, un volume di diritto canonico».Cosa ha letto?«La definizione della Chiesa cattolica: monarchia assoluta teocratica elettiva. Basta questo a spiegare tutto».Dice?«Il potere del Papa sta nel suo essere un monarca assoluto. Ciò che lo indebolisce è l'intrallazzo per le elezioni. E la natura teocratica della Chiesa è la ragione per cui, nonostante tutto, noi dobbiamo rispettare il suo magistero».
Antonio Tajani (Ansa)
Alla Triennale di Milano, Azione Contro la Fame ha presentato la Mappa delle emergenze alimentari del mondo, un report che fotografa le crisi più gravi del pianeta. Il ministro Tajani: «Italia in prima linea per garantire il diritto al cibo».
Durante le Giornate Contro la Fame, promosse da Azione Contro la Fame e inaugurate questa mattina alla Triennale di Milano, è stato presentato il report Mappa delle 10 (+3) principali emergenze alimentari globali, un documento che fotografa la drammatica realtà di milioni di persone colpite da fame e malnutrizione in tutto il mondo.
All’evento è intervenuto, con un messaggio, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha espresso «gratitudine per il lavoro prezioso svolto da Azione Contro la Fame nelle aree più colpite dalle emergenze alimentari». Il ministro ha ricordato come l’Italia sia «in prima linea nell’assistenza umanitaria», citando gli interventi a Gaza, dove dall’inizio del conflitto sono state inviate 2400 tonnellate di aiuti e trasferiti in Italia duecento bambini per ricevere cure mediche.
Tajani ha definito il messaggio «Fermare la fame è possibile» un obiettivo cruciale, sottolineando che l’insicurezza alimentare «ha raggiunto livelli senza precedenti a causa delle guerre, degli eventi meteorologici estremi, della desertificazione e dell’erosione del suolo». Ha inoltre ricordato che l’Italia è il primo Paese europeo ad aver avviato ricerche per creare piante più resistenti alla siccità e a sostenere progetti di rigenerazione agricola nei Paesi desertici. «Nessuna esitazione nello sforzo per costruire un futuro in cui il diritto al cibo sia garantito a tutti», ha concluso.
Il report elaborato da Azione Contro la Fame, che integra i dati dei rapporti SOFI 2025 e GRFC 2025, individua i dieci Paesi con il maggior numero di persone in condizione di insicurezza alimentare acuta: Nigeria, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Etiopia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Myanmar e Siria. In questi Paesi si concentra oltre il 65% della fame acuta globale, pari a 196 milioni di persone. A questi si aggiungono tre contesti considerati a rischio carestia – Gaza, Sud Sudan e Haiti – dove la situazione raggiunge i livelli massimi di gravità.
Dal documento emergono alcuni elementi comuni: la fame si concentra in un numero limitato di Paesi ma cresce in intensità; le cause principali restano i conflitti armati, le crisi climatiche, gli shock economici e la fragilità istituzionale. A complicare il quadro contribuiscono le difficoltà di accesso umanitario e gli attacchi agli operatori, che ostacolano la distribuzione di aiuti salvavita. Nei tredici contesti analizzati, quasi 30 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 8,5 milioni in forma grave.
«Non è il momento di tagliare i finanziamenti: servono risorse e accesso umanitario per non interrompere gli interventi salvavita», ha dichiarato Simone Garroni, direttore di Azione Contro la Fame Italia.
Il report raccoglie anche storie dal campo, come quella di Zuwaira Shehu, madre nigeriana che ha perso cinque figli per mancanza di cibo e cure, o la testimonianza di un residente sfollato nel nord di Gaza, che racconta la perdita della propria casa e dei propri cari.
Nel mese di novembre 2025, alla Camera dei Deputati, sarà presentato l’Atlante della Fame in Italia, realizzato con Percorsi di Secondo Welfare e Istat, che analizzerà l’insicurezza alimentare nel nostro Paese: oltre 1,5 milioni di persone hanno vissuto momenti di scarsità di risorse e quasi 5 milioni non hanno accesso a un’alimentazione adeguata.
Dal 16 ottobre al 31 dicembre partirà infine una campagna nazionale con testimonial come Miriam Candurro, Germano Lanzoni e Giorgio Pasotti, diffusa sui principali media, per sensibilizzare l’opinione pubblica e sostenere la mobilitazione di aziende, fondazioni e cittadini contro la fame nel mondo.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)