2020-01-07
Morti calpestati ai funerali di Stato. E l’Iran finanzia la vendetta aerea
Più di 50 vittime schiacciate dalla folla durante la tumulazione del numero due del regime. Ali Khamenei stanzia 225 milioni per la ritorsione. Washington in allarme: paura di attacchi con droni. E vieta i telefonini alle truppe.Pechino approfitta del vuoto geopolitico per estendere la sua influenza nell'area. Pronti supporti economici e militari al Paese. E anche la Russia offre i suoi missili.Lo speciale contiene due articoli.«Affollamento fuori controllo», «folla oceanica», «marea umana» e tante altre espressioni simili. A questo abbiamo dovuto assistere ieri leggendo i siti dei giornali italiani sull'arrivo della bara e il corteo funebre che ha preceduto la sepoltura del generale pasdaran Qasem Soleimani a Kerman, in Iran, la sua città natale.Ciò che non abbiamo letto, invece, è com'è stata creata quella calca. Se alle piazze si arriva da quattro strade, l'amministrazione iraniana ha scelto di destinarne tre a chi entra e solo una a chi esce. Così, le autorità locali ieri sono state costrette a rinviare per ragioni di pubblica sicurezza la sepoltura di Soleimani: almeno 56 persone morte calpestate e altre 200 rimaste ferite durante la cerimonia. La sepoltura è stata portata a termine nel pomeriggio, dopo che il mezzo che trasportava le salme del generale e di un'altra vittima del raid statunitense era rimasto bloccato nella calca e non aveva raggiunto il cimitero.Nonostante morti e feriti, il regime è riuscito a mettere in piedi un altro spettacolo antioccidentale. C'erano le bandiere rosse di chi chiede vendetta. Si sono sentiti gli slogan contro gli Stati Uniti di Donald Trump, ma anche contro Israele e il Regno Unito. «Se gli Stati Uniti non se ne andranno dal Medio Oriente, per gli americani sarà un nuovo Vietnam», è stato uno dei cori più gridati dalla folla.Con la cerimonia a Kerman si concludono anche i tre giorni di lutto per la morte del generale proclamati dalla Guida suprema dell'Iran, l'ayatollah Ali Khamenei. E la risposta iraniana potrebbe arrivare a breve. Il Parlamento di Teheran ha già approvato all'unanimità una mozione che designa l'esercito americano e il Pentagono come «organizzazioni terroristiche» e ha aumentato i fondi a disposizione dei Guardiani della Rivoluzione iraniana, i Pasdaran, fino al 20 marzo. La misura, ha spiegato il portavoce del Parlamento di Teheran, Ali Larijani, è pari all'equivalente di 225 milioni di dollari, in linea con l'intenzione di eseguire una «dura vendetta» contro gli Stati Uniti. Il tutto dopo la decisione del Parlamento iracheno di vincolare il governo a espellere le truppe americane. Un'eventualità contro cui si è scagliato il presidente Trump, tanto che alcuni suoi funzionari hanno già scritto una bozza di sanzioni contro l'Iraq nel caso in cui l'esecutivo accolga la richiesta dell'Aula.Inoltre, secondo fonti iraniane interpellate dal New York Times, l'ayatollah Khamenei durante la riunione del Consiglio per la sicurezza nazionale iraniano ha dato indicazioni precise. La risposta dell'Iran agli Stati Uniti dovrà essere «un attacco diretto e proporzionato agli interessi americani» e «chiaramente messo in atto dalle stesse forze iraniane». Dopo i missili degli alleati sciiti di alcuni giorni fa, Teheran vuole agire autonomamente. «Per la rabbia scatenata dall'uccisione del comandante militare, uno stretto alleato e un amico personale del leader supremo, l'ayatollah è disposto a mettere da parte le tradizionali cautele», scrive il New York Times. Il segretario del Consiglio, il contrammiraglio Ali Shamkhani, ha annunciato che «13 scenari sono stati valutati nel Supremo consiglio di sicurezza nazionale per la vendetta dell'Iran dopo l'assassinio del generale Soleimani, e anche il più debole di questi sarà un incubo storico per gli Usa».Gli Stati Uniti si preparano alla reazione. Le forze Usa e le batterie missilistiche per la difesa aerea in Medio Oriente sono state poste in stato di massima allerta contro eventuali attacchi con droni: è stata addirittura vietata la connessione online alle truppe, quindi niente telefonini né tablet per paura dell'apparato informatico delle forze iraniane, molto efficiente. Smentite dal Pentagono le possibilità di un attacco sui siti culturali iraniani e le notizie circa un ritiro delle truppe americane dall'Iraq. In attesa del vertice un vertice straordinario dei ministri degli Esteri dell'Ue che si terrà venerdì e della visita del segretario di Stato americano Mike Pompeo prevista per la prossima settimana, anche i Paesi europei reagiscono. La Germania ha annunciato che ritirerà alcune delle sue truppe schierate in Iraq nell'ambito della della coalizione anti Isis. La Francia ha comunicato che non porterà i suoi uomini fuori dal Paese. Parte del contingente italiano di stanza nell'area di Baghdad, invece, sarà dislocato in altre zone «per la salvaguardia del personale impiegato».Ma Washington apre la porta al dialogo. Assicurando che Teheran «non metterà le mani sull'arma nucleare», in conferenza stampa il segretario Pompeo ha aggiunto che gli Stati Uniti sperano che l'Iran «comportarsi come uno Stato normale». Poco dopo ecco ribadita la ragione dietro l'uccisione di Soleimani: «Quello che ci preoccupa sono le guerre per procura combattute dall'Iran nella regione». È da un nuovo accordo nucleare e dalla rinuncia alle mire sulla Mezzaluna sciita che è Washington è disposta a riaprire i colloqui con Teheran.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/morti-calpestati-ai-funerali-di-stato-e-liran-finanzia-la-vendetta-aerea-2644447220.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-cina-si-insinua-nel-caos-iracheno" data-post-id="2644447220" data-published-at="1758062402" data-use-pagination="False"> La Cina si insinua nel caos iracheno È fisica, ma è anche geopolitica: quando si crea un vuoto qualcun altro lo riempie. Sta capitando in Libia: la Russia di Vladimir Putin e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan discuteranno oggi la spartizione di quella che noi italiani definiamo la «Quarta sponda» approfittando del caos originatosi dopo l'intervento Nato del 2011, del disinteresse di Washington e dell'incapacità di Bruxelles. Ma lo stesso fenomeno rischia di ripetersi anche in Iraq dopo l'uccisione del generale Qasem Soleimani avvenuta venerdì scorso. Il Parlamento iracheno, pressato dalle fazioni sciite pro Iran, ha già invitato il governo a «porre fine alla presenza di truppe straniere», iniziando con il «ritirare la sua richiesta di assistenza» alla comunità internazionale per combattere lo Stato islamico. Stati Uniti e Nato hanno però lasciato intendere che non arretreranno dall'Iraq. Ma le pressioni sono forti, anche da parte di chi punta a spodestare l'Occidente, in particolare i gruppi sciiti che da una parte voglio cacciare l'«invasore» a stelle e strisce, dall'altra però spalancano le braccia a Russia e soprattutto Cina. I presupposti c'erano già, da prima che il raid statunitense abbattesse il generale Soleimani. Il mese scorso, infatti, nel Golfo era nato un inedito asse a tre: Cina, Russia e Iran assieme, nel Golfo dell'Oman, per un'esercitazione congiunta per «approfondire gli scambi e la cooperazione tra le marine dei tre Paesi, dimostrare la buona volontà e la capacità delle tre parti di salvaguardare congiuntamente la pace mondiale e la sicurezza marittima e costruire attivamente una comunità marittima con un futuro condiviso», aveva riferito il portavoce della Difesa di Pechino. Ora, dopo la morte di Soleimani, l'asse si sta rafforzando. Intervistato dal giornale cinese Global Times lunedì, Mohammad Keshavarzzadeh, ambasciatore iraniano in Cina, ha detto che il suo Paese risponderà con un'azione militare. E sempre lunedì l'ambasciatore cinese in Iraq, Zhang Tao, ha avuto un colloquio con il premier dimissionario Adel Abdul Mahdi per informarlo che la Cina è pronta a fornire supporto militare al suo Paese se richiesto. Domenica, invece, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi aveva telefonato al suo omologo iraniano Mohammad Javad Zarif per condannare «l'atto da avventurieri della guerra da parte degli Stati Uniti». In un'altra dichiarazione si legge che Teheran spera che la Cina giochi «un ruolo importante nel prevenire un'escalation». Pechino, come ha scritto l'analista dall'Atlantic Council Jonathan Fulton, ha assoluto bisogno di un «Medio Oriente stabile» per commerciare e investire. Basti pensare all'impegno cinese per ampliare il maxi giacimento di Azadegan, in Iran. Ieri l'ultimo episodio sull'asse Cina-Iran. Pechino ha sollecitato gli Stati Uniti ad annullare la decisione di negare il visto al ministro iraniano Zarif, intenzionato a partecipare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di giovedì. E neppure Mosca sta con le mani in mano: dalla Russia è infatti arrivata la proposta di fornire all'Iraq il sistema missilistico S-400 per «garantire la sovranità del Paese». Nelle ultime ore però, in risposta a Cina e Russia, gli Stati Uniti hanno pianificato il dispiegamento di sei bombardieri B52 nella base britannica Diego Garcia nell'Oceano Indiano, oltre a una possente esercitazione di 52 caccia F-35 del valore complessivo di 4,2 miliardi di dollari decollati in rapida successione della base aerea militare di Hill, nello Utah. Un'esibizione di forza nota come Elephant walk (la «passeggiata degli elefanti»): 52, non solo come i velivoli presenti (in totale nella base sono 78) ma anche come i 52 obiettivi che il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato di colpire nel caso di ritorsioni iraniane per l'uccisione del generale Soleimani e i 52 diplomatici e civili Usa catturati dall'Iran durante la crisi degli ostaggi del 1979.