2021-01-24
Nel bosco dei ricordi con Carlo Cassola, che sapeva scrivere della gente comune
Carlo Cassola (Marisa Rastellini/Mondadori via Getty Images)
Un autore che non si è mai interessato ai vincenti ma a chi affrontava una vita di fatiche. Con donne vitali e antimoderne.Nella mia biblioteca c'è uno scaffale dove ho allineato i titoli di uno scrittore che mia madre amava moltissimo, e che leggeva con passione. I suoi scrittori preferiti erano Enzo Biagi, Oriana Fallaci - sospetto che in qualche modo si sentisse un poco Oriana anche lei, come donna del suo tempo, indipendente, sempre piena di cose per la testa, spiccatamente criticona - e questo autore. Ogni tanto esce un articolo che ne ricorda il valore, oggi è semidimenticato ma da vivo era noto e molto letto, quel che noi chiameremmo bestseller e longseller, insomma il sogno di ogni editore, sia nelle sue stagioni che in questo nostro tempo in cui gli editori oramai sono anzitutto venditori, più che organizzatori di cultura. Alcuni titoli sono parte del patrimonio letterario che possiamo incontrare scorrendo le ambiziose antologie scolastiche di storia della letteratura italiana, altri no. In verità credevo di averne di più, qui ne ho otto titoli: il più celebre credo sia Il Taglio del Bosco. Quindi Un Cuore arido, Un Uomo solo, La Casa di via Valadier, Il Soldato, L'Uomo e il Cane, Il Superstite e Il Paradiso degli Animali. Cinque Rizzoli, un Mondadori, un Einaudi e un Club del Libro, quest'ultimo acquistato in bancarella sotto i portici di Torino, lo ricordo ancora perché è il libro di Carlo Cassola (1917-1987) che ho letto di più: Il Superstite. Ero convinto di avere anche Fausto e Anna e Il Cacciatore ma saranno fuori posto. Oppure semplicemente me li sarò immaginati.Le prime due volte che lessi Il Superstite vivevo ancora con mia madre, la Fausta, una donna davvero curiosa, i cui ricordi, se fossi anche soltanto un mediocre romanziere, potrebbero benissimo diventare un'operetta tipo La Califfa di Alberto Bevilacqua, o La Noia di Alberto Moravia, due grandi romanzi s'intende, il mio di certo non lo sarebbe. Mia madre li aveva tutti i Cassola, appena ne usciva uno lo acquistava a Bergamo, nel paese della Bassa dove vivevamo non mi risulta che esistessero librerie, di certo cartolerie. Mia madre aveva una bella libreria, ricca - alcune centinaia di volumi - soprattutto se si pensa che aveva potuto studiare, come tante donne della sua generazione, soltanto fino alla licenzia media, poi i bisogni di guadagno della famiglia l'hanno obbligata ad andare a imparare un mestiere. Ricordo ancora quando da bambino mi raccontava, vinta dai suoi ricordi, con mestizia, di quando la sua insegnante era venuta a casa a parlare con la nonna, per pregarla di farla studiare anche dopo, ma non ci fu verso. L'unica scappatoia da una vita di servizio è stata proprio la lettura, che ha coltivato, finché ricordo, con grande interesse, di certo non un figlio taciturno come me o un matrimonio naufragato ben presto in litigi e nell'inevitabile divorzio, con tutte le conseguenze nefaste che i primi decenni di questa nuova istituzione sono state in grado di accumulare. A casa aveva sempre qualche libro in mano, anche quando si andava al fiume, a prendere il sole, o sul balcone, la maggior parte delle volte. La vita era semplice, al tempo: io a scuola, lei a lavoro e poi vacanze a casa. Eccezionalmente si andava a fare una gita di un giorno a Bergamo, magari per negozi, vicino alle feste, o al lago d'Iseo, il nostro mare. Una volta al mese da sua madre o da alcuni distratti parenti. Nulla di più. In estate soprattutto io amavo passare il tempo a guardare insetti e animali vari e lei leggeva. La mia vita alla fine, da adulto, non è che abbia avuto tutta questa rivoluzione: da tempo oramai vivo a casa, dove passo il tempo a scrivere, a meditare, a leggere, a curare le piccole cose ordinarie come è ovvio, e poi si esce per andare a fare le cose dei grandi, le missioni di rappresentanza per le uscite dei nuovi libri, le camminate nei boschi e nei giardini storici, i parchi, le riserve, quei pochi amici veri. Nel mezzo tutto il resto che alla fine conta sì e no. A pensarci bene queste esistenze modeste potrebbero comparire nei romanzi di Cassola. Cassola non si è mai interessato ai vincenti, agli esemplari, anzi, si tratta di persone sole, che magari assecondano una vita di grandi fatiche e pericoli come era la vita del tagliaboschi, o il soldato al fronte, i minatori maremmani, un militare inviato in un paesino del sud Italia, «ombre» come riporta il titolo di una raccolta di racconti. Intimità appena accennate, esistenze consumate in case abbarbicate alla costa toscana, i cani, le spiagge, i ricordi. La gente che viene sempre vista come uno sfondo quasi da evitare. E le sue donne, così vitali ma anche antimoderne, capaci di sopportare lo schianto di un destino opprimente, come Mara, la protagonista de La Ragazza di Bube, inatteso Premio Strega nel 1960, giovane della Val d'Elsa che si innamora di un partigiano che finita la guerra precipita in un girone di violenza, incapace di tornare al cosiddetto «viver civile», come altri avvitato dentro l'antagonismo, il riscatto dalle prepotenze, il peso dei valori del giusto e dello sbagliato che possono essere anche armi tragicamente affilate. Quella ragazza che prese in seguito le fattezze angeliche del volto di Claudia Cardinale, in una pellicola di Luigi Comencini, deve accettare la prigionia del suo amato, condannato a 14 anni per l'omicidio di un prete che aveva collaborato coi nazisti. Fra i suoi romanzi torno ciclicamente a Il Superstite, prima parte di una trilogia atomica, composta fra il 1978 ed il 1982 (ne fanno parte Ferragosto di Morte e Il Mondo senza nessuno). Ricordo me stesso da ragazzo, e poi ventenne, a trentacinque anni e ora, avviato verso la mezza via, col naso infilato fra le pagine di questo romanzo distopico - sarebbe di moda se i nostri scaffali non fossero già così carichi di pseudo-fantascienza e visioni catastrofiche! Pochi uomini, prevalentemente il padrone di un cane che a un certo punto smette di respirare. E lui, il protagonista, Lucky, un cane buono che piano piano cerca di capire cosa fare quando il cibo scarseggia, le attenzioni vengono meno e si impegna a fare amicizia con altri animali, un gattino, di cui vince la diffidenza, e dei muggini (pesci). Questa storia mi commuove da sempre, forse ci vedo qualcosa di autobiografico, non saprei ben dire, ma so che ora che sta qui, di nuovo, accanto alle mie mani, tornerò a rileggerlo. E magari è anche la volta buona per arricchire la selezione dei suoi libri. Vi saluto però condividendo un saggio della scrittura di Cassola, le prime righe di un altro suo romanzo, Un Cuore arido, pubblicato mezzo secolo fa da Einaudi (in penultima pagina c'è la data di stampa: Torino, 23 ottobre 1961): «Il libeccio era durato fino alla notte prima, e un largo tratto di spiaggia era stato spianato e scurito dalla mareggiata. Anna camminava adagio, guardando a terra. Seguiva la traccia di due piedi nudi. Poi la sua attenzione fu attirata da un'orma composta da tre graffiature: pensò che l'avesse lasciata un gabbiano. Risalì il pendio e si mise a camminare lungo l'orlatura bianchiccia che segnava l'estremo limite della mareggiata. Con la punta del piede smuoveva le conchiglie e i sassolini che la furia delle onde aveva portato fin là. Notò anche un pesciolino morto; e una bava che sotto la carezza del vento sembrava volesse staccarsi da terra e prendere il volo. Ma le bastò sfiorarla, perché si sfacesse».
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