2018-06-19
«Attenta Europa, i migranti ti sfalderanno»
Dopo i Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz, anche un'autorità della storia come Niall Ferguson smonta la linea buonista e merkeliana del club di Bruxelles. Un progetto di integrazione così forzato e calato dall'alto da rischiare di produrre il risultato opposto.È destinata a sciogliersi come un ghiacciolo abbandonato sulla spiaggia, a liquefarsi come una fetta di torta gelato dimenticata sul tavolo. Cosa rischia di fare questa fine liquida e appiccicosa che neppure Zygmunt Bauman poteva prevedere? «L'Europa e quel suo crogiolo di razze e di popoli in cammino che solo vent'anni fa lasciava presagire la felicità assoluta». Meglio precisare subito: non è l'ultima eccentrica teoria di Matteo Salvini declamata su Facebook e neppure il trentesimo punto del programma presentato da Luigi Di Maio agli elettori sulla piattaforma Rousseau per approvazione. Non è roba che si possa gettare nel cassonetto della differenziata con il triste birignao dipinto sui nasi radical chic della sinistra evoluta e indignata.È il senso di un saggio pubblicato dal Sunday Times, dal titolo «Melting pot is melting down» («Il multiculturalismo europeo si sta sciogliendo», con un gioco di parole che non rende in italiano), scritto da un signore che difficilmente passa inosservato quando prende una penna in mano: Niall Ferguson, uno dei più prestigiosi storici viventi, un britannico cocciuto e raffinato che se non fosse seduto sulla cattedra di storia moderna all'Università di Harvard se ne starebbe volentieri (per sua ammissione) nella postazione di mitragliere su una Fortezza volante in missione notturna nel 1944 sui cieli della Ruhr. Ferguson ha sganciato la sua provocazione culturale e anche per i giovani turchi del Pd e le signore già a Capalbio con pareo di shantung e binocolo (per avvistamento migranti) è molto difficile dargli del cretino prima di leggere.«Centodieci anni fa l'inglese Israel Zangwill definì il Melting pot. E celebrò gli Stati Uniti come un crogiolo gigante nel quale si fondevano celti e latini, slavi e tedeschi, greci e siriani, neri e gialli, ebrei e gentili, per formare un unico grande popolo», parte da lontano Ferguson. Per arrivare al dunque: «Un'immagine simile era balzata agli occhi all'inizio di questo secolo davanti all'Unione europea. Ma l'afflusso dei migranti da tutto il mondo sta avendo esattamente l'effetto opposto. Le migrazioni saranno il solvente fatale che farà sciogliere l'Unione europea e la Brexit è stata solo il primo sintomo della crisi».Ferguson non è nato a Pontida, non vota Lega, non ha chiesto il reddito di cittadinanza e probabilmente non ha mai visto Beppe Grillo su un palco, ma parla da studioso e guarda caso sottolinea con stile dottorale ciò che una maggioranza definita di «barbari gialloverdi» sta provando a ripetere tra i fischi dell'establishment col broncio. L'articolo è illuminante: si passa dal definire «fallimentari» le politiche sull'immigrazione fortemente volute da un'Europa prigioniera del dirigismo di Angela Merkel al promuovere le ultime azioni italiane perché più convincenti, più comprensibili da parte dei cittadini. Si sottolinea lo scollamento fra il potere dei governi e le paure dell'uomo qualunque costretto a subire progetti di integrazione così forzati e così calati dall'alto da trasformarsi in lunari progetti di disintegrazione. Ferguson punta il dito contro l'accoglienza globalistico-liberale, contro l'abbraccio diffuso per niente condiviso e interiorizzato che sta facendo tremare gli antichi palazzi dei grandi d'Europa, a cominciare dalla stessa Germania. Dopo la decisione di Salvini di chiudere i porti italiani in senso dimostrativo, il primo discorso di comprensione se non di solidarietà è arrivato proprio da Berlino, dove la Cdu - alleato vitale per la Kanzlerin - minaccia di lasciare l'esecutivo se non saranno rivisti in senso restrittivo gli accordi sui clandestini provenienti dall'Africa. Sarà anche un tema scomodo, un tema ruvido con accenti urticanti, ma è un tema. Che ha nitidi profili visto da Harvard, ma fumose reazioni fra le anime belle dell'accoglienza diffusa «senza se e senza ma». Lo studioso analizza la vicenda dell'Aquarius come simbolo di una svolta, un cambio di passo e un grido di dolore insieme «per evitare che il sogno si sciolga definitivamente».È curioso che tutto questo venga archiviato acriticamente come spazzatura. Perché, come direbbe José Mourinho, «mister Ferguson non è un pirla». Ma non lo è neppure Paul Krugman, economista premio Nobel celebrato dalle folle progressiste fino a quando non ha avuto l'ardire di commentare che «il debito pubblico non deve essere un dogma, un paese in crisi si deve risollevare uscendo dai parametri». E non è un pirla neanche Joseph Stiglitz, altro Nobel, quando sostiene che «l'euro è un esperimento andato male» e preannuncia «più sofferenza e più disoccupazione per l'Italia, in cui un governo euroscettico è il minimo della reazione che si poteva immaginare». Se lo dicono Alberto Bagnai e Claudio Borghi , il querulo Carlo Calenda chiama l'ambulanza.Krugman, Stiglitz, giganti che improvvisamente diventano nani, vengono lasciati sul ballatoio e non hanno diritto di parola semplicemente perché analizzano ciò che passa davanti al naso di tutti. «Ceci n'est pas une pipe», alla René Magritte, e non c'è nulla di surreale. A chi si volta dall'altra parte e prefigura apocalissi divine, Ferguson dalla torretta del B29 ha ancora qualcosa da dire: «La fusione può essere ancora una buona opzione per gli Stati Uniti. Per l'Europa temo invece che il futuro sia una fissione, un processo così esplosivo da relegare la Brexit fra le note a pié di pagina della storia».
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)