
Azzardato l'ok del Comitato di bioetica alla cura che ferma la crescita degli adolescenti sessualmente indecisi. È solo sperimentale, minaccia la salute e non risolve il disagio. Anzi, siamo al limite di un «abuso sui minori».Una pericolosa imprudenza, con potenzialità dannose imprevedibili per la salute dei ragazzi: definirei in questo modo il parere del Comitato nazionale per la bioetica che ha dato voto positivo all'uso «off label» di un farmaco (triptorelina) in grado di bloccare lo sviluppo puberale degli adolescenti affetti da «disforia di genere». Fuori dal coro, solo tre voci: due astensioni e un voto contrario, quello della professoressa Assuntina Morresi, motivato dalla oggettiva carenza di sicurezza scientifica circa le conseguenze di questa terapia, ancora ampiamente «sperimentale». Che cosa è la disforia di genere? Già a partire dalla definizione e dalla descrizione empirica i pareri della comunità scientifica non sono affatto univoci. È una condizione che il Dsm V (Manuale diagnostico e statistico dell'Associazione psichiatri americani) definisce «disordine mentale» che provoca nel soggetto una dolorosa condizione di disagio che nasce dal percepirsi «imprigionato» in un corpo sessuato (geneticamente e biologicamente) che non gli appartiene, e vorrebbe «trasformarsi» nel sesso opposto (da maschio a femmina e viceversa). La causa? Ignota, e quindi la discussione sulla etiopatogenesi è apertissima, oscillando fra cause rigorosamente cliniche (psicopatologia organica? Endocrinopatia? Condizione o disturbo?) e questioni di carattere antropologico (autoderminazione? Apprendimento sociale?). La psicodinamica, cioè i fattori motivazionali di fondo, non sono per nulla chiari né definiti.Data questa premessa, trovandosi di fronte a un/una adolescente che manifesta queste problematiche, in alcuni Paesi (e ora anche in Italia) si propone di bloccare lo sviluppo puberale, utilizzando farmaci che contrastano l'azione degli ormoni sessuali (androgeni o estrogeni), col miraggio o di risolvere il conflitto o di prendere tempo per monitorare l'evolversi del disturbo. Ora, è accettabile un'argomentazione tanto nebulosa, quando dall'altra parte ci sono rischi concreti e oggettivi di provocare un danno alla salute del ragazzo? L'utilizzo di sostanze che bloccano la funzione ipofisaria, magari associata all'assunzione di ormoni opposti alla sessuazione genetico-biologica, ha ricadute negative sulla salute in generale (ipertensione arteriosa, diabete, cardiopatie, coagulopatie, stroke). L'esperienza dei Paesi in cui si sono applicati questi protocolli ha consentito di acquisire una letteratura scientifica che non si può ignorare. Il Dsm V riporta che il 98% dei maschi e l'88% delle femmine «gender confused», giunti all'età post adolescenziale accettano positivamente il proprio sesso originario. Fra gli adulti sottoposti a «riassegnazione sessuale» (ormoni più chirurgia) il tasso di suicidi è 20 volte più alto rispetto alla popolazione normale, anche nei Paesi più liberal in ordine alle condotte sessuali (vedi Svezia), chiaro segno di un disagio esistenziale globale che nemmeno l'agognata riassegnazione sessuale è stata in grado di risolvere. Infine la percentuale di coloro che, dopo aver cambiato sesso, chiedono di ritornare al sesso originario è molto alta, con tutti i problemi e disagi che questa marcia indietro comporta. In sintesi, utilizzando un farmaco che blocca lo sviluppo puberale, trattiamo di fatto la pubertà come se fosse essa stessa una malattia o fonte di malattia, mentre è vero l'esatto contrario: il nostro trattamento induce uno stato di malattia, cioè l'assenza di pubertà, inibendo la crescita fisiologica di soggetti che sono biologicamente sani.Se questo è l'aspetto strettamente medico-scientifico, nondimeno va affrontato un aspetto antropologico che ha un suo incontestabile peso. Proviamo a fermarci un istante a considerare l'aspetto affettivo-emotivo che caratterizza l'età adolescenziale. Non c'è nulla di più vago, discontinuo, mutevole, contraddittorio, instabile, rimodellabile all'infinito dell'«amore» adolescenziale. Come pensare di cristallizzare una scelta contingente, legata a una percezione di sé strutturalmente ondivaga - con altissima probabilità di revisione, come abbiamo già documentato - utilizzando farmaci in grado di «ribaltare» l'intero organismo del ragazzo? Dov'è finito il sacrosanto «principio di precauzione» che tanto invochiamo per gli Ogm e che poi misconosciamo affrontando questo terreno umano tanto complesso e delicato? Perché non utilizzare quella che Dietrich von Hildebrand definì «another intellectual key», una diversa chiave di lettura del problema? La biologia di questi adolescenti è «sana», mentre è la loro mente «malata» e questa deve essere accuratamente sondata e curata. Con una dose di «to care» certamente più alta e significativa del «to cure»! In più, che consenso veramente informato possono essere in grado di esprimere adolescenti e genitori immersi in una materia tanto complessa, delicata, coinvolgente, di fonte alla quale gli stessi medici possono esprimere molti più dubbi che documentate certezze?Forse proprio tenendo conto di questi aspetti, l'American college of pediatricians ha deciso di fare un'affermazione certamente forte e impattante: «Promuovere fra i ragazzi il cambiamento di sesso - per via ormonale e chirurgica - come pratica normale e salutare, è un abuso su minore» (Best for children, update 2017; prima edizione marzo 2016).Quindi, mi sia consentito un appello: lasciamo da parte ogni appartenenza ideologica, affrontiamo con «buon senso», saggezza e prudenza una questione in cui è in gioco il benessere, fisico e psichico, dei nostri figli. Le scorciatoie della superficialità, quanto quelle della rassegnazione all'ineluttabile, sono sempre soluzioni affrettate e dannose.
(Getty Images)
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