2021-07-10
«Il calcio è come il vino: tradizione e lavoro»
Nevio Scala (Getty Images-IStock)
Nevio Scala, per 60 anni nel mondo del pallone da calciatore e allenatore, ora fa l'agricoltore: «La cucina veneta parla prima al cuore e poi allo stomaco. Cibi e piatti ciàcolano in dialetto. La mia è una produzione senza chimica, coltivazioni sane e uva bio».«Questa nazionale mi emoziona. Era tanto che non vedevo una squadra azzurra di così alto spessore tecnico e coinvolgente. Come si concluderà la finale di domani? Secondo me l'Italia può arrivare sul gradino più alto del podio. Merito di Roberto Mancini con il quale sono in costante contatto telefonico». La profezia della finale europea è di un contadino che, giocando e allenando, ha masticato calcio per 60 anni: Nevio Scala, 74 anni a novembre, globetrotter del fubal- come chiamano il calcio in Veneto. Papà mezzadro, nonno contadino, Nevio dopo aver viaggiato su e giù per i meridiani e i paralleli del pallone ora fa l'agricoltore pure lui nella tenuta di Valbona, comune di Lozzo Atestino, ai piedi dell'ultima propaggine a sud-ovest dei Colli Euganei padovani. Cresciuto a pasta e fasioi e calcio, polenta e renga e pallone, pan biscoto con salame e palleggi, Nevio Scala racconta la sua personale storia della tavola. È quella della cucina tradizionale veneta che, dice lui, parla prima al cuore e poi allo stomaco. Cibi e piatti che ciàcolano in dialetto. «Se cresci con una mamma come la mia, cuoca bravissima, impari a parlare come mangi. La nostra era una famiglia povera, ma a casa si mangiava da ricchi: pasta e fagioli, faraona arrosto, spiedo di selvaggina. Tutti piatti ghiotti, genuini. Allevavamo gli animali indispensabili in ogni fattoria veneta che si rispetti: galline, maiale, tacchini, oche. Avevamo uova, salami, lardo, carni bianche. L'orto ci forniva le verdure di contorno: spinaci, verze, insalata, pomodori, cetrioli, zucchine e i fagiolini che in Veneto sono chiamati tegolìne. Anche i campi e i colli vicini donavano con generosità erbe stagionali da mettere in tecia, in padella: pissacani ovvero radicchi di campo, sparasine, asparagi selvatici, bruscandoli, che sono i germogli del luppolo selvatico, e le fantastiche rosole del papavero. Una bontà».La cucina casalinga è sempre stata un irresistibile richiamo per il giramondo del pallone. Nei dodici lustri di splendida carriera come calciatore e poi come allenatore (con gli scarpini ai piedi ha vissuto a Milano, Roma, Vicenza, Firenze, Foggia, Monza e Adria; come mister a Reggio Calabria, Parma, Perugia, Dortmund nella Renania-Vestfalia, Istanbul in Turchia, Donec'k in Ucraina e Mosca in Russia) ha visto anche l'evoluzione dei piatti serviti ai campioni. «Il menu è molto cambiato nel tempo. Noi si mangiava di tutto, dal risotto alla parmigiana al filetto al baccalà, frutta... La dieta prevedeva molta carne. La carne fa sangue e muscoli, si diceva. L'unica attenzione stava nel non abbuffarsi poche ore prima della partita. Si scendeva comunque in campo con un «mattoncino» nello stomaco, però giocavamo lo stesso. Ora l'alimentazione dei giocatori è studiata dai dietologi e medici che dettano menu stagionali. Adesso, nei giorni prima della partita della domenica, sono previsti solo carboidrati: pasta condita con olio, pomodoro, verdure. Per mantenersi in forma, un'atleta di qualità mette al bando sughi grassi e pesanti. La carne rossa è prevista, ma contata e mai insieme alla pasta».Nevio Scala è tornato alla sua terra con l'intenzione di restarvi. Campi da coltivare, non da calpestare con il 3-4-1-2 o con il 3-2-3-2 o con qualsiasi altro algoritmo calcistico. Due figli, Sacha e Claudio, una moglie tedesca, Janny, conosciuta a vent'anni a Sottomarina, che ha introdotto qualche piatto tedesco tra quelli della tradizione veneta. Per non parlare dei prodotti tipici conosciuti e apprezzati nel favoloso periodo passato a Parma dove Nevio guidò la squadra gialloblù dalla serie B al cielo delle coppe europee: culatello, prosciutto, parmigiano.L'ex giocatore - uno scudetto e una Coppa Campioni con il Milan - ha una ragione in più per lasciare l'àncora calata nel porto di Lozzo: il vino. Alle coltivazioni di tabacco, barbabietole, grano e soia («la mia agricoltura multirazziale», la chiama) è stata aggiunta la vite. Uva biologica. Sana. Senza chimica. «A parte il tabacco», proclama orgoglioso l'ex campione, «è tutto bio». E aggiunge con l'entusiasmo di chi ha visto i marziani scoprendo che è brava gente: «Sono tornati persino i lombrichi».Da buon contadino dice pane al pane e vino al vino rifiuta il francesismo vigneron, anche se fa fico, preferendogli l'evangelico «vignaiolo». Non cerca meriti che non gli appartengono: se la «Società agricola Nevio Scala» ha aggiunto anche l'aggettivo «vitivinicola» il merito è del figlio Claudio che lo ha tampinato fino a convincerlo che fare il vino non era una moda o un modo per fare più soldi, ma l'atteggiamento giusto, onesto e biblico per far fruttare la terra e rallegrare la vita degli uomini: «Egli (Dio) fa uscire dalla terra il nutrimento: il vino che rallegra il cuore dell'uomo, l'olio che gli fa risplendere il volto e il pane che sostenta il cuore dei mortali» (salmo 104). «Il legame con questa terra esiste da quando sono nato. La nostra famiglia si trasferì qui nel 1929 quando nonno Angelo, veronese di Pressana di Minerbe, ponendo un'incauta firma d'avvallo su un documento, per aiutare un amico, si rovinò. Scappò qui con la famiglia. Papà, mezzadro dei conti Albrizzi, continuò il lavoro nei campi in affitto. Grazie al calcio ho potuto acquistarli. È una bella terra e bella è l'azienda, ma non avrei mai pensato di diventare un vignaiolo. Claudio, che fa il docente universitario a Bressanone, dov'è ricercatore pedagogista, ha come me questa terra nel sangue. Una decina di anni fa si fece avanti: “Papà, perché non piantiamo viti?". Gli chiesi se stava scherzando, lavoro ne avevamo più che a sufficienza. Alla fine gli ho dato retta. Nel 2014 abbiamo piantato le prime viti».Dicendo addio al pallone... «No. Vivo sempre nel mondo del calcio anche se non è più il lavoro principale». Scala applica al vino la stessa filosofia del football, la stessa logica con la quale rivoluzionò il mondo del pallone facendo vincere a una squadra che veniva dalla B, il Parma appunto, Coppa Italia, Coppa delle Coppe, Supercoppa Uefa e Coppa Uefa. «È il mio modo di vedere la terra come il calcio: lavoro, ordine e pulizia. Solo cose pulite semplici: mani e mezzi agricoli, niente veleni. Questa la filosofia, questa la passione».Non vuole Prosecco nella cantina che sta costruendo il figlio Sacha, architetto, ristrutturando barchessa, stalla e fienile di un vecchio casolare. «Sarà una cantina completa di sala di degustazione e laboratorio di analisi. Perché ho detto no al Prosecco che garantisce buoni guadagni? Perché non mi interessa far soldi, ma fare quello che mi piace. Il Prosecco non rientra nella nostra filosofia. L'azienda è biologica e l'uva della quale siamo innamorati è l'eclettica Garganega. A mano a mano che gli ettari vitati aumentavano, abbiamo messo a dimora altri vitigni: Merlot, Cabernet e varietà autoctone che si stavano perdendo».Anche nel fare il vino mister Nevio Scala recupera la storia. Ecco la formazione delle uve in campo messe in campo: accanto alle fuoriclasse garganega, merlot, cabernet franc, moscato giallo, moscato bianco, malvasia istriana giocano le indigene recantina, corbinona, turchetta, pataresca. Manca l'11° giocatore... «C'è. È il regista: la passione, la voglia di fare le cose bene, puntando alla qualità. L'aspirazione di realizzare vini puliti, interessanti. Ne facciamo cinque: Dilètto, un bianco fermo; Gargànte, bollicina rifermentata in bottiglia; Cónteme, rifermentato sulle bucce (il nome, dialettale, corrisponde all'italiano “raccontami"); un bordolese rosso che abbiamo chiamato 999, per il numero delle bottiglie prodotte il primo anno e perché così si chiama l'associazione culturale creata dai miei figli. Da un paio d'anni produciamo il Monemvasìa Sollucchero con la malvasìa istriana». se la scommessa di Scala sulla nazionale sarà vincente, domani non mancheranno i vini per brindare.