2023-11-03
No alle cure a Roma: Indi condannata a morte
La Corte inglese nega il trasferimento al Bambino Gesù. Per i giudici, infatti, è meglio un’esistenza più breve, ma con meno dolore. Un’interpretazione che non accetta debolezza e sofferenza e, pur di evitarle, sopprime la vita. Oggi il ricorso in appello dei genitori. Una società in cui «il miglior interesse» di una persona è la sua morte forse ha qualcosa che non va. Soprattutto se quella persona è una bambina di otto mesi come Indi Gregory, che secondo un giudice britannico non merita di essere trasferita in un ospedale italiano poiché una esistenza breve, ma priva di sofferenza, sarebbe meglio di una più lunga ma esposta al rischio di provare dolore. Ieri mattina la High family court, nella persona del giudice Robert Peel, non ha autorizzato l’espatrio della piccola: niente trasferimento in Italia al Bambino Gesù. Peel - lo stesso che il 13 ottobre scorso aveva dato l’ok alla sospensione delle cure vitali per la bambina, ricoverata al Queen’s medical centre di Nottingham - non ha accolto le istanze del team di legali guidato dall’avvocato Louis Browne KC per conto dei genitori di Indi.Alla base del rigetto, l’idea che il trasporto in aeroambulanza in Italia non possa portare alcun miglioramento alle condizioni della piccolina: lo spostamento non sarebbe, appunto, nel suo «miglior interesse». Secondo Peel «non vi è alcun cambiamento sostanziale delle circostanze, o altra ragione impellente, che giustifichi il riesame della mia ordinanza originale» (cioè quella del 13 ottobre). Che questa sia la linea della magistratura inglese lo conferma alla Verità Simone Pillon, avvocato incaricato dalla famiglia Gregory di seguire gli interessi della bambina in Italia e che in questi giorni ha tenuto i contatti anche col Bambino Gesù di Roma.«La decisione del giudice», dice Pillon, «si fonda su due presupposti: il primo è che «il trattamento che viene offerto in Italia sarebbe sostanzialmente identico a quello offerto in patria». In realtà non è così, sia per la disponibilità da parte dei medici italiani a valutare la possibilità di un intervento di catetere cardiaco che consentirebbe l’estubazione, con evidenti miglioramenti della qualità di vita della piccola, sia per la diversa concezione delle cure palliative che non sono solo sedazione e distacco dei supporti vitali».«Il secondo aspetto alla base della sentenza», continua Pillon, «è la valutazione del «miglior interesse» della bambina a una vita residua breve ma senza potenziali sofferenze, piuttosto che una vita un po’ più lunga ma col rischio di provare disagi e sofferenze». Il giudice Peel ha però lasciato ancora un minimo spiraglio alla sopravvivenza di Indi, affermando che i medici che l’hanno in cura non possono spegnere il respiratore artificiale che la tiene in vita fino a oggi alle 15, ora italiana, per consentire ai genitori di ricorrere nuovamente in appello. Appello che il papà della neonata, Dean Gregory - dettosi «inorridito» dal nuovo verdetto -, ha subito confermato. «Claire e io vogliamo dare a nostra figlia ogni possibilità di sopravvivere e di migliorare, ed è molto grave che gli attuali medici curanti di Indi non collaborino con gli specialisti dell’eliambulanza», dichiara papà Dean. «L’ospedale pediatrico Bambino Gesù ci ha dato una vera possibilità che vogliamo cogliere per nostra figlia», ha aggiunto Gregory, rimarcando che «anche se il trasferimento in Italia comporta qualche rischio, l’unica alternativa che ci è stata offerta nel Regno Unito è quella di accettare la morte di Indi. Non c’è niente da perdere né per noi né per lei. L’offerta dall’Italia è l’unica di cure che abbiamo e, come genitori di Indi, siamo pronti a correre un rischio affinché ciò accada. Dato che le prove mediche indicano che nostra figlia ha una ragionevole possibilità di sopravvivere e di migliorare, crediamo che sia nel suo interesse avere questa possibilità». Non resta che sperare che gli avvocati dei Gregory, ricorrendo quest’oggi in appello, possano rilanciare meglio le loro ragioni. Fallisse il tentativo, il team di legale potrebbe ancora ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), per quanto si tratti di una speranza labile. Tutta questa vicenda, a ben vedere, ci chiama a una riflessione dolorosa sul concetto di «buona vita» o vita decente. E il modo in cui lo interpreta il giudice inglese risulta abbastanza angosciante. Certo, tutti ci auguriamo di provare meno dolore possibile finché stiamo al mondo, ma resta che il dolore è una condizione ineliminabile della nostra permanenza sulla terra. Questo è, forse, il grande mistero dell’esistenza che è ipocrita e infantile non accettare: siamo esposti al dolore, al pericolo, al rischio. Siamo in viaggio lungo il confine, ci aggiriamo nei pressi di un limite, che è poi quello che ci rende umani. L’Occidente moderno, tuttavia, ha scelto come cifra la dismisura, cioè l’assenza di limite. E c’è senz'altro qualcosa di buono nella spinta a trascendersi e a superare gli umani confini. Purtroppo questa tensione ha una faccia oscura, che è appunto la non accettazione della debolezza e della finitudine. Da questi parti si pretende il rischio zero: la vita buona è soltanto quella in cui il corpo, ridotto a macchina, funziona perfettamente. E non è ovviamente il caso del corpo di Indi Gregory. Motivo per cui si decreta - senza per altro averla interpellata - che alla piccina «non convenga» vivere. Per il suo bene: se non funzioni a dovere, non vale la pena. Basta un lieve cambio di prospettiva per comprendere quale sia l’altra faccia di questo discorso: se non funzioni, non meriti di vivere. Se pensate che stiamo esagerando, vi invitiamo a notare quanto sia diffusa questa idea dell’efficienza come condizione necessaria alla sopravvivenza. Non è fuori luogo richiamare quanto accaduto all’epoca dei lockdown: per timore del contagio abbiamo spinto le persone a rinchiudersi in casa. Tradotto: per evitare il rischio, il pericolo e il dolore, meglio condannarsi a una sorta di morte civile. Anche in quel caso, si puntava a preservare il mero funzionamento del corpo (o la nuda vita, per usare le categorie di Giorgio Agamben), la sua performatività. Che veniva, manco a dirlo, presentata come il nostro «miglior interesse».La vicenda di Indi è del tutto analoga. La sua odissea giudiziaria non è ancora conclusa e restano spiragli, per fortuna non tutto è perduto. Ma quali siano i fronti in campo è del tutto chiaro. Chi vorrebbe sopprimerla sostiene che per lei non valga le pena restare in questo mondo, cioè - letteralmente - non sia il caso di provare dolore per nulla: inutile dannarsi quando è chiaro che non sarà mai un essere umano perfettamente performante. È, questo, un singolare esempio di eterogenesi dei fini. Per timore della morte abbiamo finito per estenderne i confini. Per paura della sofferenza - che in una società priva della metafisica perde completamente di senso - abbiamo ridotto il campo della vita. Non è un caso che in questi dintorni si facciano così pochi figli: siamo talmente ossessionati dalla morte da averne fatto un oggetto di culto. Incapaci di fronteggiare il mistero, abbiamo optato per l’estinzione. Nel nostro «migliore interesse».
L’evento, intitolato Verità e libertà, nasce dall’idea di dare spazio a interviste, interventi e commenti che possano alimentare un dibattito autentico, lontano dalle distorsioni e dalle semplificazioni tipiche del clima politico attuale. La maratona è pensata anche come un omaggio a Charlie Kirk, il giovane leader e fondatore di Turning Point Usa, recentemente ucciso negli Stati Uniti, che ha incarnato con forza la libertà di espressione e dei valori tradizionali.
Nel corso della diretta interverranno giornalisti, intellettuali, politici e personalità del mondo della cultura e dello spettacolo. Sarà l’occasione per ascoltare punti di vista diversi, approfondire temi cruciali per la nostra società e ribadire la centralità della libertà come fondamento di ogni democrazia. Tra gli ospiti: Mario Giordano, Paolo Del Debbio, Giuseppe Cruciani, Antonio Padellaro, Marco Rizzo, Giuseppe Culicchia, Roy De Vita, Francesco Giubilei, Boni Castellane, Simone Pillon, Enrico Ruggeri, Jacopo Coghe, Maria Rachele Ruiu, Fabio Dragoni e Dino Giarrusso. La conclusione sarà affidata al direttore Maurizio Belpietro.
La maratona sarà visibile in streaming su www.laverita.info e su tutti i canali social ufficiali de La Verità. Un appuntamento da non perdere per chi crede nella forza delle idee, nella necessità di un confronto aperto e nella libertà di pensiero.
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