Come alcuni amici sanno, sono stato coinvolto in una vicenda culturale e pastorale di enorme importanza e, per certi versi, la cosa è presto detta. Ho conosciuto un uomo onesto, che aveva passato la vita a fare il suo lavoro con grande dignità e positività. Di fronte a una situazione fisica giudicata insopportabile, si stava preparando alla morte ed era intenzionato a scegliere l'eutanasia. Una cosa mi ha colpito profondamente: sembrava già tutto compiuto.
Come alcuni amici sanno, sono stato coinvolto in una vicenda culturale e pastorale di enorme importanza e, per certi versi, la cosa è presto detta. Ho conosciuto un uomo onesto, che aveva passato la vita a fare il suo lavoro con grande dignità e positività. Di fronte a una situazione fisica giudicata insopportabile, si stava preparando alla morte ed era intenzionato a scegliere l'eutanasia. Una cosa mi ha colpito profondamente: sembrava già tutto compiuto. L'opzione della morte - una morte «dignitosa», una «dolce» morte - gli era stata presentata come un valore, come se fosse sullo stesso piano della vita. Mettere fine a una situazione insopportabile era, insomma, la cosa più alta e giusta da fare. Ho ancora chiarissimo in mente il ricordo del momento in cui ho avuto la chiara percezione che nella mia vita di vescovo stava accadendo qualcosa di eccezionale. «Guardi che non è così», gli ho detto. «La vita non è uguale alla morte, ma è la grande possibilità, il grande dono che ci è stato fatto del tutto gratuitamente e che abbiamo la responsabilità di accogliere, custodire e svolgere fino al suo compimento».Ho avuto la percezione che queste parole si facessero strada lentamente in lui. Vorrei dire, con molta fatica, ma inesorabilmente, la coscienza e il cuore di quest'uomo, attraverso il mio intervento, erano stati messi davanti alla situazione e alla realtà che doveva vivere in modo radicale, ma allo stesso tempo semplice. Pian piano è diventato più chiaro che la presenza di Cristo non solo dà valore alla vita e ha sconfitto definitivamente la morte, ma può anche rendere ogni condizione umana (anche la più triste e difficile) come un passaggio verso il compimento. Questa era la sfida, più reale di quella che gli avevano proposto e fatto credere. A un certo punto in lui si è formulato un giudizio: «Mi aiuti a vivere perché non voglio più morire. Non voglio più scegliere la morte, ma voglio seguire la vita». Davanti a questa sua richiesta gli ho testimoniato che nella sua situazione di dolore e in questa circostanza misteriosa che appariva irrisolvibile era chiamato a partecipare alla morte del Signore per la sua resurrezione. Era chiamato a vivere l'esperienza, che molti cristiani hanno vissuto prima di lui: immedesimarsi con il destino di morte del Signore, per diventare segno e testimonianza di lui nel mondo. Nel nostro ultimo incontro gli ho detto: «Fai così: segui quello a cui ti ho richiamato perché certamente vivrai». Ho riflettuto molto su questo momento inaspettato nel quale mi sono sentito di rischiare giudizi veri e definitivi, come quelli a cui la Chiesa nella sua storia ci ha sempre educato in un clima di vera carità. E ho capito che noi cristiani non possiamo fare altro, cominciando dai vescovi, fino agli ultimi cristiani del mondo. Noi non possiamo far altro che accogliere la vita di Cristo, viverla e testimoniarla. Quest'uomo oggi è diventato un grande testimone di Cristo verso coloro che andavano e vanno ancora a trovarlo. Anche quelli che provavano a spiegargli che era meglio che morisse. Escono cambiati dall'incontro con lui. Che dire? Dio ha preso un uomo umile e fragile come me per mandare avanti il miracolo della vittoria della vita sulla morte. Ora posso veramente dire, come tanti cristiani: tutto questo è stato fatto dal Signore ed è mirabile ai nostri occhi.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





