2023-11-30
«No vax colpevoli delle polmoniti»: la Francia smentisce Rezza e Bassetti
La virostar di Genova, spalleggiata da Giovanni Rezza, incolpa i no vax della resistenza della polmonite pediatrica cinese all’antibiotico. Ma l’accusa non regge: da Parigi e dal Bambino Gesù di Roma spiegano che l’azitromicina sta funzionando «senza problemi».Il batterio della polmonite pediatrica cinese resiste o no alla terapia antibiotica? E se resiste, la colpa è dei complottisti che, durante la pandemia di Sars-Cov-2, utilizzavano a sproposito l’azitromicina? Dopo l’intemerata sui social di Matteo Bassetti, suffragata in modo esclusivo dal suo autorevole verbo, ieri, sulla Stampa, anche Giovanni Rezza ha discusso di Mycoplasma pneumoniae. «Può darsi», ha detto sbrigativamente, «che abbia sviluppato qualche forma di resistenza verso l’azitromicina, della quale i no vax hanno fatto uso improprio» in era Covid. Purtroppo, l’ex capo della Prevenzione al ministero s’è guardato bene dal citare una casistica, una ricerca, un’indagine clinica. Il metodo scientifico, una volta, si fondava sulle prove; adesso, sulle prediche degli esperti catodici. Il Vangelo secondo Matteo e il Vangelo secondo Giovanni.La loro ipotesi presenta varie incongruenze. Il ceppo originario del Dragone era già refrattario alle cure? Se sì, i nemici di Bassetti, che si prescrivevano da soli l’antibiotico, non c’entrano niente. Il danno andrà imputato a qualche sedizioso cinese. Se, invece, il microbo fosse evoluto oltralpe, bisognerebbe spiegare dove è partita la pressione selettiva. Ci sono apprendisti stregoni all’ombra della Torre Eiffel? Oppure tutto è cominciato dai no vax italiani? In tal caso, come mai, qui, la patologia non si è ancora diffusa? Lo ha confermato, al Correre della Sera, il professor Alberto Villani, responsabile della pediatria al Bambino Gesù di Roma. In un ospedale con «una media di oltre 300 accessi al giorno al pronto soccorso, al momento non abbiamo riscontrato alcun aumento» di polmoniti dei bambini. Ovvero, «non stanno arrivando casi come quelli descritti in Cina e Francia». Strano: i no vax del nostro Paese avrebbero innescato una potenziale bomba biologica, contribuendo a far emergere un microrganismo meno facilmente trattabile, che però si è propagato solamente al di là delle Alpi. Ma c’è di più. Secondo Villani, «finora, né in Cina né in Francia, sono stati riscontrati problemi con la terapia antibiotica». Così, nello stesso giorno, su due giornali diversi, due luminari danno due versioni differenti. Rezza insegue Bassetti: il Mycoplasma è attrezzato contro l’azitromicina e la responsabilità è dei discoli no vax. All’opposto, il pediatra di Roma sostiene che la terapia con l’antibiotico funziona tranquillamente. Dove cercare la prova nel nove? Be’, in Francia. I cui media, in realtà, non danno molto spazio all’epidemia. Nondimeno, cinque giorni fa, su Ouest France, il quotidiano francofono più letto al mondo, un articolo informava: «Il batterio Mycoplasma pneumoniae può essere facilmente neutralizzato dagli antibiotici, ma alcuni ceppi sono resistenti. I farmaci appartenenti alla famiglia dei macrolidi, come l’azitromicina, sono in genere assai efficaci». Il giornale citava il parere offerto da un’esperta, Cécile Bébéar, a Le Parisien: «In passato potevano esserci casi di resistenza, fino al 10%, ma oggi sono quasi scomparsi perché questo batterio non circola più da tre anni». Se è così, non solo vacillano le fondamenta del processo sommario ai no vax. Tutta la storia della polmonite che elude gli antibiotici si riduce a una sorta di leggenda metropolitana. Diventa lecito domandarsi: quanti piccoli pazienti con batterio resistente ha seguito Bassetti? Infine, una postilla. Massimo Ciccozzi, direttore dell’Unità di statistica molecolare e di epidemiologia al Campus Biomedico di Roma, ha invitato a non fidarsi delle autorità cinesi, secondo le quali non vi sarebbe alcun patogeno ignoto alla base dell’epidemia. «Le contraddizioni sono troppe», ha denunciato ieri. «Prima parlano di aumento delle visite ambulatoriali e dei ricoveri ospedalieri dei bambini, poi non sono solo dei bambini, per dire successivamente che non necessitano di ricovero, che si tratta di un mix di infezioni e che non ci sono restrizioni per i viaggi». «Non basta chiedere informazioni», ha concluso. «Se l’Organizzazione mondiale della sanità vuole conoscere la situazione reale […] deve mandare una delegazione e raccogliere dati certi». Come lui, pure Roberto Burioni ha deciso di non comprare più a scatola chiusa i resoconti dei funzionari di Xi Jinping. Ottimo. Ben svegliati. Bisognerebbe comunque ricordare che, a febbraio 2020, l’Oms mandò eccome una delegazione nello Stato della Muraglia. E l’équipe, anziché vederci chiaro, lodò «il più ambizioso, agile e aggressivo sforzo di contenimento di una malattia nella storia». Poi tornò in Occidente con l’idea che bisognasse «imitare» i feroci lockdown. Se in Cina ci si va per farsi intortare, tanto vale rimanere a casa.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)