2021-11-27
Col Patto, Roma e Parigi vanno in rotta di collisione con l’Ue. Forse conviene solo a Macron
L'accordo tra Roma e Parigi, spacciato per europeista, va in conflitto con i trattati dell'Unione. Permettendo a Macron di accrescere il suo potere, forte anche dell'asse con Berlino. E l'Italia rischia la seconda filaIl Trattato del Quirinale impegna l'Italia su fronti strategici, ma con troppe zone d'ombra. Dalle implicazioni militari nella lotta al terrorismo al rischio di dipendere dal nucleare francese. Vaghe anche le implicazioni su migranti, Spazio e lotta alle fake newsLo speciale contiene due articoliQuindici pagine di accordo e 19 per racchiudere il futuro programma di lavoro. Per la Francia la firma al Trattato del Quirinale l'hanno messa ieri mattina, in una Roma sorvolata dalla nostra squadriglia di Frecce e dall'imitazione francese, il presidente Emmanuel Macron, il premier e il ministro degli Affari esteri. Per l'Italia ha siglato per tutti Mario Draghi. Un dettaglio non da poco, che sta a indicare la scarsa collegialità e al tempo stesso la segretezza di un accordo che ha tre elementi fondamentali. Primo: non ha una data di scadenza. Secondo: è un Trattato che non tratta nulla di specifico, ma tutto in generale. Nei fatti è una comunione di intenti che il Parlamento avrà difficoltà a ratificare, ma anche a non ratificare. Terzo aspetto: il Trattato contiene uno schema di lavoro permanente e sarà su quei tavoli che verranno prese le decisioni vere, quelle reali che modificheranno il Paese. Con tali premesse, ribadiamo, è difficile dare una valutazione univoca, complessiva e di fondo. Certo ci sono alcuni capitoli chiari. L'Italia cede in sostanza la propria industria aerospaziale. E decide di sviluppare il 5G, il 6G, il cloud e le proprie scelte digitali assieme a Parigi. Estremamente pericoloso il capitolo relativo all'energia. Italia e Francia si accordano per spingere il piede sull'acceleratore della transizione ecologica. Si accordano per essere ancor più aggressive rispetto alle scelte (che noi giudichiamo sconsiderate) di Bruxelles. Entrambi i Paesi vogliono più decarbonizzazione e rinnovabili. Peccato che non ci siano accenni al nucleare. Il rischio elevato è che Parigi andrà avanti con l'atomo e noi finiremo con il dover comprare la loro elettricità. D'altra parte, adesso che si può leggere il testo e gli allegati, non si possono non notare elementi in pieno disaccordo con i trattati europei. Chi celebra la firma di ieri come un passo avanti nell'europeismo e della condivisione paritetica tra nazioni forse fatica a scindere la lettura laica dalla cecità ideologica. Per capirlo basta andare a pagina 8 dell'allegato che descrive il programma di lavoro. Al punto 5.1 si legge che i due Paesi si impegnano a sostenere la creazione di nuove risorse proprie. Che forse significa un sistema sostenibile in modo indipendente dai fondi comunitari. O almeno ipotizziamo, visto il passaggio sibillino. Poi però basta scorrere per comprendere che Italia e Francia si muovono per creare una nuova politica monetaria, un nuovo sistema di garanzia dei depositi bancari, un'unione bancaria che abbatta le barriere nazionali e i poli produttivi (batterie, sanità, cloud, farmaceutica) congiunti. Al tempo stesso Roma e Parigi (ultimo paragrafo dell'articolo 3 del Trattato) si impegnano a «spingere per un ricorso più esteso della maggioranza qualificata per le decisioni del Consiglio Ue». Il passaggio sembra quasi buttato lì a caso. In realtà è decisivo. E svela l'impianto dello schema. Prima si decide sui tavoli separati e si fa valere la forza economica congiunta. Poi si trovano le alleanze con i Paesi periferici Ue e alla fine si scalza la forza del Consiglio. A primo acchito potrebbe essere il modo di creare una cupola dentro l'Ue in grado di decidere al posto degli euroburocrati. Uno dei problemi sta però nel fatto che per Macron il vertice della cupola deve essere Parigi. È vero che andremo a bilanciare il potere tedesco e a evitare il ritorno all'austerità. Ma Parigi ha un vantaggio enorme. Con Berlino ha firmato, a gennaio 2019, il Trattato di Aquisgrana. Un testo molto simile a quello del Quirinale in termini di difesa comune, industria e proiezione all'estero. La differenza fondamentale è che l'accordo di Aquisgrana è soggetto al vaglio del Bundestag, il nostro no. Giusto per fare un esempio. Un ministro francese parteciperà ogni trimestre a un Cdm. Il nostro ministro inviato a Parigi parteciperà ai tavoli del premier. Ma il livello è totalmente asimmetrico. Qui Palazzo Chigi decide, là il gabinetto del premier ha sopra l'Eliseo. Dal momento che il Trattato con Berlino non sembra andare in contrasto con il nostro si desume che Parigi potrà giocare su due binari paralleli e giostrare. Diverso sarebbe se anche noi chiudessimo il cerchio formando in realtà un triangolo con i tedeschi. Il contrappeso tedesco non è un tema secondario e il desiderio di azzerarlo visto le cattive esperienze del passato può però portarci in una situazione modello Urss. Un fine osservatore e appassionato di storia ieri faceva notare che l'Urss ha storicamente affidato competenze economiche ai singoli Paesi satellite. Ucraina, granaio. Germania Est produttore meccanico. L'Unione europea che è sempre più sovietica e in realtà lo sarebbe anche a trazione francese rischia di copiare lo schema di Mosca. Affidare all'Italia singole competenze in cambio di attività di penetrazione contro la Turchia e la Cina. Se però saltasse l'architettura dell'Unione noi resteremmo in braghe di tela come capitò ai tedeschi dell'Est o ai cechi. Tutto insomma corre sul filo del rasoio. Chi sottovaluta questo Trattato, sbaglia. È un passaggio storico. E il prossimo presidente della Repubblica, avendo in capo un rapporto diretto con l'Eliseo, potrà dare l'impronta. Vedremo se sarà Draghi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nasce-una-cupola-allinterno-dellue-e-la-francia-si-posiziona-al-vertice-2655819014.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tutte-le-note-stonate-dellaccordo-con-parigi" data-post-id="2655819014" data-published-at="1637973068" data-use-pagination="False"> Tutte le note stonate dell’accordo con Parigi Ieri mattina, nella cornice di Villa Madama a Roma e alla presenza del capo dello Stato, Sergio Mattarella, è stato firmato il Trattato del Quirinale dal premier italiano, Mario Draghi, e dal presidente francese, Emmanuel Macron. Nel corso di una conferenza stampa congiunta, i due leader hanno sottolineato il consolidamento dei rapporti tra Italia e Francia: un consolidamento che dovrebbe avvenire in vari settori. Ora, è senz'altro chiaro che questo significativo riavvicinamento tra i due Paesi avvenga in una fase storica particolare: una fase in cui Roma e Parigi puntano a creare un fronte comune contro la linea di austerità che porterà molto probabilmente avanti il prossimo ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, a livello europeo. È quindi in questo senso che, da parte italiana, il Trattato può essere letto (anche) come un tentativo di disarticolare l'asse carolingio. Tuttavia, se questo obiettivo è senz'altro condivisibile, va anche riconosciuto che nell'intesa vi siano delle sezioni molto generiche: se in alcuni casi ci si ferma infatti a delle dichiarazioni di intenti, in altri si scorge forse eccessiva ambiguità. Un elemento, questo, che potrebbe rivelarsi problematico per Roma. A pagina 3 del «Programma di lavoro» (documento allegato al Trattato), si fa riferimento allo sviluppo di un «patto mediterraneo»: un obiettivo che si inserisce probabilmente nella nuova agenda europea per il Mediterraneo, presentata ad aprile. Un'iniziativa rivolta ai Paesi extraeuropei che si affacciano appunto sul Mediterraneo, per promuovervi una «ripresa socioeconomica sostenibile», Stato di diritto, tutela dei diritti umani e transizione ecologica. Obiettivi assai ambiziosi, che non è affatto chiaro in che modo dovrebbero essere realizzati, viste le fibrillazioni che attraversano il Nord Africa (a partire dalla Libia). Un ulteriore elemento poco chiaro si trova a pagina 4 del medesimo documento: qui si prevede infatti che Francia e Italia tengano delle «consultazioni» su lotta al terrorismo e sicurezza marittima anche in riferimento all'Indo-Pacifico. Ciò significa che vi sarà un coinvolgimento di natura militare del nostro Paese in quest'area? E, in caso, sotto quale ombrello? La strategia recentemente presentata dall'Unione europea sull'Indo-Pacifico è un capolavoro di vaghezza. Mettersi invece al traino direttamente dei francesi non è chiaro quanto possa convenire, visto lo schiaffo che hanno rimediato a settembre da Washington con l'Aukus. Ma non è tutto: un altro fronte problematico riguarda lo sviluppo di una «cooperazione spaziale ambiziosa». Come evidenziato su La Verità venerdì scorso, il rischio è che, a partire dal settore della radaristica, l'Italia finisca con l'utilizzare soldi del Pnrr per finanziare aziende francesi. Anche sul fronte migratorio non è che si riscontri troppa chiarezza. A pagina 6 del «Programma di lavoro» si auspica difatti il «raggiungimento di un compromesso equilibrato che permetta un controllo più efficace delle frontiere esterne, una diminuzione dei movimenti secondari e un meccanismo efficace di solidarietà nella gestione dei flussi migratori, riservando un trattamento specifico agli arrivi legati alle operazioni di ricerca e soccorso in mare che comprenda anche la riallocazione». In che cosa dovrebbe consistere questo meccanismo di solidarietà? E soprattutto: la riallocazione su che base dovrebbe avvenire? Automatica o volontaria? Non solo: viene infatti anche valutata «la possibilità di compiere missioni congiunte in Paesi terzi di origine e di transito dei flussi, al fine di rafforzare la cooperazione migratoria con tali Paesi». Ben venga il mettere insieme le forze per cercare di risolvere i problemi migratori: ma esattamente queste missioni in che cosa dovrebbero consistere? Il timore è che gli auspici e le parole rischino di prendere il sopravvento sui fatti. Un punto interrogativo riguarda anche l'energia. A pagina 9 del Trattato si legge che «le parti si adoperano per la decarbonizzazione in tutti i settori appropriati, in particolare sviluppando le energie rinnovabili e promuovendo l'efficienza energetica». Ricordiamo però che l'Italia importa parte della propria energia elettrica proprio dal nucleare francese e, a pensar male, si potrebbe ritenere che Parigi abbia qualche interesse da tutelare su questo fronte. Altro punto poco chiaro è quello volto ad «assicurare la resilienza delle nostre società alla disinformazione, attraverso l'apprendimento dell'uso dei social network a scuola». In base a quali criteri avverrà questo «apprendimento»? Chi impartirà le lezioni? Non si correrà qualche rischio di indottrinamento? Vista la delicatezza dei temi affrontati e i vincoli previsti dal Trattato, questi punti ambigui dovrebbero forse essere adeguatamente chiariti.