2020-09-02
Nel Pd si pensa già al dopo sconfitta. Bonaccini ora punta alla segreteria
Giorgio Gori e Stefano Bonaccini (Ansa)
Se arriva la batosta elettorale, Nicola Zingaretti verrà messo da parte. Contro di lui si muove una fronda guidata da Giorgio Gori, Matteo Orfini e Gianni Cuperlo, con Vincenzo De Luca testa d'ariete e il governatore emiliano come successore designatoI sondaggi sulle Regionali danno come risultato più probabile un 4 a 2 per la destra con vittorie in Veneto, Liguria, Marche e Puglia. Se fosse 5 a 1, verrebbe giù il governoLo speciale contiene due articoliCon chi ce l'ha Nicola Zingaretti? A chi è rivolto il suo messaggio? Cosa teme il quasi ex segretario del Pd? La Verità ha interpellato fonti molto autorevoli dei dem, per tentare di capire cosa abbia spinto il pupillo di Sharon Stone a indirizzare a Repubblica quella lettera che sembra da un lato un voler mettere le mani avanti di fronte alla probabile sconfitta della sinistra alle regionali, dall'altra un tentativo di spegnere le tante voci interne che, invitando a votare no al referendum sul taglio dei parlamentari, stanno fondamentalmente lavorando per far cadere il governo guidato da Giuseppe Conte: se i contrari alla sforbiciata di senatori e parlamentari prevalessero sui favorevoli, infatti, il M5s salterebbe per aria trascinando con sé l'esecutivo.Partiamo da un punto chiave: le regionali. Quale risultato viene considerato accettabile dai dem? «Con due regioni vinte», spiega una fonte governativa di primo piano, «potremo dire di aver retto bene. Se finisce 3-3 sarà una vittoria». Proviamo a tradurre dallo sconfittese democratico: il 4-2 significherebbe vittoria del Pd in Toscana e Campania e sconfitta in Puglia, Marche, Veneto e Liguria. Visto che si parte da un 4-2 per il Pd (che governa attualmente Campania, Toscana, Puglia e Marche, mentre il centrodestra Veneto e Liguria) già si comprende bene che in casa dem tira una brutta aria. Verrebbe infatti considerata addirittura una vittoria conservare Toscana, Campania e Puglia, dunque perdere le Marche. Il problema però è che, al di là degli equilibrismi dialettici, l'unico candidato del Pd che gode effettivamente dei favori del pronostico, vale a dire Vincenzo De Luca, tutto è tranne che un fan di Zingaretti. Ricordiamo che fino all'esplosione dell'epidemia, lo stesso Zingaretti stava lavorando alacremente, in combutta con i grillini, per affondare la ricandidatura di De Luca, sostituendolo con il ministro dell'Ambiente Sergio Costa del M5s. Il Covid ha cambiato lo scenario, ma De Luca non dimentica, e non a caso ogni volta che può randella Zingaretti e tutto il governo. Proprio De Luca è uno dei big del Pd sui quali punta Stefano Bonaccini, presidente dell'Emilia-Romagna, per scalzare Zingaretti e diventare il nuovo leader dei dem. Bonaccini, dopo la vittoria dello scorso gennaio contro la leghista Lucia Borgonzoni, ha messo nel mirino la segreteria del partito, e ora aspetta solo il momento giusto per scendere in campo nei panni del salvatore della (povera) patria democratica. «Bonaccini», rivela una fonte parlamentare di lungo corso, «sicuramente punta alla segreteria, ma quello di Zingaretti è un messaggio rivolto a quelli che stanno lavorando per il no al referendum e a quelli che non si stanno impegnando per le regionali. Più che altro, Nicola ha tentato di stringere i bulloni. Con chi ce l'ha? Sindaci come Giorgio Gori, parlamentari come Matteo Orfini e Gianni Cuperlo, e negli ultimi giorni anche quelli di Base riformista». Base riformista, lo ricordiamo, è la corrente del Pd che fa capo al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e all'ex ministro Luca Lotti. «Quelli che hanno criticato il ragionamento di Bettini», aggiunge la fonte, «stanno aspettando la sconfitta per far fuori Zingaretti». Il ragionamento di Goffredo Bettini, guru democratico, ex nume tutelare di Zingaretti, è che l'alleanza tra Pd e M5s vada rinsaldata, e che Matteo Renzi debba farsi carico di federare un'area moderata che possa unirsi a Dem e grillini. Chi ha criticato Bettini? Esattamente gli stessi che lavorano per il «no» al referendum e che le nostre fonti accusano di minare la segreteria di Zingaretti: Orfini, Gori, Cuperlo, Maurizio Martina, Base riformista. Andando più in profondità, tra i dem c'è scontento per la strategia di Giuseppe Conte, che si è completamente defilato sia dalla battaglia per le regionali che dal palcoscenico politico in generale, cercando inutilmente di tenersi lontano dalla probabile sconfitta: «Il rapporto con Conte», rivela un big del Pd, «si è molto raffreddato, inutile negarlo. Si fa i fatti suoi, non è riuscito a favorire l'alleanza con il M5s alle regionali, pensa solo a evitare di restare travolto da una eventuale sconfitta». Un tentativo maldestro quanto grossolano: se la sconfitta diventerà catastrofe, ovvero se la sinistra manterrà solo la guida della Campania, al di là di quello che sarà l'esito del referendum sul taglio dei parlamentari, la sorte di Giuseppi sarà segnata: dimissioni e consultazioni. L'unica certezza di questo settembre così politicamente incandescente è che la battaglia in Toscana della candidata leghista del centrodestra, Susanna Ceccardi, va molto al di là della elezione del presidente della Regione: se il centrodestra la spunta cadrà il governo. Se poi si andrà a votare oppure si riuscirà a trovare in Parlamento una maggioranza che sostenga un nuovo governo e un nuovo presidente del Consiglio, è tutta un'altra storia, anche perché, non dimentichiamolo mai, l'Europa farà di tutto per mantenere in vita questo parlamento, dove i sovranisti non hanno la maggioranza, fino all'elezione del prossimo presidente della Repubblica, nel gennaio 2022. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nel-pd-si-pensa-gia-al-dopo-sconfitta-bonaccini-ora-punta-alla-segreteria-2647426263.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-toscana-si-va-verso-il-testa-a-testa" data-post-id="2647426263" data-published-at="1598983428" data-use-pagination="False"> In Toscana si va verso il testa a testa L'uno due tosco-marchigiano rischia di mandare al tappetto il Pd. I sondaggi s'addensano come neri presagi sull'astuto Nicola Zingaretti, la testa più lucida del centrosinistra. Giuseppe Conte non può stare tranquillo. Nelle urne del 20 e 21 settembre la sua maggioranza posticcia potrebbe sfaldarsi come una medusa sulla battigia settembrina dove Beppe Grillo che sperava in una sinergia elettorale pidistellata potrebbe spiaggiarsi contemplando un cielo senza stelle. Il risultato più probabile è un 4 a 2 con il centrodestra sicuro di vincere in Veneto, Liguria, Marche e Puglia; se crolla la diga rossa in Toscana diventa 5 a 1 e a Roma - anche Sergio Mattarella impedendo - viene giù tutto. Tre giorni fa Nando Pagnoncelli (Ipsos) dalle pagine del Corsera ha fatto infuriare i leghisti con Nicola Molteni pronto a querelarlo e Claudio Borghi deciso a snobbarlo come «rilevatore a gettone» perché in Campania dà la lista di Salvini al 3% con Vincenzo De Luca (Pd) in testa di venti punti su Stefano Caldoro (Forza Italia) in una non partita 50,4 a 29 prendendo i massimi di entrambi, ieri ha gettato nello sconforto tutto il Pd certificando che nelle Marche Francesco Acquaroli deputato di Fratelli d'Italia e imposto al centrodestra da Giorgia Meloni supera di oltre 13 punti il candidato del Pd Maurizio Mangialardi. Il Sole 24 Ore accredita ad Acquaroli un vantaggio di 16 punti collocandolo oltre il 50%. Per il Pd perdere le Marche dopo un quarto di secolo di dominio sarebbe una catastrofe. Non ha ricandidato per volere di Matteo Ricci uomo forte del Pd nazionale in una faida tutta pesarese il presidente uscente Luca Ceriscioli, ha sperato come Giuseppe Conte fino all'ultimo in un'alleanza con i pentastellati (qui dimezzerebbero i voti passando dal 21 al 9%) e si ritroverebbe relegato a un'opposizione misera: se scatta il premio di maggioranza avrà al massimo 7 consiglieri su 30. Perdere l'egemonia fa male. Ma fa malissimo se si considera che tutto il centro Italia (Lazio a parte dove non si vota, ma dove Nicola Zingaretti come capo del Pd potrebbe essere il primo sconfitto) si libererebbe dal rosso. Un anno fa l'Umbria è andata a Donatella Tesei in quota Lega spazzando via mezzo secolo di egemonia sinistra, le Marche sono avviate sulla stessa strada, ma ha del clamoroso il probabile ribaltone in Toscana. Fino a due settimane fa Eugenio Ciani (Pd) era dato per vincitore, ma oggi Susanna Ceccardi, eurodeputata della Lega e già ottimo sindaco di Cascina, vede la vittoria. Tekné ha stimato che il massimo della forchetta della Ceccardi (43%) tocca il minimo di Giani (che ha un top di 47%) ma Il Sole 24 Ore con Winpoll- Cise vede i due sostanzialmente in pareggio (Ceccardi 42,5, Giani 43%). A Palazzo Chigi già si segnalano attacchi di panico. Perché è scontato che Luca Zaia in Veneto (viaggia oltre il 76,8% e l'unica curiosità è stabilire se la sua lista batterà quella della Lega) asfalterà Luca Lorenzoni Pd dato al 15 con i grillini non pervenuti, e Giovanni Toti in Liguria, governatore uscente di centrodestra, s'appresta ad affondare l'unico candidato «giallorosso» Ferruccio Sansa. I sondaggi li danno 60 contro 34, peraltro chiamarsi Sansa che è lo scarto dell'extravergine di oliva in Liguria non aiuta. Dall'olio ligure a quello pugliese il risultato non cambia. Anche qui Raffaele Fitto (centrodestra voluto da Giorgia Meloni) secondo Tecné è in testa di 3 punti rispetto a Michele Emiliano (43 a 40 considerando i massimi) con l'unica performance di rilievo per i grillini che piazzerebbero Antonella Laricchia al 18%. Da questo quadro emerge come certo un 4 a 2 per il centrodestra, se crolla la Toscana diventa 5 a 1 ammettendo che De Luca tenga in Campania. E poi c'è la Valle d'Aosta; non si elegge direttamente il presidente, ma la Lega è data oltre il 38%. Così un battito di Lega ad Aosta diventa uno tsunami a Palazzo Chigi. Anche perché tutti i sondaggi dicono che approssimandosi il settecentenario di Dante dalle urne si uscirà senza riveder le (cinque) stelle.
Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
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