
Ai due già in carica si è aggiunta la supermanager. Con relativi stipendi. E da 30 anni l'opera continua a essere sperimentale.Due commissari non bastavano. Ora è stato nominato pure il supercommissario. E poi anche, ma sì esageriamo, il commissario per l'emergenza. Ci mancano solo il commissario Montalbano e il commissario Basettoni e poi il quadro sarebbe completo. Peccato che il Mose continui a non funzionare. E l'acqua continui a sommergere Venezia. Non sarebbe male, per la verità, se sommergesse anche scartoffie, poltrone e burocrazia. Invece, chissà perché, quelle sono le uniche che riescono sempre a mettersi in salvo. Anzi: più il Paese affonda, più loro prosperano.Da cinque anni il Consorzio Venezia nuova, quello che doveva realizzare il Mose, è commissariato. Prima i commissari erano tre. Ora sono due. Nel 2018 sono costati, solo di stipendi, 560.000 euro, cioè 280.000 euro a testa. Non hanno fatto un granché per meritarsi lo stipendio: nel 2015, quando sono entrati in carica il Mose era già realizzato all'87 per cento. Oggi è realizzato al 93-94 per cento. Ciò significa che in cinque anni i lavori sono progrediti come una lumaca, ma quando la lumaca è di cattivo umore. L'unica cosa che ha continuato a correre, infatti, è stata la retribuzione dei medesimi commissari, francamente sproporzionata rispetto al risultato ottenuto.Siccome avevo fatto notare questa piccola, ma non banale, questione monetaria sui social, uno dei due commissari, Giuseppe Fiengo, detto l'amerikano in quanto nato nel Massachusetts, s'è preso la briga di rispondermi via Corriere della Sera: «A Mario Giordano rispondo che quando sono arrivato la retribuzione annua del commissario era di 800.000 euro lordi», ha detto, dimostrando di avere centrato il problema più o meno quanto ha centrato la realizzazione del Mose. Proviamo a riassumere: uno prende 280.000 euro l'anno (560.000 euro in due), in cinque anni non completa i lavori che erano già all'87 per cento, e quando Venezia, in seguito a tutto ciò, va sott'acqua, l'unica cosa che sa dire è: «Eh ma prima qui si guadagnavano 800.000 euro»? Ma che cos'è? Una provocazione? Una richiesta d'aumento? Dobbiamo fare una colletta per accontentarlo?Per altro i due commissari, narrano le cronache, nella tragica notte fra martedì e mercoledì scorso, si sono resi anche protagonisti di una baruffa sulla possibilità di mettere in funzione il Mose. Essendo quest'ultimo (lo ricordiamo) già realizzato al 93 per cento secondo alcuni avrebbe già potuto evitare il peggio. Basta farlo partire. Il commissario Giuseppe Fiengo voleva farlo. Il commissario Francesco Ossola no. Io dico di sì, io dico di no, io dico sì, ma io ti ho detto di no, sono stati lì a discutere l'intera notte, mentre Venezia annegava. Uno spettacolo da dimenticare. Fra l'altro va sottolineato che il nome Mose deriva da Modulo sperimentale elettromeccanico. Avete letto bene: primo caso mondiale di modulo sperimentale che da trent'anni non è mai stato sperimentato. Anzi, di modulo sperimentale che è sperimentalmente arrugginito ancor prima della sperimentazione.Questo è un Paese meraviglioso: di questo progetto si iniziò a parlare nel 1966. Nel 1984 venne fatta la prima legge. Negli anni Novanta il primo prototipo. Nel 2003 venne posata la prima pietra. Nel 2013 venne bloccato tutto. E ancora oggi siamo qui a chiederci: ma questo Modulo sperimentale che da cinquant'anni nessuno sperimenta, funzionerà o no? Voi capite che la domanda stessa è la dimostrazione evidente del disastro italiano. Perché se il Mose funziona davvero o no, con assoluta certezza nessuno credo possa dirlo. Bisognerebbe metterlo in funzione. La maggior parte degli esperti dice di sì. Ma, in ogni caso, la risposta avremmo dovuto scoprirla trent'anni fa.Invece no. In tutti questi anni abbiamo speso quasi 6 miliardi di euro, distribuendo soldi a chiunque, fra tangenti (comprese quelle per l'ex doge veneziano Giancarlo Galan), sponsorizzazioni, regali, contributi, consulenze, gettoni, maxistipendi, motoscafi, varie ed eventuali, senza far funzionare il Mose. Del resto: chi l'ha detto che il progetto del Mose doveva servire a fare il Mose? In Italia l'impressione è che non si creano le strutture per fare le grandi opere. Al contrario si creano le grandi opere per fare le strutture. Per assumere persone. Per distribuire incarichi e prebende. Per regalare quattrini. Quando poi i posti e le burocrazie sono al sicuro, chi se ne importa se la grande opera non si fa più? L'importante, è chiaro, è mettere in salvo la cadrega. Mica Venezia. Anche i due commissari, i bibi&bibò della lite notturna, per dire, non hanno mica esitato a distribuire denari a pioggia, oltre a quelli finiti nelle loro tasche tramite stipendi: Il Messaggero ha scritto di una consulenza a un esperto di ristrutturazioni industriali pagato 700 euro al giorno, e poi di 125.000 euro a un giuslavorista di fama, oltre a 5 milioni di euro per il «servizio informativo». Tutte spese sicuramente utili, sia chiaro. Ma utili a chi? È un peccato, per dire, che nonostante il contributo dei consulenti da 700 euro al giorno e dei giuslavoristi ad alta tariffa, il Mose non abbia voluto saperne di completarsi. Così si è completata la catastrofe. E il governo com'ha risposto alla catastrofe? Ovvio: nominato due altri commissari. Il sindaco Luigi Brugnaro come commissario all'emergenza. Ed Elisabetta Spitz, ex moglie di Marco Follini, come supercommissario che dovrà commissariare i due commissari, già per altro commissariati di per sé stessi nonché controllati da un organo di vigilanza e di quel che resta del Magistrato delle acque. Così l'inondazione di poltrone può continuare. E quella dal mare, di conseguenza, pure.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Scandalo nel settore energetico: tangenti per 100 milioni ai funzionari della società pubblica del nucleare. Cinque arresti. Volodymyr Zelensky perde la faccia. Mosca attacca: «Soldi europei sottratti dal regime ucraino». Berlino: «Preoccupati, ora vigileremo».
Un nuovo scandalo di corruzione travolge Kiev, mettendo in crisi la credibilità del governo nel pieno della guerra contro la Russia e accendendo le tensioni con gli alleati occidentali. Il presidente Volodymyr Zelensky ha chiesto e ottenuto le dimissioni del ministro della Giustizia German Galushchenko e della ministra dell’Energia Svitlana Grynchuk, dopo averli accusati di aver perso la fiducia necessaria per restare nei loro incarichi. La decisione è arrivata dopo settimane di tensioni e indagini sul sistema energetico nazionale, già sotto pressione per i bombardamenti e le difficoltà economiche.
Getty images
Secondo il racconto dei media mainstream, l’Italia in mano al governo di centrodestra doveva finire in bancarotta, Londra poteva regredire al Medioevo dopo aver lasciato l’Ue e Trump avrebbe fatto saltare i mercati globali: non ne hanno presa una.
Lo scandalo sulla Bbc, gloriosa emittente televisiva britannica scoperta «con le mani nella marmellata» a falsificare il racconto degli eventi del 6 gennaio 2021 di fronte a Capitol Hill in modo da far credere che Donald Trump avesse esplicitamente esortato i manifestanti ad assaltare il Campidoglio, ci obbliga a farci una domanda: quale credibilità hanno i mezzi di informazione in Italia?
Guardiamo al racconto che viene fatto dell’episodio sui nostri media: una difesa ad oltranza. Talvolta spudorata; talaltra più misurata. Si fa fatica a comprendere cosa sia veramente successo. Quando anche i vertici della Bbc trovano il coraggio di dimettersi per la gravità di quanto avvenuto, i nostri mezzi accorrono in amorevole soccorso. Se dovessimo ancora una volta valutare la credibilità sulla base del modo in cui viene raccontata questa storia, il giudizio non sarebbe positivo. Ma quanti credono in Italia che Trump abbia effettivamente avuto un ruolo attivo su quanto avvenuto il 6 gennaio 2021 a Capitol Hill?
Jeffrey Epstein e Donald Trump (Ansa)
Divulgate dai democratici alcune email del finanziere pedofilo: «Donald a casa mia per ore con una ragazza». «Una falsità».
Mentre andava in soccorso di Benjamin Netanyahu, Donald Trump è dovuto tornare a fronteggiare il caso Epstein. Ieri, i componenti dem della Commissione Vigilanza della Camera statunitense hanno pubblicato un messaggio del 2019, in cui il finanziere morto suicida sosteneva che l’attuale presidente americano «sapeva delle ragazze». È stato inoltre reso pubblico un altro messaggio, datato 2011, in cui Epstein affermava che una vittima - il cui nome appare segretato - «aveva trascorso ore» in casa sua con Trump. «I democratici hanno fatto trapelare selettivamente delle email ai media liberal per creare una falsa narrazione volta a diffamare il presidente Trump», ha commentato la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt.
L'ad di SIMEST Regina Corradini D'Arienzo
La società del Gruppo Cdp rafforza il proprio impegno sui temi Esg e conferma anche la certificazione sulla parità di genere per il 2025.
SIMEST, la società del Gruppo Cassa depositi e prestiti che sostiene l’internazionalizzazione delle imprese italiane, ha ottenuto l’attestazione internazionale Human Resource Management Diversity and Inclusion – ISO 30415, riconoscimento che certifica l’impegno dell’azienda nella promozione di un ambiente di lavoro fondato sui principi di diversità, equità e inclusione.
Il riconoscimento, rilasciato da Bureau Veritas Italia, arriva al termine di un percorso volto a integrare i valori DE&I nei processi aziendali e nella cultura organizzativa. La valutazione ha riguardato l’intera gestione delle risorse umane — dal reclutamento alla formazione — includendo aspetti come benessere, accessibilità, pari opportunità e trasparenza nei percorsi di crescita. Sono stati inoltre esaminati altri ambiti, tra cui la gestione degli acquisti, l’erogazione dei servizi e la relazione con gli stakeholder.
L’attestazione ISO 30415 rappresenta un passo ulteriore nel percorso di sostenibilità e responsabilità sociale di SIMEST, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite, in particolare quelli relativi alla parità di genere e alla promozione di condizioni di lavoro eque e dignitose.
A questo traguardo si affianca la conferma, anche per il 2025, della certificazione UNI/PdR 125:2022, che attesta l’efficacia delle politiche aziendali in tema di parità di genere, con riferimento a governance, crescita professionale, equilibrio vita-lavoro e tutela della genitorialità.
Valeria Borrelli, direttrice Persone e organizzazione di SIMEST, ha dichiarato: «Crediamo fortemente che le persone siano la nostra più grande risorsa e che la pluralità di esperienze e competenze sia la chiave per generare valore e innovazione. Questi riconoscimenti confermano l’impegno quotidiano della nostra comunità aziendale nel promuovere un ambiente inclusivo, rispettoso e aperto alle diversità. Ma il nostro percorso non si ferma: continueremo a coltivare una cultura fondata sull’ascolto e sull’apertura, affinché ciascuno possa contribuire alla crescita dell’organizzazione con la propria unicità».
Con questo risultato, SIMEST consolida il proprio posizionamento tra le aziende italiane più attive sui temi Esg, confermando una strategia orientata a una cultura del lavoro sostenibile, equa e inclusiva.
Continua a leggereRiduci






