2024-11-03
Piombo: «Vado oltre le tendenze con capi esclusivi»
Il direttore creativo dell’omonimo marchio: «Unisco vecchia scuola e modernità, con un amore quasi maniacale per il dettaglio. Punto su tessuti ricercati e sulla ricchezza del colore che sposa fantasie inedite. A Milano l’ultima collezione sarà aperta a tutti».Di padre in figlio. Una strada segnata, già percorsa dal padre e ora consegnata al figlio. Massimo Piombo (il padre), Carlo Piombo (il figlio). Due nomi che in fatto di abbigliamento di altissima qualità non hanno nulla da invidiare ai brand altisonanti. Anzi. Tutto è iniziato a Varazze e a Varazze prosegue per arrivare nel mondo. «Sempre lì. Non ci si sposta dalla Liguria. Un luogo molto bello, uno studio creativo nato negli anni Ottanta, uno spazio tra rocce e mare, in mezzo al verde. Più facile lavorare lì che in un ufficio fra i palazzi; più scomodo forse, ma più romantico», racconta Carlo. Un destino scritto. «Non da subito, però».L’inizio?«Montavo a cavallo a livello agonistico, quasi un lavoro. Finite le superiori i miei genitori mi dissero che potevo continuare con la mia passione ippica, bastava che facessi, e bene, un’università seria. Feci giurisprudenza alla Cattolica a Milano, non frequentante perché impegnato con le gare di equitazione all’estero. Ma mi sono laureato quel tanto per capire che il mestiere d’avvocato non faceva per me. Se non altro una laurea mi ha dato metodo, organizzazione di studio». La virata verso la moda come avviene?«A un certo punto mi sono chiesto cosa mi sarebbe piaciuto fare. Complice il fatto che da bambino, con mia mamma Alessandra e mio padre, quando loro hanno iniziato questo lavoro e non volendo stare con le tate, giravo anch’io per il mondo alla ricerca di tessuti esclusivi. Fin da piccolo conoscevo tutti i nomi dei tessuti, i posti in Scozia e le fabbriche. Mia mamma ha contribuito molto al marchio di famiglia, Massimo Piombo». Che accadde?«La moda mi piaceva e mi mancava. Ho voluto fare una esperienza fuori azienda una volta laureato. Volendo migliorare l’inglese, sono andato a lavorare per Moncler a Londra per un anno, all’inizio come magazziniere. Ma era il momento di espansione del brand, un po’ me la cavavo e dopo alcuni mesi mi venne chiesto di rimanere in Moncler per sviluppare il mercato inglese, la prima soddisfazione lavorativa. Dissi di no, mi mancava l’Italia e andai per un anno da Kiton, non volendo arrivare in azienda come il figlio di Massimo. Da Kiton ho avuto la possibilità di lavorare in un’azienda vicina a noi per principi, più prodotto e meno sport, più capispalla. Sono passato da un mondo più moda a uno più prodotto. Dopo un anno mio padre mi chiese di andare in azienda per curare la parte più alta, il marchio che si chiamava MP Massimo Piombo. A quel punto ho accettato e sono passato a occuparmi di stile, uno stile che va oltre le mode, oltre il prodotto con una grande ricerca di tessuti esclusivi in tutto il mondo, capsule di materiali unici, façon italiana. Mi è piaciuto moltissimo».Da MP Massimo Piombo a Carlo Piombo, come avviene il cambio del nome?«Più volte mio padre mi disse di chiamare la collezione con il mio nome, ma per una sorta di rispetto reverenziale ho sempre declinato finché è accaduto davvero. In modo sempre più totalizzante mi sono dedicato al brand di famiglia. Nulla cambia, comunque. Ufficialmente lo stilista sono io, ho la direzione creativa ma ci sarà sempre la parola di mio padre e mia madre». Sono state fatte delle scelte particolari per quanto riguarda le vendite. Come mai? «In Italia avere clienti non è cosa facile, pagano con difficoltà, è molto difficile lavorare. Nel 2020 con il Covid c’erano state cancellazioni d’ordine e non volevamo riproporre l’anno dopo la collezione essendo sempre capi esclusivi. Per questo, avevamo deciso di invitare in showroom amici clienti per vendere direttamente la collezione, e da lì è partito quasi involontariamente una sorta di club sempre più grande. I clienti hanno apprezzato le vendite a metà prezzo che possiamo permetterci non avendo le spese della catena e soprattutto il rapporto diretto. Manteniamo all’estero i mercati che hanno la cultura del prodotto come il Giappone, Stati Uniti, centro Europa, una scelta più romantica che economica. Mio padre mi ha appoggiato in questa scelta ma solo se avessi dato il mio nome Carlo Piombo». Quindi la vendita della collezione Carlo Piombo è una scelta coraggiosa in Italia. «Ho tolto tutti i negozi multimarca, vado solo diretto. Solito spazio in via Borgonuovo 1, Private sale ma non c’è nulla di privato, possono entrare tutti. Un mese e mezzo, dall’8 novembre al 23 dicembre (dalle 10 alle 20) si possono trovare le collezioni uomo-donna 2024/2025. In tutto il mondo è online e a prezzo pieno. Mentre a Milano saltiamo agente, showroom, distributore, negozio e proponendo tutto a metà prezzo. E per una questione di correttezza questi prezzi ci saranno solo in Italia. All’estero tutto rimane uguale, in meno di cento negozi». Capi di altissima qualità.«È la nostra caratteristica. Oltre alle eccellenze italiane, ai cachemire della Mongolia e alle baby alpaca delle Ande peruviane, il brand Carlo Piombo punta molto sugli artigiani inglesi e scozzesi, che ancora oggi lavano le loro lane vergini al naturale, senza l’uso di additivi chimici né di siliconici, nelle gelide acque delle Highlands e che ancora le lavorano a mano su telai in legno, custodendo i loro segreti e tramandandoli gelosamente di generazione in generazione. Il risultato sono piccole collezioni di capi a tiratura limitata, che vanno oltre le mode e le tendenze del momento, preferendo uno stile senza tempo, unione tra old school e moderno e che pur partendo dalla ricerca della perfezione e da un amore quasi maniacale per il dettaglio, non si fermano a questo: la maggior parte dei capi è realizzata con tessuti in esclusiva mondiale (worldwide exclusive), dove la ricchezza del colore sposa combinazioni e fantasie inedite».
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