2021-03-14
Nel Lazio c’è un eden, ed è possibile visitarlo
I giardini di Ninfa sono una delle più incredibili oasi sul territorio nazionale: strappata alle paludi, questa località un tempo crocevia di anime erranti oggi è un piccolo paradiso rigoglioso attraversato da acque placide. Ed è aperto a tutti. Prenotando.Cosa esiste di più affascinante delle rovine di grandi edifici, città sepolte, grandi templi scoperti sotto le radici delle foreste tropicali, tombe di civiltà scomparse, cattedrali gotiche di cui restano solo le possenti pareti perimetrali? C'è un affamato e curioso Indiana Jones dentro di noi, spesso si accontenta di piccoli doni, di scoperte da salotto, chiesette diroccate, segni indecifrabili sulle pareti di una caverna, o magari di un'ammonite, un trilobite in fossile, un insetto imprigionato dentro una goccia preistorica di ambra che acquistiamo al bookshop del museo di storia naturale, tutte conquiste tascabili delle nostre esplorazioni quotidiane. Un altro modo per esercitare questa passione per mondi sconosciuti e dimenticati è quello di proiettarci in certi giardini, soprattutto se sono nati o rinati intorno alle rovine. È il caso dei giardini di Ninfa, oasi fra le più incredibili che custodiamo nel paesaggio monumentale italiano.Ninfa si trova nel Lazio, precisamente nelle campagne del comune di Cisterna di Latina. Il visitatore moderno deve prenotare la visita, ovviamente non in questi giorni di rinnovati lockdown. Anzitutto si troverà di fronte le mura di un castello e uno specchio d'acqua, un laghetto sorgivo che nasconde anche un segreto prezioso: pochi anni fa sono state trovate sul fondo le rovine di un antico tempio probabilmente costruito intorno al 200 a.C., insieme ad un ninfeo che diede nome al luogo. Oltre ci si immergerà in un abitato dalla lunga storia, in quel che ne rimane, ovviamente, e in quel che negli ultimi 100 anni è stato recuperato, talora restaurato ed edificato.Un secolo fa a Ninfa sorgevano soltanto resti di abitazioni abbandonate e diroccate. Un piccolo pioppo sparuto e pochi altri segni vegetali incerti. Esistono delle fotografie dello scenario. Risalendo i secoli qui sorgeva un villaggio agricolo ai tempi dell'Impero romano ma la sua fortuna si sostanziò grazie a Benedetto Caetani (1230-1303), eletto Papa Bonifacio VIII, che ne diviene proprietario a seguito della scomunica della famiglia dei Colonna. La famiglia Caetani si era staccata dal ramo principale, i Gaetani di Gaeta, e avevano cercato fortuna più a nord. Lungo la via pedemontana che univa Velletri e Terracina, Ninfa era un passaggio obbliga per i mercanti, immersa com'era in un territorio di paludi. Qui si poteva trovare acqua fresca, potabile e un minimo ristoro. La presenza delle paludi però rendeva il luogo suscettibile di diffusione di malattie ed infatti all'arrivo della peste la comunità viene spazzata via. Negli anni Venti del XX secolo i Caetani iniziano a recuperare alcuni edifici e a promuovere operazioni di bonifica, che avranno il sostegno del nuovo corso politico, con la grande scommessa delle bonifiche pontine volute da Mussolini, proprio su progetto del duca e ingegnere e futuro diplomatico Gelasio Caetani. I figli del fratello Roffredo, Lelia e Camillo, e la madre, Marguerite Chapin - cugina di un certo Thomas Stearns Eliot - decidono di dedicarsi ad un recupero sostanziale di Ninfa, finanziando opere edili e curando i nascenti giardini. Si parte da piante da frutto, da alberi tipici della regione, ovvero cipressi, pini e canneti, quindi gelsomini, magnolie, peonie, camelie, mimose, rose e calle. La seconda guerra mondiale lo trasformò in ritrovo di partigiani.Nel 1977 il casato si estingue. Viene istituita una fondazione che si occupa della gestione della riserva, dal 1976 oasi del Wwf e dal 2000 monumento naturale della Regione Lazio. A Ninfa le meraviglie non mancano, le prime fioriture si presentano già nel mese di febbraio, grazie ad alcune magnolie esotiche. Quindi c'è l'esplosione delle tante varietà di fiori che fanno di Ninfa uno dei più amati giardini d'Europa, premiato in molte occasioni. Esiste un vero e proprio corso d'acqua che lo attraversa, placido, adattissimo a raffigurare la famosa Ofelia del Millais che si abbandona nelle acque «verdi»: «C'è un salice che cresce storto sul ruscello e specchia le sue foglie canute nella vitrea corrente; laggiù lei intrecciava ghirlande fantastiche di ranuncoli, di ortiche, di margherite, e lunghi fiori color porpora cui i pastori sboccati danno un nome più indecente, ma che le nostre illibate fanciulle chiamano dita di morto. Lì, sui rami pendenti mentre s'arrampicava per appendere le sue coroncine, un ramoscello maligno si spezzò, e giù caddero i suoi verdi trofei e lei stessa nel piangente ruscello. Le sue vesti si gonfiarono, e come una sirena per un poco la sorressero, mentre cantava brani di canzoni antiche, come una ignara del suo stesso rischio, o come una creatura nata e formata per quell'elemento. Ma non poté durare a lungo, finché le sue vesti, pesanti dal loro imbeversi, trassero la povera infelice dalle sue melodie alla morte fangosa» (dall'Amleto, atto IV). Ora, non c'è bisogno di abbandonarsi al dolore dell'esistenza venendo a Ninfa, anzi, ou contraire, è luogo di riposo, ristoro e delizia. Potete inoltrarvi in un fitto bosco di bambù giganti, potete sbalordivi nel mezzo delle rovine di una delle sette chiese diroccate, anzitutto Santa Maria Maggiore, di cui rimane la facciata, restaurata recentemente, e due figure affrescate in abside. Alcuni sentieri ci accompagnano fra le abitazioni, e si può provare ad immaginare come fosse viver qui nel XIII secolo, quando chi arrivava era in groppa ad un cavallo e trasportava spesso merci di ogni tipo. Monaci erranti, pellegrini, uomini d'affare, soldati, cavalieri. Un mondo scomparso.Lo sparuto pioppo che abbiamo incontrato alcune righe fa, in un secolo ha succhiato molta acqua dal ruscello e si è nutrito così bene da diventare un vero e proprio monumento della natura, un albero monumentale fra i più maestosi del Lazio e della propria specie. Alla mia visita, cinque anni orsono, misurava in circonferenza di tronco 830 cm, uno dei più grandi d'Italia: a parte il pioppo di Curinga (10 metri), nelle Calabrie, rivaleggia coi due pioppi di Armarolo (Bo), due 8 metri e qualcosa, e un pioppo bianco del giardino monumentale di Fraforeano, a Ronchis (Ud). Ma i giardini ospitano anche altri grandi alberi e arbusti storici: lecci, un cedro, un faggio rosso, magnolie e camelie.