2021-06-26
Nel mondo di Zan retorica e capricci vincono sui diritti
Non tutte le pretese degli individui possono essere soddisfatte.Il ddl è incostituzionale e attribuisce al giudice troppo potereLa cultura che si costruisce sul teatro della storia produce differenze, diversità, gerarchie pur nel rispetto della comune dignità dell'essere umano. Il mondo di Zan è invece un mondo di uguali e l'uguaglianza presuppone omogeneizzazione, livellamento, abolizione delle differenze. Non è un caso che anche le femministe siano contrarie a far parte del mondo di Zan. Il femminismo, infatti, si struttura come una dimensione propositiva e identitaria, presupponendo l'affermazione delle proprie qualità naturali. È un modo di rivendicare, dalle suffragette in poi, la dimensione di «homo» (persona, essere umano, in tedesco «Mensch») che spetta sia all'uomo sia alla donna.Dietro l'ideologia di Zan si nasconde invece – legittimazione universale – la retorica dei diritti, l'idea, cioè, che al principio vi siano le pretese di ciascuno ad avere ciò che soggettivamente egli «sente» che gli spetti, indipendentemente da ogni corrispettivo di dovere e di obbligo verso la società. Nulla a che fare con i diritti politici e sociali, che, infatti, erano espressione di un pensiero oggettivista, discutibile ma radicato in una prospettiva storico-culturale; questi nuovi diritti sono puramente soggettivi: ma, si badi, non è affatto l'individuo il soggetto, ma il capriccio dell'individuo: non a caso il ddl Zan parla di «identificazione percepita di sé» (art. 1, lett. d). È l'arbitrio al potere, che frammenta la persona umana e crea schegge di uomo, della «cosa» nella sua dimensione contingente e soggettivista, ovvero come categoria: non un «uomo in mare», per esempio, che va prontamente salvato, ma un «barcone di migranti» (telecomandato), e non l'uomo va salvato, ma il «migrante», omologo del «gay», del «trans», e via dicendo. La qualifica prevale sul soggetto.I giuristi di regola definiscono il diritto come una «tecnica» per tenere in ordine la società regolando la sfera esterna delle azioni dei cittadini. Quello che nel diritto anglo-sassone si chiama il «rule of law», il governo della legge, è considerato la maggior conquista di civiltà dell'epoca moderna perché garantisce non solo che tutti siano sottoposti ad una legge uguale e non all'arbitrio di uno o di pochi, ma che sia garantita anche, attraverso l'uguaglianza formale (le regole «generali e astratte»), una separazione tra la norma giuridica e la sfera interiore dei singoli, che possono dunque avere idee, opinioni, convinzioni differenti senza che il diritto, la regolazione esterna, si intrometta nella coscienza privata. A fondamento della modernità sta non a caso il Leviatano di Thomas Hobbes (1588-1679), ovvero del teorico di una sovranità che per quanto poi limitata dalle tecniche del costituzionalismo liberale, già in origine, pur essendo assoluta, non poteva entrare nel «foro interno» dei singoli, nella loro libertà di coscienza. Il passaggio dallo Stato assoluto di Hobbes al costituzionalismo moderno sta nel fatto che queste idee possono oggi, nello Stato di diritto, anche essere manifestate senza che il sovrano di turno tagli teste a nessuno.Sappiamo tutti che il costituzionalismo è in crisi e che il principio di legalità dello Stato di diritto soffre da tempo, ma ha perfettamente ragione un fine giurista come Natalino Irti quando, richiamandosi all'art. 25 della Costituzione, che afferma il principio di legalità, critica gli esiti incerti (ma a mio avviso voluti) della legge, che sottrae potere al legislatore e lo trasferisce al giudice, mentre soltanto alla legge «e non al giudice spetta il terribile potere di segnare il limite della libertà, e di fissare le azioni proibite» (Sole24 ore, 3.6.2021). Quando si tratta di punire, la fatidica fattispecie della dogmatica giuridica è fondamentale per garantire la libertà, che «ama la incisiva chiarezza del limite, e si intorbida e vacilla quando la parola della legge è vaga e nebbiosa: libero è soltanto colui che conosce con sicurezza il proprio spazio di vita» (Irti).Temo tuttavia che Irti sia troppo fiducioso sulla capacità della ragione di garantire le libertà concrete degli individui e non i «diritti» di astratte e sempre nuove categorie di soggetti, costruite dalla fantasia pseudo-libertaria di chi crede di fare la rivoluzione ed è invece al servizio del profitto. Siamo alle prese con il totalitarismo morbido di chi vuole educare con la propaganda dolciastra (la giornata contro l'omofobia che deve servire a foraggiare le organizzazioni lgbt che per tre anni dovrebbero controllare quel che accade in giro per l'Italia a spese del contribuente), instillando nelle coscienze tenere dei ragazzi il dubbio sulla propria natura, per poter consumare da grandi merci da donna e da uomo a seconda delle imposizioni del grande fratello; e quando queste non basteranno, con le sentenze dei giudici, che oramai hanno appunto come «codice» non la legge, ma le carte dei «diritti».Bisogna saper leggere i testi legislativi e prevedere quali conseguenze possono scaturire da un testo che in apparenza dice una cosa, ma, una volta nelle mani di un giudice, in «combinato» con un'altra norma, semmai di un ordinamento sovranazionale (per esempio l'Unione europea o il Consiglio d'Europa), o con un «principio» posto autonomamente a base di questa o quella corte costituzionale in giro per il mondo, dice un'altra cosa anche opposta. Il ddl Zan non si limita, infatti, integrando l'esistente legge Mancino, a punire chi picchia un'altra persona o la offende con epiteti legati anche alla sua condizione, per di più strutturalmente vaga (per come viene «percepita»): omosessuale, nero, «bi» o «trans». Nella civiltà occidentale si punisce chi aggredisce un'altra persona stabilendo, eventualmente, oltre al tipo di reato, delle aggravanti connesse a circostanze specifiche che possono anche riguardare le «proprietà» della persona; ma sempre nella civiltà occidentale, dove si sono combattuti i totalitarismi duri, non si può, se si vuole restare civili, da un lato proporre e imporre uno standard, dall'altro impedire che si possa dubitare che quello standard sia giusto e lottare per un altro.Giornalisti come Massimo Giannini contestano che la legge dica questo e anzi si richiamano all'ipocrita intitolazione dell'art. 4: «Pluralismo delle idee e libertà delle scelte». Sembrerebbe quasi una riaffermazione dell'art. 21.1 della costituzione sulla libertà di manifestazione delle idee. E invece il testo gioca esattamente a favore della vaghezza e incertezza criticate da Irti, tant'è che di fatto la legge (ordinaria) si sostituisce surrettiziamente alla legge superiore e la modifica: la libertà di manifestazione del proprio pensiero viene infatti sottoposta alla condizione (in ciò è evidente la incostituzionalità della norma, dal momento che la costituzione limita la libertà solo a manifestazioni «contrarie al buon costume»: art. 21.4) che la «libera espressione» e «le condotte legittime» non siano «idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti».Si badi: «concreto pericolo», non atto. Qui non si punisce l'aggressione di un balordo ad una coppia gay perché gay; anzi, a dire il vero, a questa legge interessa poco o niente che non si verifichino atti del genere, che infatti sono oggi rari; a Zan e ai suoi sodali interessa che vengano puniti quelli che non fanno parte del suo mondo, per esempio un teologo laico che sostenga che la famiglia vera è quella, prevista dalla costituzione, fatta da un uomo e da una donna, la cui maternità, non a caso, viene poi tutelata e protetta sempre dalla costituzione (artt. 31 e 37). O che venga denunciato, in base a questa legge, un privato che crede alla lettera nei tanti divieti sessuali contenuti nella Bibbia ebraica, o un prete cattolico che dichiari la indissolubilità del matrimonio o che la sodomia è un'offesa a Dio. Dopo di che spetterà al giudice stabilire se tizio ha violato la legge del mondo di Zan e se merita di essere in qualche modo punito, in base alla legge Mancino novellata da Zan, per «istigazione alla violenza».E la libertà di religione? Questo forse è ancora un altro capitolo. Di certo possiamo dire che nessuno, nel mondo di Zan, metterebbe in dubbio la legittimità di una fatwa islamica o la necessità di coprire i genitali delle statue greche, togliere i crocefissi dalle scuole e forse buttar giù la Chiesa di San Petronio a Bologna per attentato alla libertà di religione perché lì Maometto vi è stato dipinto all'inferno e offende la sensibilità religiosa di un musulmano. Ma, appunto, si tratta dell'Islam e di Maometto, per i quali, in nome del «pluralismo», valgono altre regole.
Giorgia Meloni (Getty Images)
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