2018-12-31
Noi spendiamo e loro scappano: così regaliamo alle bande criminali oltre 5.000 baby migranti
Ogni anno, 170 milioni di euro vanno a finanziare progetti dedicati ai minori non accompagnati. Intanto però cresce il numero di quelli che scompaiono nel nulla: ben sei al giorno nel solo 2017.Più di 11.000 baby profughi accolti solo nel 2018, oltre 170 milioni di euro spesi, ma sono ancora oltre 5.000 quelli irrintracciabili, che vagano come fantasmi nelle nostre città. Come se ogni tre minori, uno lo regalassimo (a spese nostre) alla criminalità. Salvati in mare, curati, sfamati e vestiti di tutto punto ed ecco che questi fuggono: pronti a spacciare o a fare la vita per ripagare non si sa quali debiti di viaggio. Sono i minori non accompagnati, quelli che arrivano senza famiglia con i barconi. Solo nel 2017, dai centri di accoglienza, ne sono scomparsi 2.440: sei al giorno. E tutto alla luce del sole. Forse qualche manager del business dell'accoglienza è stato chiamato a rispondere di queste sparizioni? Niente affatto. Qualcuno ha gridato allo scandalo per un sistema milionario che dovrebbe accudire i ragazzini e invece se li perde per strada? Nemmeno. Eppure lo scandalo c'è. Le cronache raccontano che la maggior parte dei giovani scomparsi viene intercettata e prelevata direttamente nei centri di accoglienza dagli emissari delle bande criminali che, fin da principio, ne avevano organizzato il viaggio verso l'Europa e che agiscono indisturbate. E questo non accade solo nei grandi centri di smistamento, come vorrebbe far credere la sinistra, ma anche nelle strutture di seconda accoglienza (progetti Sprar compresi) che dovrebbero garantire un controllo ad personam su ogni singolo ragazzino e che invece se li lasciano portare via sotto il naso. Legalmente il responsabile del minore è il gestore della struttura a cui questo viene affidato, ma nella pratica una volta che il giovane è scomparso questo si limita a segnalare l'accaduto, con apposita denuncia, e tutto finisce lì. In nome del principio che i centri di accoglienza non sono carceri, e che i clandestini accolti devono essere comunque liberi di muoversi, i minori che spariscono diventano numeri buoni per le statistiche e il loro passaggio attraverso il welfare italiano, semplicemente una tappa di una tratta criminale, organizzata dalla malavita. Per spiegare meglio come (non) funziona il sistema usiamo i numeri. Secondo i report ministeriali, alla fine dello scorso novembre, i minori stranieri non accompagnati, registrati nelle strutture di accoglienza su suolo nazionale, erano 11.239. Un bel numero, certo, ma di molto inferiore a quello del 2017, anno in cui i minori sbarcati sono stati 15.779, e, comprese le presenze residue, quelli assistiti addirittura 18.303.A questo punto, probabilmente vi chiederete come sia possibile che migliaia e migliaia di bambini partano da soli alla volta dell'Europa, per fuggire da guerre e carestie. La risposta è semplice. Non sono bambini. La grande maggioranza dei minori a cui diamo accoglienza sono diciassettenni o, almeno, si dichiarano tali. I giovani immigrati arrivati da soli in Italia quest'anno dichiarano, nell'84% dei casi, 16 o 17 anni, il 9,8% ha 15 anni, mentre soltanto lo 0,8% ne ha meno 6 anni. Oltre a essere quasi maggiorenni, i ragazzi non provengono da zone di guerra. Gambia, Guinea, Egitto, Albania, Eritrea sono i principali Paesi di provenienza di più dell'80% dei giovani richiedenti asilo che sbarcano sulle nostre coste.Esattamente come accade per i sedicenti profughi adulti, paradossalmente, è nelle zone più disagiate del Sud Italia che si concentra il business dell'accoglienza profughi. La Sicilia, per esempio, nonostante la gravissima situazione occupazionale, che la pone tra le peggiori Regioni europee per tasso di disoccupazione con il 21,5% di senza lavoro e 330.000 giovani inoccupati, è la Regione che più tenacemente vuole occuparsi dei clandestini, minori compresi. E non tanto per gli sbarchi che avvengono direttamente su quelle coste, ma piuttosto per tutto il sistema costruito intorno a questi, che, come noto, è lautamente remunerato. Così, oggi, il 40,3% dei minori viene ospitato in Sicilia, mentre la seconda Regione più accogliente d'Italia è la Calabria. E proprio in queste terre da cui i giovani italiani fuggono appena possono, secondo le logiche del business, i minori clandestini dovrebbero costruire, magari anche credendoci, il loro futuro. Secondo l'ultimo rapporto di Save the children, a livello nazionale, 9 minori su 10 sono collocati in strutture di accoglienza e solo una piccola parte presso privati e famiglie, nonostante gli sforzi dei governi locali di coinvolgere i cittadini nei progetti di inserimento e la creazione degli albi dei tutori volontari presso i vari tribunali per i minorenni. Più specificamente, quasi uno su tre si trova in strutture di prima accoglienza (come i famigerati Cas, Centri di accoglienza straordinaria), mentre la maggioranza sono ospitati in strutture più piccole e dislocate sul territorio. Quelle affidate dalle prefetture o dai Comuni alle cooperative a 45 euro al giorno, per intenderci, dove in teoria dovrebbero essere seguiti e tutelati. E da dove, invece, scappano.Nell'ultimo triennio il Viminale ha stanziato, ogni anno, 170 milioni di euro per i progetti di accoglienza dei minori e altri 52 milioni sono arrivati dal fondo Fami (Fondo asilo, migrazione, integrazione). I progetti finanziati sono affidati ai Comuni attraverso il sistema Sprar e gestiti poi dalle cooperative, che, nel 2017, hanno dato lavoro a ben 2.319 operatori. Sono 311 le strutture dedicate ai minori dislocate nei diversi Comuni e del programma di benvenuto e accoglienza fanno parte vitto, alloggio, vestiario pocket money da due euro, corsi di italiano e percorsi di formazione e inserimento lavorativo. Eppure tanti scappano. Secondo i dati del 2018 in giro per le nostre città ci sarebbero 5.314 giovanissimi clandestini, senza identità né protezione alcuna, la maggior parte dei quali, probabilmente, in mano alla criminalità di vario genere che li sfrutta, quando va bene, come lavoratori in nero o spacciatori e, quando va peggio, per la prostituzione e la schiavitù sessuale.Nel 2017, primo anno in cui risulta una rilevazione puntuale degli allontanamenti, i minori sono stati 2.440. Di questi, secondo le segnalazioni della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione, 706 hanno lasciato le strutture di prima accoglienza, mentre gli altri si sono allontanati da quelle più piccole. In realtà i conteggi dei minori fantasma attualmente presenti sul territorio non sono precisi. I report mensili del ministero dell'Interno comunicano il numero dei ragazzi attualmente minori che, nel tempo, sono scomparsi, ma cancellano di volta in volta dal numero complessivo quelli che hanno raggiunto la maggiore età (e che dunque non fanno più parte dei minori irreperibili). A questo si aggiunge il forte turn over dei soggetti che ricadono in questa statistica (quasi tutti hanno 16 o 17 anni e dunque in poco tempo divengono maggiorenni), così il dato dei 5.314 ragazzi fantasma non lascia intendere esattamente quanti siano spariti anno per anno, né quanti giovani immigrati abbiano fatto perdere le loro tracce nell'ultimo decennio. Lo scorso febbraio, il commissariato del governo per le persone scomparse dava, ad esempio, numeri completamente diversi. Secondo quella diversa rilevazione i minori stranieri scomparsi rappresentano il 67% del totale degli scomparsi in Italia, che a metà del 2017 erano ben 47.946. Tenendo per buone queste cifre, dunque, sarebbero quasi 39.000 gli immigrati fantasma in Italia, di cui ben 31.635 minorenni. Anche il Sistema d'indagine interforze della Direzione centrale della polizia criminale presenta un quadro drammatico: gli allontanamenti volontari nel nostro Paese registrati a fine 2017 sono 22.205, di cui 18.796 minorenni, dei quali 17.967 stranieri.Come accade in tanti altri ambiti della vita, anche tra le sorti dei giovani clandestini vittime della tratta le differenze tra maschi e femmine sono marcate. Innanzitutto le giovani donne sono appena il 7,3% del totale (dato in linea con la presenza di richiedenti asilo adulte che in Italia non superano il 15%) e provengono in sei casi su dieci dalla Nigeria o dall'Eritrea. Inoltre, per loro, la modalità di approccio ai servizi offerti, una volta sbarcate, è opposta rispetto a quella dei compagni di sventura. Al contrario di quanto succede nel caso dei maschi che, in molti casi, dichiarano di essere minorenni anche se non lo sono per ottenere più facilmente lo status di rifugiato o la protezione internazionale (sulla questione dell'accertamento dell'età dei minori andrebbe aperto un capitolo a parte), le ragazze, soprattutto quelle che sono già vittime predestinate della prostituzione, fingono di essere maggiorenni per evitare l'inserimento in strutture che potrebbero in qualche misura rendere più complessa la loro fuga.Il loro dramma è, ormai, tristemente noto: cedute dalle famiglie a bande criminali che forniscono materia prima alla rete della prostituzione attraversano l'Africa e il Mediterraneo per poi soggiornare in Italia accolte come richiedenti asilo. Convinte di dover ripagare un debito da decine di migliaia di euro vengono ben presto contattate dai loro sfruttatori e, cedendo al ricatto, finiscono sulla strada. Secondo il recente rapporto Vie d'uscita di Save the children per il contrasto allo sfruttamento sessuale dei minori, tra gennaio 2017 e marzo 2018, in alcuni territori chiave come Abruzzo, Marche, Sardegna, Veneto e la città di Roma, gli operatori sono entrati in contatto con 1.904 vittime di questa tratta, di cui 1.744 neomaggiorenni o sedicenti tali e 160 minorenni, in netta prevalenza (68%) giovanissime nigeriane. Che prima di gonfiare i numeri della malavita hanno contribuito a quelli del business accoglienza. Come è possibile che il fiume di denaro impiegato, le strutture e gli operatori dedicati, i corsi e le tutele garantite dall'applicazione della recente legge Zampa (47/2017) il fenomeno dell'allontanamento dei giovanissimi che si buttano tra le braccia della malavita sia così diffuso?La risposta potrebbe trovarsi ancora una volta nei numeri, soprattutto in quelli delle ispezioni a sorpresa effettuate nelle strutture per richiedenti asilo, comprese quelle dedicate ai minori, che dimostrano come spesso nel business accoglienza non è tutto oro quello che luccica. Nel 2017 sono state svolte 5.678 verifiche su 3.865 strutture e, secondo la relazione annuale del Viminale «sono state adottate 3.000 contestazioni formali e applicate penali per oltre 900.000 euro», mentre «per 36 centri si è provveduto alla risoluzione contrattuale per gravi inadempienze».In chiusura un ultimo dato. Chi non ricorda con sincero strazio i visini dei bimbi immortalati dopo i bombardamenti in Siria? A lungo sono stati utilizzati per propagandare l'accoglienza come necessaria e per bollare di disumanità chi osava sollevare qualche dubbio. Ma si trattava, appunto, di propaganda: nel 2018, a conferma di un trend consolidatosi nel tempo, tra le migliaia di minori accolti in Italia, i minori siriani sono stati appena 30.
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)