2019-01-10
Nazionalizzata o messa sul mercato. Il governo prende la mira su Carige
Nelle dichiarazioni i vicepremier flirtano con la soluzione pubblica, il Mef ritiene i privati «preferibili» Un'ombra francese per la fusione. Luigi Di Maio, intanto, vuole Gianluigi Paragone a capo della commissione Banche.Giuseppe Conte ha telefonato ai Malacalza per tentare dove la Bce aveva fallito. Premier (e Giovanni Tria) hanno inseguito ciò che chiedeva Francoforte: l'aumento di capitale.Lo speciale contiene due articoli. «La ricapitalizzazione precauzionale, ovvero l'ingresso dello Stato fra gli azionisti di Carige, «è un'ipotesi concreta», ha detto ieri il numero due della Lega Giancarlo Giorgetti. Ma - anche se il governo è «pronto a tutto» la soluzione di mercato è largamente preferibile», ha ribattuto a stretto giro di posta il ministro dell'economia, Giovanni Tria. In mezzo le dichiarazioni tagliate con il machete da parte dei due vice premier, secondo i quali l'unica strada auspicabile per la banca genovese è la nazionalizzazione. Termine di per sé improprio perché al massimo l'ingresso dello Stato in una banca può durare qualche anno. Forse lo sanno anche i due leader di partito, ma evidentemente quello di ieri era un messaggio di tipo elettorale. In parte sostenuto da Giorgetti, al contrario smentito da Tria lasciando intuire anche nella partita del salvataggio dell'istituto ligure l'esecutivo pensa con troppe teste.Il sottosegretario leghista alla presidenza del Consiglio osserva che nel decreto «c'è scritto che la ricapitalizzazione precauzionale passa attraverso altri organismi, Banca centrale europea e Commissione europea. Quindi non dipende solo da noi», e aggiunge: «Lo vedremo esattamente tra due, tre, quattro, cinque settimane». Molto più fedele al testo del decreto il ministro dell'Economia che rileva: «Non è possibile stabilire se si materializzerà l'esigenza di realizzare l'intervento della ricapitalizzazione precauzionale perché la soluzione di mercato sarebbe preferibile». Tria sottolinea che «la qualificazione come intervento di salvataggio non sembra appropriata per Carige così come non lo era per Mps» perché «possono beneficiare di una ricapitalizzazione precauzionale solo le banche solventi». Sul tema è poi ritornato nel pomeriggio di ieri Di Maio, per assicurare che, se lo Stato entrerà nel capitale, pubblicherà i nomi dei debitori soliti noti, verificherà le responsabilità degli ex vertici e spingerà la banca «a fare la banca d'investimento dello Stato». Beh d'altronde sarebbe grave dichiarare il contrario, tanto che l'esternazione sembra mirata a un solo obiettivo: lanciare come capo della prossima commissione d'inchiesta sulle banche il giornalista e sentaore M5s Gianluigi Paragone. Sarà un altro buco nell'acqua, per di più non richiesto, anche perché - vale la pena ribadirlo - il testo del decreto porta nella direzione indicata da Tria. Salvo che poi la politica voglia non fare un colpo di testa. Nel frattempo il lavoro dei commissari (e delle istituzioni finanziarie) continua. Due membri della terna nominata dalla Bce, ovvero l'ex presidente Pietro Modiano e l'ex ad Fabio Innocenzi, hanno colto ieri l'occasione della firma di un accordo di tesoreria con la Regione Liguria per fare il punto sulla situazione. Se da un lato, come ha precisato Innocenzi, le manifestazioni d'interesse per una fusione saranno chieste a fine febbraio «dopo la messa a punto del piano, quando sarà chiaro il progetto industriale», dall'altro, come sottolinea Modiano, la ricapitalizzazione preventiva «non è sul tavolo e non è necessaria». Si tratterebbe dunque per il banchiere di un'ipotesi «teorica, estrema, più che residuale». Primo step che affronterà la terna commissariale sarà quello di cedere il più velocemente possibile buona parte dei crediti deteriorati e delle inadempienze probabili ancora a bilancio, con un obiettivo di «almeno 1,5 miliardi lordi circa», ha indicato il manager. Ieri si è riunito anche il consiglio dello Schema volontario del Fondo di tutela interbancario dei depositi, che ha contribuito alla messa in sicurezza di Carige sottoscrivendo un bond subordinato da 320 milioni, di cui ora però la banca chiede di rivedere al ribasso il tasso d'interesse, attualmente fissato al 16%. Nell'incontro «abbiamo semplicemente preso atto di questa richiesta, non era la sede per decidere nulla», ha detto il presidente del Fitd, Salvatore Maccarone. Da notare che nella relazione tecnica al decreto Carige è riportata come limite per l'intervento statale nel capitale la data di giugno 2019. Significa che il governo pensa che tutto si risolva in pochi mesi. Viene un dubbio: qualcuno può vedere con ostilità il progetto da mesi latente. Fusione tra Carige e Mps e poi acquisizione da parte dei francesi di Crédit Agricole, tra le anche più liquide d'Europa. Sarebbe però un'operazione quasi impossibile da portare a termine in così poco tempo. Forse allora varrebbe la pena di pensare che tutte le uscite di ieri indichino il fatto che il governo voglia evitare tale progetto. Oppure potrebbe essere qualche altra istituzione italiana a non volerlo. Si capirà nelle prossime settimane come ha detto ieri Giorgetti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nazionalizzata-o-messa-sul-mercato-il-governo-prende-la-mira-su-carige-2625560333.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="conte-ha-telefonato-ai-malacalza-per-tentare-dove-la-bce-aveva-fallito" data-post-id="2625560333" data-published-at="1758106942" data-use-pagination="False"> Conte ha telefonato ai Malacalza per tentare dove la Bce aveva fallito Si chiama moral suasion. Se la fa la Bce va bene, se la fa Giuseppe Conte, però, è un delitto. È quanto si capisce leggendo il pezzo di Repubblica di ieri dedicato alle telefonate di Palazzo Chigi ai Malcalza, azionisti principali di Carige. L'articolo, infatti, nemmeno troppo velatamente, ipotizza un conflitto di interessi del premier. In passato è stato consulente di Raffaele Mincione, azionista di minoranza di Carige. Inoltre il maestro professionale di Conte, Guido Alpa, è stato nel cda di Carige. Due dati di fatto che sicuramente non sembrano essere a favore del premier. Bisogna però sottolineare che se il governo avesse voluto fare l'interesse di Mincione (fautore dell'aumento di capitale) non avrebbe emesso un tale decreto e soprattutto non spingerebbe per l'intervento pubblico. Mincione, alla pari dei Malacalza, perderebbe l'intero investimento. Non sembra essere una grande strategia per la quale addirittura impegnare la persona di Conte. Infatti, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari omette un aspetto non secondario. Per la data del 31 dicembre scorso dalle parti di Palazzo Chigi sono stati convocati Fabio Innocenzi e Pietro Modiano, i due manager della banca diventati il 2 gennaio commissari della stessa per nomina della Bce. Il medesimo giorno sono stati invitati dal premier anche Davide e Mattia Malacalza. A quanto risulta alla Verità non hanno aderito fisicamente all'invito ma hanno partecipato a una conference call con Conte. Per un'oretta circa quest'ultimo ha spinto i figli di Vittorio ad aderire all'aumento di capitale. A sottoscrivere la loro parte dell'assegno. Esattamente quanto chiesto pochi giorni prima dai vertici della banca centrale europea alla famiglia Malacalza convocata a Francoforte. Gli imprenditori genovesi hanno risposto picche sia a Mario Draghi che a Giuseppe Conte. Il 2 gennaio la banca è stata commissariata dalla Bce. Ma la moral suasion dell'Ue e di Palazzo Chigi era iniziata almeno un mese prima. Conte ha chiamato i fratelli Malacalza altre due volte a dicembre e pure il ministro Giovanni Tria. L'esecutivo ha più volte dichiarato di essere sul dossier. «Il presidente del Consiglio e il ministro dell'Economia stanno seguendo la vicenda di banca Carige, che è stata commissariata», si legge in un comunicato di Palazzo Chigi datato il 3 gennaio. Nella nota si legge che «questa vigile attenzione del governo, ai suoi massimi livelli, è il segno tangibile e la migliore garanzia per proseguire e completare il consolidamento patrimoniale e il rafforzamento imprenditoriale di un'azienda bancaria valutata quale essenziale strumento per realizzare il rilancio dell'intero sistema economico-sociale ligure». Lo dimostra anche il fatto che una bozza del decreto era già pronta a novembre del 2018, quando si temeva che le banche non dessero l'ok al Fondo interbancario per sottoscrivere l'emissione obbligazionaria da 320 milioni. Non è difficile immaginare quanto abbia insistito Conte con i Malacalza. Se la famiglia avesse accettato di sottoscrivere l'aumento di capitale, quella bozza sarebbe rimasta nel cassetto per sempre o - più probabilmente - per qualche altro mese. Ma per il momento non sarebbe stato necessario un decreto salvagente per Genova. È anomalo che un presidente del Consiglio chiami un azionista privato? A nostro avviso è più grave che un premier inviti in tivù gli italiani ad acquistare azioni di una banca e la dichiari risanata, salvo pochi mesi dopo buttarci dentro 8 miliardi.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)