
Mediterranea intercetta un gommone con 54 extracomunitari in acque libiche, li sottrae all'intervento dei guardacoste locali e fa rotta sull'Italia: «Qui c'è pericolo». Il Viminale offre la soluzione: «Più vicine delle nostre, ci sono le coste del Paese africano». Ancora non si placano le polemiche dopo il caso della capitana della Sea Watch, Carola Rackete, che è già in arrivo un altro carico di migranti a bordo della nave di una Ong italiana (dopo altri 55 trasferiti nei porti di Lampedusa e Pozzallo, ieri l'altro, da Guardia Costiera e Guardia di Finanza, recuperati dalla Ong spagnola Open Arms). Ieri, infatti, 54 naufraghi ammassati su un gommone - in zona di ricerca e soccorso libica - sono stati caricati a bordo della barca a vela Alex della Ong italiana Mediterranea. Tra loro 11 donne, di cui tre incinte e una in gravi condizioni, bambini in fasce, uomini e ragazzi. La barca della Ong italiana, considerando i naufraghi in pericolo, li ha presi a bordo. Malgrado la Guardia costiera italiana - da loro interpellata - avesse invitato a lasciarli alle motovedette di Tripoli, competenti per quel tratto di mare, si sono diretti verso l'Italia. Il veliero è stato a lungo «inseguito» dai libici, che alla fine hanno abbandonato la caccia. Gli operatori si sono rifiutati di riportare i naufraghi in Libia perché «è un Paese in guerra, dove i centri di detenzione vengono bombardati». Anche il soccorso della Alex non è proprio regolare, considerato che si tratta di una barca a vela di 18 metri, in teoria non in grado ma soprattutto non strutturata per prendere a bordo decine di migranti. Secondo le previsioni, ci sono 180 miglia di mare prima di arrivare nei pressi di un porto, che dev'essere esclusivamente «italiano». «Gli immigrati presi a bordo da Mediterranea sono in acque libiche, e attualmente sono più vicini di decine di miglia nautiche alla Tunisia rispetto a Lampedusa» aveva subito dichiarato il ministro dell'Interno Matteo Salvini. «Se questa Ong ha davvero a cuore la salvezza degli immigrati, faccia rotta nel porto sicuro più vicino, altrimenti sappia che attiveremo tutte le procedure per evitare che il traffico di esseri umani abbia l'Italia come punto di arrivo». Poco prima del soccorso, la nave di Mediterranea aveva segnalato il relitto su Facebook: «Siamo in pattugliamento insieme ad Open Arms in Sar libica, cioè la zona in cui la responsabilità di intervento in caso di naufragio sarebbe della cosiddetta “guardia costiera libica". Il nostro faro è come sempre il rispetto dei diritti umani. Nel corso del nostro pattugliamento abbiamo incontrato il relitto di un gommone. C'è la seria possibilità che si tratti dei resti di un naufragio “fantasma". Nel silenzio l'umanità muore. Senza testimoni», aveva scritto l'Ong nel post. Il solito ritornello: l'umanità sta sempre da una parte, gli altri, soprattutto il governo e le sue leggi, sono disumani. E proprio Open Arms ieri era andata all'attacco dopo il caso Rackete: «Il diritto internazionale può essere definito come il diritto della comunità degli Stati, quindi il diritto al di sopra di essi e di loro ordinamenti giuridici interni. Le Convenzioni internazionali sono nate proprio per arginare leggi nazionali razziste e fasciste». Un affondo prontamente ribattuto dal ministro Salvini: «Ma come si permettono questi signori?? Che la Spagna se li prenda indietro, altrimenti, (ovviamente con le buone maniere) ci penseremo noi». Intanto in merito ai 29 migranti fermati ieri al confine con la Slovenia - in territorio italiano - il ministro dell'Interno ha ringraziato la polizia di frontiera e ha poi annunciato che oggi sarà a Trieste: «Incontrerò anche Massimiliano Fedriga. Vogliamo dare più uomini e mezzi per sigillare il confine, e diminuiremo ancora di più il numero di immigrati in accoglienza nel Friuli Venezia Giulia». Anche il governatore leghista ha affermato: «La nostra strategia è di prevenire il problema. Il centrosinistra ha aspettato che scoppiasse un'emergenza», facendo riferimento agli arrivi del 2016, «mentre noi stiamo monitorando un problema in aumento e vogliamo prevenirlo. Nessun muro», ha assicurato Fedriga, «un'ipotesi è di creare delle barriere per convogliare i passaggi in modo da intercettarli in maniera più semplice. Se semplifichiamo con un muro tra occidente e oriente sono ricostruzioni lontane dalla realtà». Ieri Salvini ha avuto una telefonata cordiale con il suo omologo serbo Nebojša Stefanović. Al centro del colloquio i rapporti tra Roma e Belgrado e la cooperazione per frenare gli arrivi di clandestini lungo la rotta balcanica. Salvini ha ringraziato per l'impegno e la collaborazione anche in una prospettiva di rafforzamento, confermando il sostegno per «una rapida adesione serba all'Unione europea».
John Elkann (Getty Images)
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