2020-10-08
Morto un ragazzo sulla nave della Lamorgese
Luciana Lamorgese (Roberto Serra/Getty Images)
La vittima si chiamava Abou ed era un quindicenne ivoriano. Soccorso da Open Arms, si era aggravato a bordo della Allegra. Ancora poco chiare le ragioni del decesso, la Procura indaga. Ma ora che c'è il governo giallorosso, la notizia passa in sordina.Il morto che non c'era era un quindicenne della Costa d'Avorio che non parlava, non beveva, non mangiava e che la macchina dell'accoglienza del governo dei buoni ha lasciato marcire due settimane sulla nave quarantena Allegra. Il primo ottobre l'hanno finalmente sbarcato e ricoverato a Palermo, dove è morto lunedì. E le notizie sul povero Abou sono anch'esse quasi clandestine: un pezzetto qua e là, forse perché al Viminale non c'è il barbaro rapitore di migranti Matteo Salvini, ma il suo successore Lucia Lamorgese, che invece è un prefetto ed è quindi per ciò solo un presidio di democrazia. Ma ora la Procura di Palermo ha aperto un'inchiesta sulla morte di questo ragazzo che aveva addosso anche i segni della tortura ed era assai probabilmente transitato da un lager libico, prima di essere venduto ai trafficanti di disperati e poi «salvato» dall'ultimo, caritatevole, anello della catena dell'orrore, le Ong.Contrariamente al solito, la storia di Abou, un minorenne curato probabilmente con una certa approssimazione e comunque con evidenti ritardi, non ha avuto l'onore della ribalta nazionale. Un articolo sul dorso siciliano di Repubblica, lunedì, raccontava di questo ragazzo che il 10 settembre era stato salvato nel Canale di Sicilia dalla Open Arms insieme ai suoi compagni di traversata. Proveniva dalla Costa d'Avorio «era denutrito, aveva i segni di molte torture sul corpo», scriveva il giornale diretto da Maurizio Molinari. Che riportava anche le parole della tutrice del minore nominata dal Tribunale di Palermo, la sociologa Alessandra Puccio: «Lo avevano torturato e solo il 28 un medico se n'è accorto, ma era già troppo tardi». In attesa che sia la magistratura a stabilire come sono andate davvero le cose, ci sono i racconti della Open Arms e di Emergency, in base ai quali i migranti partono dal porto libico di Zuara e avevano passato tre giorni in mare. Vengono soccorsi il 10 settembre, stremati, ma per il medico di Emergency che era a bordo il giorno del salvataggio «Abou non riportava sintomi particolari, se non una forte denutrizione, comune alla maggior parte delle persone che erano sulla sua barca». La sera del 17 settembre, l'adolescente inizia ad avere la febbre alta e un forte dolore lombare. Lì per lì pensano che abbia il Covid-19, ma il tampone è negativo. Lo reidratano per endovena, perché si rifiuta di bere, gli danno antibiotici e aspirine e ipotizzano un'infezione alle vie urinarie che spiegherebbe anche il rifiuto pervicace di bere. Il giorno dopo, comunque, l'Italia concede il trasbordo di Abou a bordo della nave quarantena «Allegra», in rada a Palermo. Open Arms racconta che al momento del trasferimento il ragazzo stava meglio, era sfebbrato e camminava sulle proprie gambe, anche se con la flebo ancora al braccio. Per i medici della Ong, le lesioni da torture c'erano, ma sembravano molto vecchie e «risalivano al periodo dell'infanzia». Messo in quarantena, il 28 settembre il ragazzo viene visitato dai medici della Croce Rossa, che secondo l'Agi stilano un referto ben diverso dai colleghi precedenti: «All'ispezione sono visibili numerose cicatrici verosimilmente conseguenti a torture subite in carcere in Libia (questo dato viene riferito da un compagno di viaggio)». Il giorno dopo le sue condizioni peggiorano, anche perché i suoi amici raccontano che non beve e sputa l'acqua. E rifiuta qualsiasi tipo di cura medica. Serve un ricovero a terra per «studio approfondito di apparato urinario e reintegro alimentare per stato di grave malnutrizione e denutrizione volontaria», come si legge ancora nei referti. Il medico di bordo chiede quindi lo sbarco urgente di Abou, che il 30 settembre abbandona la nave quarantena e viene condotto all'ospedale Cervello. Continua a essere negativo al coronavirus, ma sta malissimo e questa volta gli viene diagnosticata una polmonite. Poi entra rapidamente in coma, lo portano all'ospedale Ingrassia in rianimazione e qui muore alle tre e mezza di lunedì pomeriggio. La sera dopo c'è stata una fiaccolata del Forum Antirazzista a Palermo «per ricordare Abou», ma qui il problema potrebbe non essere il razzismo. La tutrice di Abou ha fatto denuncia e promette battaglia: «Voglio andare a fondo in questa vicenda, perché quello che è accaduto non si verifichi più. Mi hanno detto che per giorni c'è stato solo un medico per i 600 migranti della nave quarantena». La Procura di Palermo ha già aperto un'inchiesta sulla morte di questo ragazzo, «minorenne non accompagnato» come recitano le formule burocratiche. L'avvocato nominato ad Abou post mortem, Michele Calantropo, ha spiegato al Post: «Abbiamo chiesto di capire perché questo ragazzo è morto; la cartella clinica è stata sequestrata […] e ci sarà l'autopsia. La relazione autoptica potrebbe essere depositata anche fra 60 giorni». Insomma, è presto per qualunque valutazione. Una valutazione mediatica, però, si può fare. Il caso di Abou è stato finora decisamente ignorato. Ma se al Viminale ci fosse stato ancora Matteo Salvini, oggi sotto processo per sequestro di persona per il caso della nave Diciotti (la procura però ha chiesto l'archiviazione), è probabile che si sarebbero scatenate le polemiche contro il leader leghista. Invece al ministero degl'Interni ora regna il prefetto Lucia Lamorgese, come nelle democrazie latinoamericane, è quindi tutto va bene. Sicuramente lei non finirà sul registro degli indagati, ed è anche giusto. Però la sensazione che qualche ministro sia più uguale degli altri un po' resta.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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