2023-09-17
«Anche nelle metropoli di oggi è possibile riscoprirsi trovatori»
Poeta, narratore, pensatore, Michele Baraldi riabilita la figura del flâneur: «Non è un perdigiorno, compie un percorso iniziatico come fosse un viator dantesco precipitato nel mondo contemporaneo».Michele Baraldi (Bergamo, 1961) è un cercatore. Fin da ragazzo ha viaggiato e studiato al setaccio di una verità sostanziale che lo avvicinasse al senso più profondo, se esiste, dell’esistenza. Poeta, narratore, pensatore, dal 1991 vive e lavora a Parigi. La casa editrice milanese SE sta raccogliendo i suoi scritti, ad oggi editi nei tre volumi L’enigma della sorgente. Poesie in versi e in prosa (1981-1996), Libro della memoria e dell’erranza (I) La tentazione del vuoto e Libro della memoria e dell’erranza (II) Resurrezione. Ha ricevuto premi quali il Lerici Pea e il Premio Montale Fuori di casa.Libro della memoria e dell’erranza. Un titolo-mondo, già di per sé un manifesto. Navigandolo mi è venuta in mente la figura oramai classica del flâneur, che in italiano tendiamo a tradurre come perdigiorno, camminatore svagato, in sostanza una persona che cammina, siede, osserva, si lascia in parte vivere dalle cose, dalle situazioni, più che cercare incontri li attende. Ma attraverso questa rieducazione comprende, capisce, fa esperienza. Mi sono venuti in mente il protagonista del romanzo Caos calmo di Sandro Veronesi, quell’uomo che resta per giorni su una panchina nei giardini di fronte alla scuola della figlia, e Jep Gambardella, il mattatore de La grande bellezza di Paolo Sorrentino. Che cosa cerca e che cosa trova il suo autore?«Grazie, Tiziano Fratus, per la tua opera e per queste domande. Ora, provo una grande ammirazione per Veronesi e per Sorrentino, che considero uno dei più grandi registi viventi. Qui siamo tuttavia un pochino altrove, per quanto… Il Libro della memoria e dell’erranza costituisce, almeno nei suoi primi tre volumi, dedicati interamente a Parigi, una meditazione narrativa sulla metropoli europea, quella che nel libro si chiama città madre. Tra le sue fonti, e tra molte altre, v’è certamente Parigi capitale del XIX secolo di Walter Benjamin, dove il flâneur, figura primordiale del libro di W. B., non è tanto un “perdigiorno”, quanto una sorta di viator dantesco precipitato nel mondo contemporaneo (XIX-XX-XXI secolo e II-III millennio, un’autentica svolta nella fragile storia dell’umanità), che cerca e trova, talora, le forme e i sensi della sua propria esistenza e insieme quelli di chi egli vede e l’accompagna. Non dimentichiamo che la figura suprema del flâneur per W. B. è l’immenso Charles Baudelaire. È questo un cammino iniziatico, senza alcuna velleità esoterica, che mira a rivelare insieme il senso - e il non senso - della metropoli, città-madre e città-mondo, e quello di chi l’attraversa: e l’attraversa dopo avere, come in E. Canetti, altra mia guida, conosciuto la catastrofe. La lettrice e il lettore, elevati al massimo rispetto, diventano dunque i compagni di viaggio del viator, e il libro, che è un’entità organica, vivente, solidale e profondamente amica, accompagna e sostiene i lettori nella loro ricerca di sé: ma il fine non è il cercare - è il trovare e il lettore-poeta diventa, come nei tempi antichi, eppur proiettato nella più estrema modernità, un trovatore».Ad oggi Il libro della memoria e dell’erranza comprende due volumi da 300 e 390 pagine (ma L’enigma della sorgente ne è un preambolo, e dunque altre 150 pagine). La sua scrittura va semplicemente letta, richiede tempo, richiede attenzione. Ci sono tanti mondi dentro questo mondo di parole. Come lavora alla stesura? Scrive tutti i giorni come se fosse un colletto bianco che va ogni mattina in ufficio? Oppure segue impulsi, infiammate temporanea, inattese?«Sono, tutto il tempo, al lavoro. Nato a Bergamo da una madre (lavoratrice, insegnante) di Catania e da un padre (lavoratore, medico) di Bologna, la temperatura (alla lettera) della Lombardia mi ha dato, oltre il codice genetico siciliano ed emiliano-toscano, o etrusco, questa cultura del lavoro, dove la contemplazione, il pensiero, la memoria giocano tuttavia un ruolo essenziale, fondatore, illuminante. Non sono mai stato, ahimè, un colletto bianco (per quanto vesta sovente di bianco), né un rapsodo estemporaneo in attesa d’improbabili fiammate d’ispirazione. Si tratta di un lavoro profondamente artigianale, concepito nella mia prima giovinezza, che si realizza attraverso molti decenni ed è accompagnato da migliaia di pagine di quaderni preparatori. Sono un uomo del nostro tempo e v’è qui un’opera in corso fondata su un’architettura, ripeto volentieri, organica, dinamica, vivente, che si evolve nel tempo e un lavoro che fonde esperienza (e, alla lettera, maestria), abissale umiltà, moltissima pazienza e un’attenzione etica, documentata e passionale per la storia, sia essa la storia delle persone che incontro e di quelle che immagino, sia la storia della letteratura e delle arti, sia la storia generale di cui siamo artefici, vittime e ostaggi, quell’incubo - scriveva Joyce, altro grande maestro -, da cui speriamo (invano) di risvegliarci»«Nessuna città è così intimamente legata al libro come Parigi» scrisse Walter Benjamin e aggiunse: «Parigi è la grande sala di lettura di una biblioteca che la Senna attraversa». Riprendo questa citazione che inaugura la presentazione del suo ultimo volume. Che cos’è Parigi per Baraldi? Come si può tentare di trasferire sulla pagina tutto il vivere e la ricchezza di una città? «È perfettamente, meravigliosamente impossibile! Ma è forse proprio l’impossibile che mi attira al più alto grado. E tuttavia l’ambizione non è qui tanto documentaria o turistica, com’è il caso della maggior parte dei libri “su” Parigi (credo di averli letti quasi tutti), ma simbolica, dove il simbolo è una legge concreta e manifesta che può riferirsi, come in una poesia o in un poema, a un’infinità di esperienze presenti, future e passate. Parigi diventa il laboratorio dello scrittore che non scrive mai soltanto per se stesso, ma che, osservando (e amando) la vita degli altri, decanta nel corso del tempo la possibilità di creare personaggi e azioni che parlino limpidamente e profondamente ad altri e diano loro una forza, una storia, qualche luce che permetta loro di attraversare le tenebre, andare oltre, creare liberamente il loro destino».
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