2021-01-26
«Napolitano il regista contro Berlusconi»
Giorgio Napolitano e Luca Palamara (Ansa)
In un libro intervista le confessioni dell'ex presidente dell'Anm ora radiato dalla magistratura: «Ho sempre condiviso la mia attività con il capo dello Stato. Non ci potevano essere deviazioni dalla linea. Sul Cavaliere non era ammessa discrezionalità».Abbiamo seguito i suoi movimenti negli anni dell'ultimo governo Berlusconi, e tramite lei quelli interni all'Anm e di alcuni colleghi. Movimenti e posizioni, lei mi lascia intendere, ispirati o addirittura guidati da qualcuno. Chi ha il telecomando? «Voglio essere chiaro: dal 2008 fino al 2011, quando Berlusconi cade sotto i colpi dello spread, come da prassi costante dell'Associazione nazionale magistrati ho sempre condiviso la mia attività seguendo una prassi costante con il presidente Giorgio Napolitano […] È impensabile sostenere che negli anni di cui stiamo parlando l'Anm si sia mossa fuori dalla copertura del Quirinale, con il quale io condividevo ogni decisione che comportasse una rilevanza politica. […]». […] Mi sta dicendo che il Quirinale approvava, se non qualcosa di più, la linea dello scontro frontale con il governo? «Esattamente, ma mi sento di essere più esplicito e dettagliato. Nella magistratura vige un clima di terrore interno che non lascia spazio a deviazioni dalla linea concordata. Un caso esemplare è ciò che accade a Bari, dove nell'estate del 2009 si sta per insediare un nuovo procuratore, Antonio Laudati […]. Tra la nomina, avvenuta in aprile, e l'insediamento, che avverrà a luglio, a Bari scoppia il caso D'Addario […], la presunta escort barese che il faccendiere Gianpaolo Tarantini, l'anno prima a Roma, aveva infilato nel letto di Berlusconi a Palazzo Grazioli. Laudati anticipa il suo trasferimento a Bari per cercare di mettere un po' d'ordine in quel polverone [...]». In una conversazione registrata dal giornalista Giacomo Amadori è un fiume in piena: «Mi ritrovai nel mezzo di una guerra tra lobby politiche e giornalistiche, in procura si faceva carne da macello, era un ambiente permeabile». E ancora: «C'è una questione inesplorata, quella del rapporto tra Tarantini e l'ambiente giudiziario, quanti magistrati frequentavano i suoi festini? Lì non andava mandato un procuratore, bisognava togliere cinquanta magistrati». «E infatti Laudati prova a fermare le fughe di notizie, cambia gli uomini della Guardia di Finanza che gli facevano da polizia giudiziaria. Tanto basta per finire sospettato di connivenza con Berlusconi: sta rallentando l'indagine, la vuole insabbiare. […] Ed ecco che la Procura di Lecce indaga Laudati per abuso d'ufficio e favoreggiamento».[…] Laudati verrà assolto da tutte le accuse. «[…] Ma allora non era possibile difenderlo, avrebbe voluto dire mettere in dubbio la fondatezza dell'inchiesta D'Addario, e fare passare Berlusconi come vittima di magistrati scellerati […]. Anzi, da presidente dell'Anm sono tra quelli che imbracciano il fucile […]. Nel febbraio 2013 alcuni giornali, tra cui il settimanale Panorama, pubblicheranno […] fotografie che creeranno molto imbarazzo nell'ambiente dei giudici baresi, […] una foto nella quale magistratura e politica siedono alla stessa tavola. Quella foto diventerà poi molto virale per la presenza di giudici importanti nel distretto barese, tra cui Gianrico Carofiglio, oggi scrittore di fama, Francesca Pirrelli e Susanna De Felice […]». […] Mi spieghi meglio come funzionava in quella stagione. Insomma, dalla D'Addario a Ruby il passo è breve. «Quello delle donne è un buon filone, mediaticamente funziona, e di certo indebolisce la figura del presidente Berlusconi. Ma attenzione, se la procura di Bari è una palude dove magistrati e indagati si fanno fotografare insieme a tavola, quella di Milano, dove nel maggio del 2010 si incardina l'inchiesta Ruby - vale la pena di ripeterlo - è un fortino ben strutturato. A dirigerlo è Edmondo Bruti Liberati, uno dei magistrati più potenti e temuti d'Italia, vero faro dell'egemonia culturale della sinistra giudiziaria e dei suoi conseguenti riflessi politici. Quando nel gennaio 2011 partono le perquisizioni nelle abitazioni di numerose ragazze, e Berlusconi viene indagato per concussione, lo dico onestamente, siamo tutti un po' perplessi. […] Vede, qui scatta la discrezionalità, ma su Berlusconi la discrezionalità non può esistere». Ci vorranno cinque anni e tre processi per stabilire che il reato non esisteva, ma perché questa volta dice: «Eravamo perplessi»? «Perché quel giorno le discussioni interne alla magistratura - cosa che non si è mai saputa ma che è facilmente ricostruibile - non sono unanimi. Molti colleghi esprimono perplessità. Riassumo i concetti: “Stiamo esagerando", “Così perdiamo credibilità", “Non possiamo contestare al presidente del Consiglio tutti i reati previsti dal Codice penale". Ma c'è poco da fare [...]. Bruti Liberati [...] chiede la solidarietà dell'intera categoria. [...] Io condivido tutto con il Quirinale. Così, ancora una volta, procedo come da copione: comunicati di solidarietà ai colleghi milanesi […]». [...] E la procura di Milano? Che lei sappia ha mai fatto autocritica su quella vicenda? «Semmai l'inverso. Le ricordo due cose. La prima riguarda Enrico Tranfa, presidente della Corte d'Appello di Milano, dove il processo Ruby approda in secondo grado, dopo che nel primo Berlusconi era stato condannato a sette anni. Tranfa è per la conferma della pena, ma in camera di consiglio viene messo in minoranza dai colleghi innocentisti. Entra in aula, legge la sentenza di assoluzione e annuncia che, per protesta contro quella sua stessa sentenza, si dimette dalla magistratura. Una scena surreale e paradossale. [...] Berlusconi non può né deve essere assolto [...]. La seconda storia - inversa alla prima - riguarda Antonio Sangermano, uno dei pm che condussero, insieme a Ilda Boccassini, tutta l'inchiesta Ruby. La Cassazione, nel marzo 2015, scagiona definitivamente Berlusconi e qualche anno dopo Sangermano, da gran signore, interpellato commenta che l'assoluzione del Cavaliere va accettata e rispettata […]. Apriti cielo, parte un fuoco di fila organizzato dall'Anm, al quale anche io partecipo, e si arriva pure a chiedere le sue dimissioni. È ovvio che un clima del genere intimorisce i singoli magistrati, le cui carriere sono nelle mani di pochi eletti […]».[…] Si è fatta molta letteratura sul perché Fini abbia mollato Berlusconi, e si è arrivati a ipotizzare una regia del Quirinale, oltre che una «moral suasion» della magistratura su di lui, per alcune inchieste . «Quando nel dicembre 2010 si parla di un possibile patto tra la magistratura e Gianfranco Fini, ben visto dal Colle, non si va lontano dalla verità. Con lui […] abbiamo più di un incontro, ci rassicura che con lui a dirigere la Camera non varerà nulla di sgradito ai magistrati. […] Nell'estate 2010 Il Giornale pubblica un'inchiesta ipotizzando il coinvolgimento di Gianfranco Fini nella vendita sospetta al cognato Giancarlo Tulliani di una casa, la famosa “casa di Montecarlo" che faceva parte del patrimonio di An. Fini nega ripetutamente e, il 26 ottobre, la procura di Roma annuncia - fatto anomalo - [...] la chiusura per archiviazione di un'inchiesta lampo condotta personalmente dal procuratore capo di Roma, Giovanni Ferrara […]. Un anno dopo aver archiviato l'inchiesta, Giovanni Ferrara si dimette da procuratore di Roma con qualche mese di anticipo sulla pensione e viene nominato, in quota Fli di Gianfranco Fini, sottosegretario agli Interni del governo Monti».
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.