2020-06-12
Monti riscrive la storia del suo flop: «Salvai l’Italia rinunciando al Colle»
In un'intervista alla Stampa l'ex premier tecnico rivendica di essersi sacrificato per fermare i populisti. Ma scorda di aver applicato la macelleria sociale su ordine dell'Ue. E di essere stato punito dagli elettori.C'è un fantasma della politica che si crede una statua risorgimentale. Si percepisce seduto su un grande piedistallo in mezzo a una piazza con il loden che svolazza, un tomo in una mano e una penna d'oca nell'altra: sta firmando il Salva Italia. Macelleria sociale «per il bene del Paese». Di questi tempi sentirsi un monumento non è molto popolare ma Mario Monti non cede alle mode e non teme la damnatio memoriae, anzi è afflitto perché non vede nel panorama artistico un Michelangelo Buonarroti in grado di far risaltare la sua nota espressione da statista. Uno scultore qualsiasi non basta: lui doveva essere presidente della Repubblica.La rivelazione che conferma la sobrietà del professore bocconiano arriva in un'intervista a La Stampa, dove l'ex premier tecnico rivela alcuni particolari della sua dimenticabile avventura politica nel biennio 2012-2013. Il contesto è rappresentato da un confronto con Giuseppe Conte, della serie vite parallele, premier appesi al nulla che decidono di creare un partito per consolidare il consenso. Lui l'ha fatto con Scelta civica, l'attuale presidente del Consiglio ci starebbe pensando con l'ennesima ricetta centrista cattolico-progressista. Il paragone inquieta Monti, che tiene a precisare: «Quando mi è stato chiesto di governare, mi venivano già riconosciute credibilità all'estero e popolarità in Italia. Era un capitale costruito in decenni». Come dire che invece Conte è un parvenu, quindi l'accostamento con una rockstar dell'economia europea è azzardato. Debolezze.Poi arriva la bomba. Domanda: si rende conto che se fosse stato fermo sarebbe potuto approdare al Quirinale? Risposta: «Probabilmente sì. Così come, se avessi accolto la proposta di Silvio Berlusconi di guidare la coalizione di centrodestra alle elezioni, secondo i sondaggi sarei tornato a Palazzo Chigi. Entrambe le ipotesi, se la mia ambizione fosse stata quella pura e semplice di restare in politica, sarebbero state più che appaganti. Non ero così stupido da non capirlo».Lui però non ha mai avuto tentennamenti, almeno questa è la sua patriottica narrazione. Perché come i Blues Brothers aveva una missione da compiere per conto di Dio: salvare l'Italia dai populisti quando ancora non si sapeva bene chi fossero. Così ha rinunciato a salire al Quirinale al posto di Giorgio Napolitano (secondo mandato) per spirito di sacrificio nei confronti del Paese. «A fine 2012 mi sono convinto che la presenza mia o di altri al Quirinale, pur importante per la mia persona, per l'Italia era una questione che contava meno di un'altra differenza. Mi sono chiesto che rotta avrebbe preso il Paese dopo le elezioni, quali le riforme, il ruolo in Europa. Non ho mai pensato veramente che Scelta civica potesse riportarmi al governo, ma volevo battermi perché non prevalesse una coalizione (di sinistra o più probabilmente di destra) che mettesse l'Italia già nel 2013 nelle mani dei populisti antieuropei».Lo storytelling montiano permeato di vanagloria tralascia volutamente due capitoli. Il primo conferma la sua dipendenza totale da Bruxelles ed è riassumibile nella frase adattata «me lo chiede l'Europa». Che cosa? Non di andare al Quirinale, non di vagare per suggestive poltrone personali. Ma di creare un partito eurolirico per contrastare coloro che, giustamente scettici, vedevano l'Europa dei popoli trasformarsi nell'Europa dello spread, del rigore fine a sé stesso e della lunghezza massima delle melanzane. Il secondo capitolo, più drammatico da ricordare, riguarda gli effetti recessivi delle sue politiche per conto terzi. Monti ripete a pappagallo di «avere salvato l'Italia», senza mai fare cenno ai danni che ha lasciato sul terreno: fallimenti, disoccupazione, esodati, il massacro della legge Fornero, crollo del ceto medio produttivo. Terreno intriso di lacrime e sangue, quindi ideale per fertilizzare il grillismo montante e la gramigna dell'invidia sociale.Il revisionismo di Monti, che di passaggio tratta le istituzioni come merce di scambio, getta su di lui una luce ancora più sinistra. La rilettura è troppo comoda: zero responsabilità, solo senso dello Stato, un impalpabile civil servant. Anche perché nel 2013, senza le sue mire da professore trasformatosi caudillo per sete di potere, le elezioni le avrebbe vinte con numeri più solidi il Pd o Forza Italia. Lui la pensa diversamente e va di semplificazioni. Se il decreto Semplifica Italia fosse stato a livello di quelle di Monti, oggi la burocrazia sarebbe un non problema. «Con il 10% di Scelta civica la minaccia è stata evitata, il populismo antieuropeo ha dovuto aspettare il 2018». Poi il gran finale dell'intervista: «Io non sono andato al Quirinale e mi va bene essere stato deriso da dotti commentatori perché “per ambizione personale" non ho saputo fare il mio interesse. Ma l'obiettivo che avevo per l'Italia è stato conseguito». Metterla in ginocchio per conto di Bruxelles.È un Monti lunare e distante anni luce dalla realtà quello che, vedendo accendersi un registratore o una telecamera, ripete all'infinito da anni l'autocelebrazione di un disastro economico e politico. Ora l'uomo che sussurrava ad Angela Merkel si è convinto di avere rinunciato al Colle per il bene del Paese e per fermare i populisti. Un Cincinnato, un Pietro Micca, un Garibaldi che scrive obbedisco in tedesco, «Ich befolge!», e che per questo si crede un monumento vivente. Se fosse davvero una statua sarebbe un obiettivo per piccioni.