
Il segretario lumbard ha sentito puzza di bruciato nel discorso del premier e ha tirato dritto. Tenere il punto gli ha permesso di mantenere in vita il governo, liberando finalmente i cantieri. Il mondo delle imprese ringrazia.La minaccia di una crisi di governo non è servita a frenare Matteo Salvini. Il discorso pronunciato lunedì in conferenza stampa dal presidente del Consiglio aveva uno scopo ben preciso, ossia spingere il ministro dell'Interno al passo indietro. Ventilando l'intenzione di mollare la poltrona di Palazzo Chigi qualora la tensione fra grillini e leghisti non si fosse allentata, Giuseppe Conte non lasciava intravvedere dietro l'angolo rapide elezioni anticipate, come molti hanno finto di credere, ma il solito pastrocchio. Perché di governi balneari nella storia della Repubblica se ne sono visti molti, ma di comizi in periodi di vacanza mai e dunque una campagna elettorale sulla spiaggia era ed è assai poco probabile, mentre lo era e ancora lo è una soluzione all'italiana. Era quella l'arma segreta che doveva spaventare il capitano leghista e indurlo a mollare la presa. L'idea di un governo tecnico o anche solo di un esecutivo di unità nazionale per ricondurlo a più miti consigli.La minaccia del resto non era da sottovalutare. Quante volte abbiamo visto allontanarsi le urne a causa di una soluzione dell'ultimo momento? A volte restituire la parola agli italiani sembrava la cosa più logica da farsi per risolvere la crisi, ma alla fine un'emergenza o anche solo una manovra di Palazzo avevano impedito lo scioglimento delle Camere e consentito lo spuntare dei Responsabili, ossia di parlamentari pronti a tutto, anche al salto della quaglia, pur di evitare un ritorno alle urne. La crisi, e la prospettiva di un accordo alle sue spalle che lo escludesse dalla guida del governo, potevano certamente essere un ottimo modo per convincere Salvini. Ma alla fine il vicepremier non è caduto nella trappola e non è indietreggiato di un millimetro. Anzi.Che il ministro dell'Interno non si fosse spaventato di fronte al discorso un po' sorprendente del premier (quando mai si è visto un capo di governo che per rivolgersi ai vice anziché alzare la cornetta convoca una conferenza stampa?), lo si era capito subito già lunedì, perché prima ancora che Conte avesse terminato le sue comunicazioni ai giornalisti, il capitano leghista già lo aveva fornito di una risposta via Twitter. Che subito gli esegeti del pensiero salviniano, sulle pagine online dei quotidiani, avevano interpretato come una smaniosa voglia di rottura. Il tam tam del Palazzo poi aveva fatto il resto, accreditando la possibilità di una crisi di governo a ore. A corroborare l'annuncio quindi aveva contribuito la notizia di un emendamento leghista per sospendere il codice degli appalti. Così lunedì, a tarda sera, il destino del governo sembrava segnato. O per lo meno: qualcuno dava a intendere che lo fosse, probabilmente per fare pressione proprio sullo stesso Salvini, il quale delle elezioni non ha alcun timore, ma delle ammucchiate sì.Tuttavia, nonostante a Palazzo Chigi dopo i risultati delle europee la confusione regni sovrana, Salvini ha tirato diritto, insistendo sulle modifiche al codice degli appalti, quasi che sul decreto Sblocca cantieri fosse pronto a giocarsi la partita oltre che la poltrona. Il risultato alla fine non è stato quello che qualcuno immaginava, perché né le pressioni né le minacce sono servite allo scopo. E ora possiamo dire che il governo non è caduto, ma nemmeno è rimasto fermo come in tanti si auguravano. Il codice degli appalti, ovvero le norme dell'ex ministro Graziano Delrio che secondo le imprese impediscono l'avvio di una serie opere pubbliche, in parte sarà sospeso e questo servirà a far ripartire i lavori. Certo, la parte dura e pura dei grillini avrebbe preferito che le cose andassero diversamente, e cioè che le regole rimanessero quelle rigide che impediscono di procedere, perché in tal modo tanti interventi pubblici avversati dai comitati del No non avrebbero visto la luce, Tav compresa. Ma dato che il capitano leghista non si è spaventato davanti a chi minacciava la crisi, e nemmeno il trappolone lo ha indotto a fare un passo indietro, alla fine nel Movimento si sono convinti a bere l'amaro calice e dare il via libera ai lavori. Grazie allo «Sblocca Salvini» dunque tutto è rientrato, crisi e manovre comprese? Beh, non è detto. Per ora a segnare un punto è stato il ministro dell'Interno, che porta a casa il suo primo provvedimento a favore delle imprese, ossia della parte elettorale più trascurata da questa legislatura, ma la partita non è chiusa e c'è da giurare che altri proveranno a bloccare Salvini.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
Continua a leggereRiduci
Lockheed F-35 «Lightning II» in costruzione a Fort Worth, Texas (Ansa)
- Il tycoon apre alla vendita dei «supercaccia» ai sauditi. Ma l’accordo commerciale aumenterebbe troppo la forza militare di Riad. Che già flirta con la Cina (interessata alla tecnologia). Tel Aviv: non ci hanno informato. In gioco il nuovo assetto del Medio Oriente.
- Il viceministro agli Affari esteri arabo: «Noi un ponte per le trattative internazionali».
Lo speciale contiene due articoli.
Roberto Cingolani, ad e direttore generale di Leonardo (Imagoeconomica)
Nasce una società con Edge Group: l’ambizione è diventare un polo centrale dell’area.






