2025-09-26
Dem frantumati sul progetto San Siro. Sala trema: non ha i voti per sfangarla
Ieri via alla discussione: solo Mr. Expo e parte del Pd non vedono i troppi rischi dell’operazione. E rifà capolino il «Salva Milano».Il Consiglio comunale di Milano tira dritto: a meno di sorprese, la votazione finale sulla vendita di San Siro dovrebbe arrivare già lunedì prossimo. Ma prima ancora del voto, inizia a consolidarsi tra diversi consiglieri comunali, l’idea che l’operazione sia circondata da rischi pesantissimi.Lo si è capito seguendo ieri la seduta dell’aula di Palazzo Marino, dove si è iniziato a discutere della delibera nonostante diversi consiglieri avessero chiesto di rinviare la discussione. Per approvarla servono 25 voti favorevoli. Al momento, il pallottoliere dice 24 favorevoli, 24 contrari, 1 indeciso (Marco Fumagalli della Lista Sala): i numeri al momento non ci sono e il Pd è in frantumi. Del resto, tra le fila dell’opposizione c’è chi sostiene che si potrebbe già configurare il reato di turbativa d’asta: il Comune ha trattato per anni solo con Inter e Milan senza mai bandire una gara pubblica. Non solo. Il prezzo fissato a 197 milioni appare sottostimato, poco più della metà del valore reale che si aggira oltre i 380 milioni. Restano debiti non riscossi, perché i club devono al Comune quasi 19 milioni per manutenzioni arretrate e un altro milione per spazi pubblicitari. Le condizioni di pagamento sono fragili, con 90 milioni subito e il resto diluito nel tempo, coperto da fideiussioni assicurative anziché bancarie. Ma soprattutto, come già anticipato dalla Verità, le proprietà restano opache perché Inter e Milan sono club controllati da catene societarie che arrivano fino ai paradisi fiscali. Ci sono, poi, consulenze milionarie, con un dossier a Londra che parla di 150 milioni destinati agli advisor nella futura rivendita delle squadre. A chi sono indirizzati questi soldi? E c’è, soprattutto, il rischio ricorsi, con il vincolo storico sul Meazza che incombe e che la giunta vuole anticipare forzando i tempi.È questo l’elenco che il consigliere Enrico Marcora (Fdi) ha messo in fila in aula: una radiografia dei pericoli politici, finanziari e giudiziari di un’operazione che il sindaco Beppe Sala continua a difendere come «il massimo che si poteva fare». A dirlo non è solo Marcora. Nando Dalla Chiesa e il Comitato per la legalità denunciano da mesi l’opacità a monte e la fragilità a valle: a monte, perché non è chiaro chi siano i titolari effettivi di Milan e Inter, controllati da fondi internazionali che rimandano fino alle Cayman; a valle, perché i cantieri milanesi sono già oggi terreno fertile per caporalato e ‘ndrangheta e, senza garanzie solide, ogni maxiprogetto diventa un moltiplicatore di rischio criminale.A questo si aggiunge il nodo più sensibile: la turbativa d’asta. Non si tratta solo di un’accusa politica, ma di un rischio giuridico concreto. Quando un ente pubblico vende un bene di grande valore dopo lunghe trattative private con un numero ristretto di soggetti e senza bando aperto, il sospetto di violare le regole della concorrenza è inevitabile. La Procura di Milano, dove sono già stati depositati diversi esposti e già impegnata in diverse inchieste sull’urbanistica milanese, potrà ignorare questo scenario? La sproporzione è evidente: 13 riunioni tra il direttore generale Christian Malangone, gli uffici comunali e i vertici dei club e appena cinque giorni ai consiglieri per ratificarla. Quello che la «banda di San Siro» (come la chiama il presidente del Comitato Sì Meazza, Luigi Corbani) ha trattato per quattro mesi, l’aula è chiamata ad approvarlo in fretta e furia.Eppure Sala tira dritto. «Ho negoziato al meglio», ha rivendicato ieri, traducendo il tutto in un messaggio chiaro: il lavoro è chiuso, il Consiglio deve solo ratificare. È la logica del fatto compiuto. Le commissioni sono state svuotate, la discussione compressa, il voto calendarizzato in cinque giorni. E il segretario generale ha avallato la linea, arrivando a sostenere che «il profilo formale non deve prevalere sul sostanziale»: una resa culturale per quella sinistra che per anni aveva fatto del culto delle regole la propria bandiera contro il centrodestra dei condoni e delle scorciatoie.In aula non sono mancate le proteste: da destra e sinistra i consiglieri hanno denunciato convocazioni lampo, commissioni mai concluse e documenti arrivati all’ultimo minuto. Dentro il Pd si consuma una spaccatura: la direzione ha approvato a larga maggioranza un documento che difende la delibera, sostenendo che le risorse dei cittadini vadano ai servizi pubblici e non al «branding calcistico». Una scelta che appare paradossale: il Pd, pur dichiarando di voler tutelare le casse comunali, avalla la svendita di un patrimonio pubblico a fondi speculativi a prezzo contestato e con proprietari incerti. Non a caso, il consigliere Angelo Turco (Pd) ha preso le distanze annunciando voto contrario: per lui la delibera trasferisce i rischi economici sul Comune e riduce il ruolo del Consiglio, rendendo il progetto sbilanciato e pericoloso per Milano. Riccardo Truppo (Fdi) ha ricordato che persino l’avvocato del Comune, Alberto Toffoletto, si era detto disponibile a rispondere a nuove domande nel fine settimana, segno che l’istruttoria non era chiusa.E intanto, sullo sfondo, torna a circolare un nome che sembrava archiviato: il «Salva Milano». Nato per affrontare emergenze urbanistiche nei mesi scorsi, oggi riaffiora in Parlamento, nella nuova legge delega che ingloba il ddl Mazzetti e riscrive le regole dell’edilizia. Il cuore del provvedimento è l’ampliamento delle tolleranze sugli abusi e l’introduzione di sanatorie selettive. Nel frattempo, la Procura di Milano ha presentato ricorso in Cassazione contro la decisione del Tribunale del Riesame che ha revocato i domiciliari ad Alessandro Scandurra, ex membro della commissione Paesaggio, coinvolto nell’inchiesta sull’urbanistica cittadina con accuse di corruzione, falso e abusi edilizi. Secondo i pm, le motivazioni dei giudici sono «illogiche» per mancata valutazione di alcune prove.