2022-08-07
Moody’s tocca un nervo scoperto: la pioggia di bonus è un boomerang
Daniele Franco (Imagoeconomica)
Abbassato l’outlook dell’Italia: fra i rischi, «l’impatto fiscale» delle misure anti bollette. Sommando la bolla degli extraprofitti, Npl e prestiti garantiti dallo Stato, può esplodere una bomba da 100 miliardi di debito.L’intervento serale di Moody’s, l’agenzia di rating Usa, ha portato una conferma del voto ma un cambio in negativo dell’outlook. Ovvero, secondo gli analisti ci maggiori possibilità che la nostra economia rallenti e che sarà per l’Italia più difficile gestire il debito sovrano. Ci sono «rischi materiali sulle prospettive di crescita legati all’esecuzione del Pnrr e alle forniture energetiche». Constatando i progressi effettuati di recente sul fronte dei conti pubblici, Moody’s ha osservato come «la fine del governo Draghi e elezioni anticipate del 25 settembre 2022 aumentino l’incertezza politica». Particolare accento è stato messo sui rischi legati all’attuazione del Pnrr: se non saranno centrati gli obiettivi l’Italia potrebbe «restare più esposta alla fiducia degli investitori in un momento in cui il governo ha bisogno che gli investitori giochino un ruolo maggiore» nel debito italiano. Moody’s, infine, ha fatto capire di «non ritenere che il Tpi» annunciato di recente dalla Bce «sarà una panacea contro l’aumento dei rendimenti in tutte le circostanze». A rispondere piccato all’uscita dell’agenzia il Mef che ha subito diramato una nota dissentendo dalle conclusioni. «Come dimostrato dal dato più che positivo sul Pil del secondo trimestre, le prospettive di crescita sono buone», ha spiegato il ministro Daniele Franco, «e le elezioni anticipate non costituiscono una anomalia nel contesto delle democrazie Ue». Il governo peraltro «resta fiducioso» anche «sull’attuazione del Pnrr», ha concluso. Fin qui la cronaca del botta risposta. Nulla di eccezionale, se si pensa che le agenzie di rating Usa sono spesso intervenute prima del voto italiano. Ogni volta sottolineando il pericolo instabilità, ma ignorando che la democrazia stessa prevede il turnover. Ciò che non è stato per nulla sottolineato dai giornali e praticamente ignorato dal Mef è però un singolo passaggio del report di Moody’s, quello che riguarda i rischi futuri della politica fiscale e dell’indebitamento. Al di là delle nubi economiche e inflattive pronte ad abbattersi su tutto il Vecchio continente, il nostro Paese sembra avere un problema in più. «Gli sforzi per mitigare l’impatto economico dell’aumento di gas ed elettricità sulle famiglie», si legge nel report di Mody’s, «potrebbero avere un impatto fiscale, anche se finora le misure di sostegno non hanno causato una deviazione dagli obiettivi di bilancio a causa di entrate pubbliche superiori al previsto». Tradotto in parole più semplici, l’agenzia Usa mette il dito nella piaga. Il modello dei bonus che serve per tappare provvisoriamente la voragine nelle tasche dei cittadini si alimenta esclusivamente dal prelievo dai nostri portafogli. A oggi gli oltre 30 miliardi erogati tramite bonus sono stati coperti dall’extragettito Iva dovuto all’aumento dell’inflazione e dalla nuova tassa sui cosiddetti extra profitti delle società energetiche. Moody’s fa sapere che è una partita di giro e basta che si incagli qualcosa e i bonus il prossimo anno si trasformeranno tutti in debito pubblico. Basterà che il Pil fletta e quindi il Paese andrà incontro a una recessione per dire addio al maxi gettito sull’Iva. Mentre ancor più grave è il tema degli extra profitti. Giovedì Mario Draghi e i tecnici del Mef hanno fatto sapere che dei circa 10 miliardi attesi dalla tassa ne sono stati incassati poco più di 900 milioni. Da lì addirittura la minaccia di interventi coattivi e la condanna morale contro l’elusione. La realtà è che la tassa è anticostituzionale e destinata a scontrarsi con il secondo semestre, quando chi guadagna di più perché vende energia si troverà come le altre aziende a pagare di più i fornitori e ad avere costi più alti. La realtà è che l’Europa non avrebbe permesso a un altro governo di spendere soldi che ancora non esistono. Da qui il rischio concreto di ritrovarsi il prossimo anno con una quindicina di miliardi in più di debito (solo sulla partita dei bonus) e il resto delle partite aperte pronte a chiudersi. Ci riferiamo ai 60 miliardi di garanzia pubbliche per le piccole aziende che nel 2020 hanno incassato i prestiti senza interessi e che ora non riescono più a versare la rate. Anche quella massa di denaro diventerà debito. L’errore risale al governo Conte bis che nel pieno della pandemia ha preferito non classificare quelle garanzie dentro lo scostamento di bilancio. Poco cambia, la frittata è fatta. E il rischio aggiuntivo è che venga accompagnata da qualche altra sorpresa. Nessuno è in grado di escludere che in autunno ad esempio le sofferenze assorbite da Amco, la società di gestione controllata dal Mef, possano essere classificate come ulteriore debito. Parliamo di oltre 30 miliardi. Peggio sarebbe se alcune operazioni di Cdp fossero in futuro indirizzate dalla politica. A quel punto anche parte dell’esposizione di Cassa depositi e prestiti verrebbe riclassificata. È accaduto in Germania per specifici lotti di debito. Da noi sarebbe un enorme problema. Nel complesso ci vorrebbe poco a trovarci con 100 miliardi di debito in più e tutto di colpo. Non è solo un fatto che dipende dall’Ue, è anche il fatto di aver pattinato troppo a lungo. Il ghiaccio non può rimanere stabile per sempre. Le stagioni cambiano e il caldo lo assottiglia. Non basterà lanciare gli strali contro le aziende, come sta facendo l’attuale governo per raccogliere soldi. Tanto meno affidarsi a pericolosi politici come Andrea Orlando che risolvono tutto con più tasse. Le bolle prima o poi esplodono.