2025-03-11
«Ho dato nome a morti sconosciuti anche a 30 anni dal ritrovamento»
L’esperta forense Cristina Cattaneo: «Quando si rinviene un corpo, non è sempre possibile risalire alle generalità. Una ragazza croata ritrovò il babbo camionista a oltre un trentennio dalla sparizione. Per gli altri c’è una lapide anonima».Il linguaggio burocratico li definisce «cadaveri non identificati». Più letterariamente sono i «morti senza nome». Si tratta di salme rinvenute, prive di documenti d’identità, sul territorio italiano, nei luoghi più disparati, stazioni, scali e tratte ferroviarie, autostrade o cigli di strade provinciali, recessi di centri commerciali, boschi, lungofiumi cittadini e argini, frutteti, spiagge e battigie, acque fluviali e marine. Il fenomeno spesso riguarda le metropoli. A Milano ogni anno sono rinvenuti 30-40 cadaveri di cui non si conosce l’identità. Gran parte di essi sono identificati. Qualora il dato anagrafico sia assente, sono sepolti, con una lapide spartana: «sconosciuto» e data del rinvenimento. Alcune salme giacciono per mesi negli obitori cittadini nell’attesa dell’attribuzione di un nome e un cognome certi. Nel 2007 il ministero dell’Interno ha istituito l’ufficio del Commissario straordinario per le persone scomparse, con un registro dei cadaveri non identificati, spesso risalenti ad anni lontani, in un caso al 1972. Oscillano tra i 1.000 e i 1.100, ma il computo è in aumento. Alcuni casi lontani nel tempo, causa ormai inesistenti speranze, saranno archiviati. Restano i dati delle schede giudiziarie post-mortem. Caratteristiche antropometriche, etnia probabile, abbigliamento (esempio: «giaccone grigio Faciba taglia 50, pantaloni grigio-verdi Weipper…»), effetti personali («flauto color avorio marca Dama», «orecchino in metallo giallo con pietra azzurra», «portamonete con 15 euro»…), segni particolari («tatuaggio di 9 centimetri su spalla sinistra raffigurante un piccolo fantasma sorridente armato di falce con alle spalle un’ombra», «cicatrice da appendicectomia»…), possibili cause di morte («impiccagione», «intossicazione da monossido di carbonio», «cause naturali da patologia», «precipitazione nel fiume», «omicidio»…). Secondo il Viminale, negli ultimi 50 anni, in Italia, circa 100.000 denunce ufficiali di scomparsa sono rimaste senza risposta. Alcune possono essere legate anche all’Alzheimer. Dal 9 dicembre 2024 il nuovo Commissario dell’istituzione governativa è il prefetto Saverio Ordine. Essendo il problema dell’incrocio e dell’aggiornamento dei dati molto complesso, l’ufficio del Commissario ha formalizzato protocolli di azione. Quelli pienamente operativi sono a Milano, Roma, Firenze. Tuttavia, l’obiettivo è crearne e potenziarne altri. Cristina Cattaneo, classe 1964, originaria di Casale Monferrato (Alessandria), ordinario di medicina legale all’Università degli studi di Milano è una grande esperta d’identificazione dei cadaveri senza identità. Nel 1995, con il prof. Marco Grandi, ha fondato il Labanof (Laboratorio di antropologia e odontoiatria forense), struttura interdisciplinare specializzata sul tema. Da esso è nato il Museo delle scienze antropologiche, mediche e forensi per i diritti umani, in via Ponzio 7, a Città Studi, dietro l’obitorio di Milano. Le storie del Labanof sono state pubblicate dalla docente nel libro Corpi, scheletri e delitti (ed. Raffaello Cortina). Come si lega la questione del rinvenimento di cadaveri senza documenti d’identità alle denunce di scomparsa di individui? «I due ambiti sono molto connessi, simmetrici, perché un cadavere senza identità spesso corrisponde alla denuncia di una persona scomparsa da qualche parte. Sono confrontati mediante banche dati, pur incomplete. Identificare i morti è importante, perché persone e famiglie cercano i loro missing che, se sono morti, sono morti senza identità. Quando il nostro Laboratorio fu costituito, nel 1995, stava nascendo l’associazione Penelope, creata dai parenti degli scomparsi. Con Chi l’ha visto? abbiamo fatto questo battage culturale. Ci fu una bellissima interrogazione parlamentare di Luciano Violante e poi fu istituito l’ufficio del Commissario straordinario per le persone scomparse. Nel 2012 fu approvata la legge 203 sugli scomparsi. Sottolineo che sono un tecnico e la struttura decisionale è quella del Commissario». Dietro i morti senza nome ci sono storie. E i congiunti degli scomparsi non sanno se sono vivi o morti. «Si ha a che fare con i diritti umani. I famigliari degli scomparsi hanno diritto alla conoscenza della verità. È provato che se una madre cerca un figlio per anni e non lo trova, rischia problemi di salute mentale e fisica. Se un minorenne non ha un certificato di morte del genitore, ha serie difficoltà perché non ha uno status di orfano. Stiamo facendo una ricerca tra Milano e Parigi. Se a Milano si seppelliscono, in media, 4-5 cadaveri senza identità l’anno, a Parigi ne vengono seppelliti circa 80 e più della metà di essi sono nazionali, non migranti. Poi c’è la questione dei migranti nel Mediterraneo, un altro grande problema». Il registro del ministero dell’Interno dei cadaveri senza nome ne contiene al momento circa 1.000-1.100. Tuttavia è in aggiornamento. «Credo sia la punta dell’iceberg. Temo ce ne siano tanti di più. Il problema è che non sempre si ha contezza che da qualche parte sia arrivato un cadavere senza identità. Per esempio: a Milano c’è un tavolo della Prefettura che funziona perfettamente e dà all’ufficio del Commissario il numero di cadaveri non identificati sul nostro territorio e così credo anche a Roma e Firenze. A Milano tutti i deceduti senza nome sono portati da noi, al Labanof. Nei centri più piccoli non c’è questo coordinamento». Quale procedura si segue quando viene rinvenuto un morto senza documenti? «Dipende in quale località italiana avviene il rinvenimento. La regola vorrebbe che, nel momento in cui si trova un cadavere senza nome, sia sottoposto ad autopsia perché, soprattutto se è decomposto, emergono informazioni talvolta determinanti. A Milano la maggior parte è sottoposta ad autopsia, anche perché abbiamo un protocollo. La procedura è: tampone in bocca per il prelievo del Dna, rilevamento impronte digitali, lastre o Tac e autopsia».Una volta fatta l’autopsia, il cadavere viene seppellito?«No. Se resta sconosciuto rimane a disposizione in obitorio solitamente fino a 6 mesi, talvolta un anno, perché magari i famigliari potrebbero farsi vivi dopo alcuni mesi. La data di sepoltura è decisa dal pm. Anche perché i Comuni non hanno celle frigorifere all’infinito. A Milano sono 100. Le spese di sosta nell’obitorio sono a carico dell’autorità giudiziaria. Quelle di sepoltura, solitamente, a carico del Comune».Sono numerosi i cadaveri negli obitori in attesa di sepoltura senza essere stati identificati?«Ogni anno facciamo circa 1.000 autopsie e circa una quarantina hanno seri problemi identificativi. La maggior parte di essi s’identificano in qualche giorno o mese. Ogni anno ne restano mediamente 3-4, sepolti senza nome. Quando si trova un match tra la persona trovata senza vita e il profilo della persona scomparsa si passa, dal sospetto d’identità, alla fase identificativa certa, con confronto del Dna, del volto, tracce di interventi chirurgici e odontoiatrici. Spesso serve la presenza di un famigliare o di un conoscente».Si può fare una stima di quanti siano, a Milano, i defunti seppelliti senza nome? «Negli ultimi trent’anni, a Milano, almeno 120».Può accadere che, dopo tanti anni, a un defunto senza identità sia dato un nome? «Per alcuni di essi probabilmente non si conoscerà mai la loro identità. Ma ci sono state persone che hanno trovato il proprio caro 20-30 anni dopo. Una donna italo-croata si fece viva sostenendo di aver riconosciuto, dall’immagine nel nostro sito (www.labanof.unimi.it), il volto del padre, che faceva il camionista tra la Croazia e Milano. Era morto in un campo a Milano. Fu rinvenuto decomposto e fatta l’autopsia. Era senza documenti. Non c’erano impronte da confrontare, perché non era un criminale. La ragazza aveva visto l’ultima volta suo padre a 5 anni. Era rimasto sepolto oltre 30 anni come sconosciuto».Nel sito del Labanof si osservano immagini reali oppure ricostruite dei morti ancora senza identità. «Quando il cadavere è ben conservato si pubblica una foto. Se è decomposto o scheletrizzato, si procede attraverso tecniche informatiche di «approssimazione facciale». La ricostruzione facciale deve essere fatta a mo’ di caricatura, accentuando segni particolari. Una ragazza italiana presentava un’indentatura di un osso frontale ed era priva di un premolare. Un nostro biologo ne ricostruì il volto mentre sorrideva - si vedeva il vuoto del dente - e con la frangia dei capelli tirati su. Attraverso Chi l’ha visto?, la sorella, dall’evidenziazione di questi due difetti, ha riconosciuto il volto».Se accade sia rinvenuta solo la parte di un corpo, ad esempio un arto, si può arrivare a un’identità?«Attraverso il Dna si possono ricavare un profilo biologico, il sesso, l’età, l’etnia. Si cerca di vedere se c’è una cicatrice, un tatuaggio, una frattura, la vite di un intervento ortopedico… Abbiamo identificato una donna uccisa e data alle fiamme. Le ossa erano quasi polverizzate. Era rimasta la vite di un impianto dentale ed è stata identificata con quella». Quei frammenti di salma vengono poi sepolti?«Sì. Senza nome, qualora non si sia giunti a un’identità».Di quante autopsie si occupa personalmente in un anno?«Da giovane, 30 anni fa, una cinquantina l’anno. Ora faccio la capoturno e ne eseguo circa 5-6 l’anno, di solito omicidi «complessi», «cold case»». Com’è nata questa sua passione?«Nasco come biologa e antropologa. Mi sono laureata in medicina, e poi specializzata in medicina legale. Questo mi ha dato uno scopo sociale, restituire una verità per un passato recente, ricostruire il puzzle attraverso la scienza. Ho imparato a comprendere il valore enorme che i morti hanno per i vivi, restituire non soltanto l’identità, ma anche la verità».
Nel riquadro il professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana (iStock)
Il 10 ottobre Palermo celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale con eventi artistici, scientifici e culturali per denunciare abbandono e stigma e promuovere inclusione e cura, su iniziativa della Fondazione Tommaso Dragotto.
Il 10 ottobre, Palermo non sfila: agisce. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, la città lancerà per il secondo anno consecutivo un messaggio inequivocabile: basta con l’abbandono, basta con i tagli, basta con lo stigma. Agire, tutti insieme, con la forza dei fatti e non l’ipocrisia delle parole. Sul palco dell’evento – reale e simbolico – si alterneranno concerti di musica classica, teatro militante, spettacoli di attori provenienti dal mondo della salute mentale, insieme con tavoli scientifici di livello internazionale e momenti di riflessione pubblica.
Di nuovo «capitale della salute mentale» in un Paese che troppo spesso lascia soli i più fragili, a Palermo si costruirà un racconto, fatto di inclusione reale, solidarietà vera, e cultura della comunità come cura. Organizzato dalla Fondazione Tommaso Dragotto e realizzato da Big Mama Production, non sarà solo un evento, ma una denuncia trasformata in proposta concreta. E forse, anche una lezione per tutta l’Italia che alla voce sceglie il silenzio, tra parole come quelle del professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana che ha detto: «I trattamenti farmacologici e psicoterapici che abbiamo oggi a disposizione sono tra i più efficaci tra quelli disponibili in tutta la medicina. È vero che in molti casi si parla di trattamenti sintomatici e non curativi, ma molto spesso l’eliminazione del sintomo è di per sé stesso curativo. È bene - continua Fiorillo - diffondere il messaggio che oggi si può guarire dai disturbi mentali, anche dai più gravi, ma solo con un approccio globale che miri alla persona e non alla malattia».
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