2020-05-10
Nel decreto niente taglio delle tasse. Ma aumentano i dirigenti pubblici
Nulla sulla pressione fiscale e sullo spostamento delle scadenze di giugno. In compenso spuntano fondi per creare videogiochi e, almeno fino a fine anno, il 20% in più di manager statali di seconda fascia.Il premier promette un «meccanismo semplificato» nel nuovo Dl. Il tempo però è già finito: la norma va scorporata e approvata per aiutare i lavoratori allo stremo.Lo speciale contiene due articoli.Ieri La Verità ha paragonato le 766 pagine della maxibozza di decreto cosiddetto «rilancio» (fino a qualche giorno fa, lo chiamavano «aprile») a Delitto e Castigo, per quanto il romanzo di Fëdor Dostoevskij si fermi a 650. Ecco, pur in un malloppo così impressionante, manca tuttora una parte letteralmente decisiva, e cioè quella fiscale. Non ci sono misure strutturali per la riduzione delle tasse, per incoraggiare le imprese ad assumere e investire, o le famiglie e a rilanciare i consumi. Né sono state ancora messe nero su bianco - e questo è ancora più incredibile - le decisioni del governo sui rinvii delle scadenze fiscali esistenti. Qua e là, spifferi e veline provenienti da Palazzo Chigi e dal Mef fanno capire che qualcosa ci sarà, ma per il momento non c'è nulla di fissato su carta. Giova ricordare che ci sono almeno tre aspetti su cui fare chiarezza. Primo: giugno è già un mese di ordinarie scadenze fiscali devastanti, inclusa la patrimoniale sugli immobili. Che fine faranno quegli adempimenti? Sono confermati o spostati? E, se spostati, differiti a quando? Secondo: sempre sul mese di giugno sono destinate a ricadere le scadenze rinviate nel marzo scorso, quando, come si ricorderà, proprio alla vigilia di un'altra data monstre, quella del 16 marzo, fu deciso un mini rinvio, salvo però ributtare brutalmente quegli adempimenti sulle spalle del contribuente prima dell'estate.In dettaglio, a marzo furono sospesi gli adempimenti tributari (diversi dai versamenti) in scadenza tra l'8 marzo e il 31 maggio: ma, a meno di novità, andranno effettuati entro il 30 giugno. Quanto ai versamenti tributari sospesi di chi beneficerà della mini moratoria fiscale determinata dal coronavirus, andranno compiuti in un unico colpo entro il 31 maggio (con l'unica alternativa di cinque rate mensili). Ricorderete anche l'altro atroce scherzo consumato a marzo, quando solo alle 18.40 di venerdì 13 (a studi professionali chiusi e a lockdown già avviato) il Mef comunicò il differimento della scadenza di lunedì 16 marzo. A quel punto, molti tentarono di revocare l'ordine di pagamento: ma una volta entrata nei canali telematici dell'Agenzia delle entrate, la disposizione di pagamento non poteva più essere fermata. Un'altra corda al collo è quella che riguarda le cartelle e gli altri carichi già affidati agli agenti della riscossione. Anche in questo caso scattò una sospensione dall'8 marzo al 31 maggio, ma occorrerà pagare tutto in un'unica soluzione entro il 30 giugno. Ecco: tutto questo secondo gruppo di scadenze sarà confermato o no? Terzo: in mancanza di un contrordine, che però richiede un atto normativo, l'Agenzia delle entrate è pronta a «sparare» 8 milioni e mezzo di atti, tra avvisi e cartelle. Il governo si deciderà a «disarmarla»? Su tutti e tre questi versanti, nelle 766 pagine non c'è ancora nulla. E, essendo oggi il 10 maggio, il livello di incertezza a cui le imprese sono sottoposte rischia di essere esiziale. Forse dalle parti di Palazzo Chigi e del Mef si sottovaluta il rischio che una valanga di aziende, schiacciate da questi e altri gravami, possano direttamente non riaprire. In compenso, nel grande assalto alla diligenza in cui i diversi dicasteri si sono scatenati, neanche si trattasse di una classica manovrina pre elettorale da Prima Repubblica, hanno trovato spazio le marchette più incredibili. Eccone alcune. A pagina 448 della maxi bozza trova posto (nell'ambito del Mise) un «Fondo per la produzione di prototipi di videogiochi - First playable fund» con dotazione iniziale di 10 milioni di euro, «per sostenere lo sviluppo dell'industria dei videogiochi a livello nazionale mediante l'erogazione di contributi a fondo perduto, riconosciuti nella misura del 50% delle spese ammissibili e per un importo compreso da 10.000 a 200.000 euro per singolo prototipo». Con tutto il rispetto, è evidente che qualcuno ha tirato fuori dai cassetti tutto quello che aveva, incluse proposte che poco hanno a che fare con un vero rilancio dell'economia. Basterà dire, come ammette la stessa relazione illustrativa, che «la quota di mercato dei videogiochi prodotti da imprese italiane rappresenta il 3,7% del totale». Morale: con questa mancetta, si pensa di cambiare di molto la situazione? E qualcuno pensa di far ripartire così il Paese? Ma il meglio deve ancora arrivare, con la consueta miniraffica di assunzioni nel settore pubblico. A pagina 531, si candida la Giustizia, che vorrebbe reclutare «un contingente di 1.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale di area II». A pagina 457, si incrementa di 300.000 euro (per tre volte: 2020, 2021, 2022) lo stanziamento in area Mise «al fine di avvalersi di un nucleo di esperti di politica industriale». Praticamente un'altra task force: se ne sentiva proprio il bisogno, visto che per ora ce n'erano attive «solo» 16. E a pagina 184 un'altra «sorpresina»: per il momento temporaneamente (fino a fine dicembre), si aumenta del 20% l'organico dei dirigenti pubblici di seconda fascia. Va infine segnalato che in un documento a parte trova posto la detrazione al 110% per ecobonus e sismabonus, che dovrebbe incentivare la messa in sicurezza antisismica degli edifici e la loro riqualificazione energetica.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nel-decreto-niente-taglio-delle-tasse-ma-aumentano-i-dirigenti-pubblici-2645962591.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="subito-una-legge-che-sblocchi-la-cig" data-post-id="2645962591" data-published-at="1589067879" data-use-pagination="False"> Subito una legge che sblocchi la Cig Non si riesce nemmeno a stabilire se si tratti di dolo, cioè di malafede, o di colpa, cioè di un mix di imperizia e negligenza. Ecco, doloso o colposo che sia, l'atteggiamento del governo giallorosso rispetto alle imprese sta raggiungendo livelli provocatori. Sin dall'atto di nascita, il secondo gabinetto di Giuseppe Conte era partito come un governo senza Nord e senza mondo produttivo, curvato sulla dimensione assistenzialista grillina, combinata con la propensione del Pd a curare la propria constituency elettorale residua, fatta essenzialmente di dipendenti pubblici e pensionati. Tutto il resto della società italiana (grandi imprese e industria, più l'immenso reticolo di lavoratori autonomi, partite Iva, piccolissime imprese, commercio e artigianato) è rimasto fuori, pressoché privo di rappresentanza. Ma dovrebbe esserci un limite a tutto. La sensazione è che ora lo si sia superato. Ad esempio, è noto che siano state proprio le aziende a farsi carico dei devastanti ritardi che si andavano (e si vanno tuttora) accumulando nell'erogazione della cassa integrazione ai loro dipendenti. E così queste aziende hanno anticipato il necessario. È stata la stessa Inps a dare la dimensione del fenomeno: «Dei beneficiari, 5,5 milioni (di trattamenti, ndr) sono già stati anticipati dalle aziende», mentre altri 600.000 lavoratori hanno ricevuto il denaro dall'istituto presieduto da Pasquale Tridico. Mettiamoci nei panni degli imprenditori. Per salvaguardare i dipendenti, hanno accettato di anticipare la cassa integrazione. Contestualmente, non hanno avuto certezze sul rinvio delle pesantissime scadenze fiscali. Restano ovviamente gli impegni con i fornitori. C'è l'ansia motivatissima di riaprire in grave ritardo rispetto ai concorrenti negli altri Paesi, con clienti destinati a prendere altre strade. Nel frattempo, la promessa liquidità bancaria si è rivelata una clamorosa beffa. E l'ultima disillusione è venuta leggendo le bozze del decreto «ex aprile» (ora cosiddetto «rilancio»), in cui i promessi 55 miliardi di «potenza di fuoco», che sarebbero dovuti in larga parte arrivare sotto forma di sostegni a fondo perduto, sono letteralmente evaporati, trasformandosi in un'impalpabile sequenza di microincentivi (spendi e investi tu, e poi lo Stato farà qualcosa). Per sovrammercato, è perfino partito un dibattito ideologico, di tipica impronta dirigista, sul tipo di controllo (se non di ingresso diretto) che lo Stato potrebbe vantare in cambio di queste briciole. Una provocazione dopo l'altra, a cui gli imprenditori hanno assistito con un'incredibile dose di pazienza e autocontrollo. Ora però il rischio molto concreto è che pazienza e autocontrollo si esauriscano. Per evitare che si superi una soglia intollerabile, è il caso che finisca almeno la tarantella relativa ai ritardi nella cassa integrazione. Non basta dire che la macchina pubblica ha dovuto far fronte in poche settimane a milioni di richieste: era del tutto prevedibile. Ieri Giuseppe Conte ha dato corso a un annuncio dei suoi, con i verbi sempre coniugati al futuro: «Nel prossimo decreto legge, introdurremo un meccanismo semplificato di erogazione della cassa integrazione, fondamentale per ampie categorie di lavoratori», ha detto. Anziché rimanere sul vago, sarebbe altamente consigliabile stralciare dalle 766 pagine del decretone la parte sulla cassa integrazione, infilarla in un decretino autonomo, convertirlo ultrarapidamente in Parlamento, in modo che non restino ulteriori margini di incertezza. A forza di scherzare con il fuoco, altrimenti, qualcuno finirà per rimanere ustionato.